È stupefacente apprendere fino a che punto la ricchezza dell’Inghilterra georgiana e vittoriana derivasse dal commercio degli schiavi. William Ewart Gladstone, più volte primo ministro britannico nella seconda metà del XIX secolo, fece di tutto per ostacolare la fine della schiavitù nel suo Paese e poi si batté a lungo per garantire un risarcimento ai più ricchi commercianti inglesi di esseri umani. Uno dei principali mercanti di schiavi della Gran Bretagna dell’epoca era suo padre, John Gladstone, un uomo originario di Liverpool che disponeva di immensi possedimenti in Giamaica e nella Guyana britannica e molti anni prima aveva usato la sua enorme fortuna per finanziare l’ascesa politica del figlio. Un giornale locale di quegli anni scrisse che gran parte della sua ricchezza “sgorgava dal sangue degli schiavi neri. Ma non suscitò alcuno scandalo, anche perché molti altri si erano arricchiti allo stesso modo. Quando la legge sull’abolizione della schiavitù venne infine approvata nel 1833, John Gladstone ricevette oltre 93mila sterline come compensazione per la perdita degli oltre 2500 schiavi di sua proprietà. Continua a leggere “Quando Liverpool era il porto degli schiavi”
Categoria: Giustizia
Ruanda, aperto il processo contro il finanziatore del genocidio
Erano molti, ormai, a temere che questo processo non ci sarebbe mai stato. Invece nelle scorse settimane il Tribunale penale internazionale di Arusha ha aperto finalmente il procedimento a carico di Félicien Kabuga con molteplici accuse risalenti al genocidio del Ruanda. Ormai 86enne, latitante per oltre un quarto di secolo, Kabuga si è rifiutato di comparire in aula ma i giudici hanno ordinato che il procedimento andasse avanti. Negli anni in cui era stata chiamata a seguire il dossier sul genocidio in Ruanda, Carla Del Ponte non ha mai avuto dubbi sul ruolo di primissimo piano svolto da Kabuga. La sua leggendaria latitanza, durata oltre un quarto di secolo, si è conclusa il 16 maggio 2020 in un sobborgo di Parigi dove l’uomo si è infine arreso agli investigatori francesi dopo aver cambiato decine di residenze in tutto il mondo, avvalendosi di un numero imprecisato di identità e di passaporti. Continua a leggere “Ruanda, aperto il processo contro il finanziatore del genocidio”
Centinaia di desaparecidos in Ucraina
Da settimane si sono perse completamente le tracce di Viktoria Andrusha, un’insegnante 25enne del villaggio di Stary Bykiv, nella regione di Chernihiv. Le ultime notizie su di lei risalgono alla fine di maggio, quando i suoi familiari hanno saputo da fonti non ufficiali che la giovane si trovava in un centro di detenzione russo. Poi più niente. Sua madre ha raccontato che i soldati venuti a perquisire la loro abitazione le hanno chiesto di parlare russo. Lei si è rifiutata e allora l’hanno portata via con la forza. Human Rights Watch ha lanciato una campagna per la sua liberazione chiedendo a Mosca di rilasciare tutti i civili detenuti arbitrariamente. Andrusha è una delle tante persone svanite nel nulla da quando è iniziata l’invasione dell’Ucraina. Continua a leggere “Centinaia di desaparecidos in Ucraina”
Parlare di Palestina non si può
di Francesca Albanese*
La Palestina – ovvero ciò che è rimasto della Palestina storica alla creazione dello Stato di Israele nel 1948 –, comprendente Cisgiordania, Gerusalemme est e Striscia di Gaza, è terra che Israele occupa militarmente dal 1967. È bene ribadire da subito che il diritto internazionale ammette le occupazioni militari solo in forma temporalmente limitata, con precisi vincoli di tutela della popolazione sotto occupazione e, soprattutto, senza mai trasferire sovranità alla potenza occupante. Continua a leggere “Parlare di Palestina non si può”
Congo belga, la grande razzia
C’è voluto oltre un secolo perché un sovrano belga rompesse finalmente il muro del silenzio e dell’ipocrisia riconoscendo gli orrori commessi in Congo dal suo predecessore Leopoldo II a partire dalla fine del XIX secolo. “Esprimo il mio più profondo rammarico per gli atti di violenza e le sofferenze inflitte al Congo belga”, ha scritto re Filippo in una lettera indirizzata al presidente della Repubblica Democratica del Congo in occasione del sessantesimo anniversario dell’indipendenza del Paese. Eppure, già nel 1899, Joseph Conrad aveva fatto pronunciare quel famoso grido di fronte alle teste impalate degli indigeni (“Che orrore! Che orrore!”) al protagonista del suo Cuore di tenebra. Per qualche misteriosa ragione re Leopoldo II del Belgio non è ancora annoverato tra i principali satrapi del XX secolo, sebbene ciò che mise in atto in Congo durante il suo regno sia stata una delle più grandi tragedie dell’epoca moderna. Poco importa che sul piano giuridico sia corretto o meno definirlo “genocidio”. Resta il fatto che a partire dagli ultimi decenni dell’Ottocento la popolazione congolese fu dimezzata a causa degli omicidi di massa, della fame, della malattia e del lavoro forzato. Continua a leggere “Congo belga, la grande razzia”
Ricordo di Jenin. In memoria di Shireen Abu Akleh
di Shireen Abu Akleh
La giornalista di Al Jazeera Shireen Abu Akleh è stata uccisa a sangue freddo da un cecchino dell’esercito israeliano mentre stava lavorando nel campo profughi di Jenin.
Quello che segue è uno degli articoli che Akleh scrisse l’anno scorso da Jenin.
Probabilmente è stata una coincidenza a riportarmi indietro di vent’anni. Quando sono arrivata a Jenin a settembre, non mi aspettavo di rivivere questa sensazione travolgente. Jenin è sempre la stessa fiamma inestinguibile che ospita giovani senza paura che non sono intimiditi da alcuna potenziale invasione israeliana. Il successo della fuga dalla prigione di Jalbou è stato il motivo per cui ho trascorso diversi giorni e notti in città. È stato come tornare al 2002, quando Jenin visse qualcosa di unico, diverso da qualsiasi altra città della Cisgiordania. Verso la fine dell’Intifada di Al-Aqsa, cittadini armati si sparpagliarono per tutta la città e sfidarono pubblicamente le forze di occupazione a fare irruzione nel campo. Continua a leggere “Ricordo di Jenin. In memoria di Shireen Abu Akleh”
Nord Irlanda: “la polizia fu complice dei killer lealisti”
Avvenire, 9 febbraio 2022
La polizia dell’Irlanda del Nord fu complice degli squadroni della morte lealisti protestanti nell’ultima fase del conflitto anglo-irlandese. Ad affermarlo è il rapporto che il Police Ombudsman, il Difensore Civico della polizia nordirlandese, Marie Anderson ha reso noto ieri, dimostrando con prove schiaccianti l’esistenza di una prassi sistematica di collusione tra gli agenti e i gruppi paramilitari lealisti. Continua a leggere “Nord Irlanda: “la polizia fu complice dei killer lealisti””
Era mio padre e lo uccisero nella “Domenica di sangue”
L’infanzia di Tony Doherty finì all’improvviso esattamente cinquant’anni fa, in un giorno di festa che sfociò in uno dei più gravi massacri compiuti dall’esercito britannico in Irlanda del Nord. Domenica 30 gennaio 1972 migliaia di uomini, donne e bambini manifestarono pacificamente per le strade di Derry reclamando uguaglianza e pari dignità sul lavoro, il diritto alla casa e la fine del voto per censo, all’epoca ancora in vigore nella piccola provincia britannica. Ma l’imponente corteo partito dalle alture che dominano il centro cittadino non arrivò mai a destinazione. Quando i manifestanti raggiunsero il ghetto cattolico di Bogside un reggimento speciale di paracadutisti inglesi armato con mitragliatrici pesanti iniziò a sparare sulla folla. Tredici uomini rimasero uccisi e un altro – gravemente ferito – sarebbe morto alcuni mesi dopo. Tony Doherty, l’autore del toccante memoir Il piccolo di papà. Storia di un’infanzia nell’Irlanda del Bloody Sunday (Nutrimenti, traduzione di Maria Antonietta Binetti, pagg. 160, 17 euro), aveva appena nove anni quando il suo amatissimo padre entrò nell’elenco delle vittime di una strage che era destinata a far precipitare l’Irlanda in uno dei periodi più bui della sua storia recente. Continua a leggere “Era mio padre e lo uccisero nella “Domenica di sangue””
Una sola Irlanda dopo cent’anni in solitudine
Il venerdì di Repubblica, 31 dicembre 2021
In questo 2021 che si conclude, l’Irlanda del Nord ha compiuto cent’anni ma a nessuno è venuto in mente di festeggiare. L’entrata in vigore della Brexit, poi, ha segnato inequivocabilmente la fine di un esperimento politico solcato da decenni di sangue e violenza. Mary Lou McDonald, presidente del Sinn Féin – ormai il principale partito in tutta l’isola – è stata piuttosto chiara in proposito: “La divisione dell’Irlanda è stata una catastrofe che ancora oggi divide il nostro popolo”. A imporla fu il governo britannico, per cercare di risolvere una volta per tutte la questione irlandese. Nel 1921 Londra tracciò i confini in modo del tutto arbitrario, mantenendo il controllo della zona industrializzata dell’isola e assicurando una maggioranza di due terzi ai protestanti. Ma invece di risolvere il problema lo incancrenì: lo stato dell’Irlanda del Nord degenerò subito nel caos e nella guerra, ritrovando la pace soltanto in tempi recenti, con l’Accordo del Venerdì Santo del 1998. Continua a leggere “Una sola Irlanda dopo cent’anni in solitudine”