Quanto ci manca Tiziano Terzani


Quanto ci manchi, Tiziano. Nel 2001 avevi già intuito che la cosiddetta “guerra al terrorismo” scoppiata dopo l’attacco alle Torri gemelle avrebbe avviato lo smantellamento dei pilastri del diritto internazionale, l’attacco definitivo a un’idea di mondo che si era formata dopo la Seconda guerra mondiale. Quel 11 settembre fu l’ultimo spartiacque della tua vita. Di fronte agli attacchi a New York e Washington scegliesti di impegnarti con tutte le sue forze per far capire all’Occidente che la strada giusta non era quella della vendetta ma quella del dialogo.

Quelle tue parole oggi suonano profetiche: “l’orrore indicibile è appena cominciato ma è ancora possibile fermarlo facendo di questa fase una grande occasione di ripensamento. Certe concitate parole, pronunciate dalle lingue sciolte, servono solo a risvegliare i nostri istinti più bassi, ad aizzare la bestia dell’odio che dorme in ognuno di noi e a provocare quella cecità delle passioni che rende pensabile ogni misfatto e permette, a noi come ai nostri nemici, il suicidarsi e l’uccidere”.
Poi sei partito subito per il Pakistan e per l’Afghanistan, per denunciare senza mezzi termini l’intervento militare statunitense, i bombardamenti sui civili, la strage di tanti innocenti. Il tuo libro Lettere contro la guerra fu l’antidoto alle violente invettive anti-islamiche della tua illustre concittadina Oriana Fallaci, le riflessioni di un uomo che per tutta la vita aveva fatto il corrispondente di guerra, e in quel momento sentiva il dovere di portare un messaggio di pace. Il governo statunitense rimase indignato da alcuni passaggi del tuo libro, che venne rifiutato da tutti gli editori di lingua inglese proprio per la sua onestà intellettuale. Proprio come sta accadendo adesso alle voci critiche che si levano coraggiosamente contro il governo di Israele. Quanto servirebbe, anche oggi, la tua voce libera e autorevole in questo mondo alla deriva.
Allora ci provasti in tutti i modi, partecipando alla campagna “Fuori l’Italia dalla guerra” di Emergency a fianco di Gino Strada. Nelle scuole, nelle piazze, ovunque ti chiamassero, continuavi a ripetere che la moralità andava rimessa al centro della nostra vita. Dopo essere stato uno straordinario testimone del XX secolo, cercavi di insegnarci la necessità di recuperare il senso della misura, di sentirci parte dell’universo e non suoi padroni, di saper guardare alle cose non solo come a puri oggetti di possesso e di dominio. L’hai fatto con la semplicità che soltanto i grandi riescono ad avere. La tua autorevolezza non derivava solo dal fatto di aver vissuto in Asia per decenni viaggiando e raccontando i fatti più significativi del Secondo dopoguerra, dalla guerra del Vietnam alla morte di Mao, dalla caduta del comunismo alla strage di piazza Tien An Men. A renderti un gigante fu la tua straordinaria onestà intellettuale.
In Cambogia avevi visto con i tuoi occhi i rivoluzionari di Pol Pot in preda a un fanatismo cieco, causare in poco tempo la morte di circa un terzo della popolazione. Eri abituato a raccontare sempre la verità, perché ritenevi che fosse quello il tuo primo dovere. Per questo un giorno sei stato costretto a prendere le distanze dall’idea che le guerre e le rivoluzioni potessero in qualche modo contribuire a migliorare il mondo. La tua fu una presa di coscienza graduale e ineluttabile, che in un memorabile articolo dal titolo “Ci eravamo sbagliati”, ti portò ad ammettere un fatale errore di valutazione nei confronti dei khmer rossi, che incarnavano inizialmente una speranza di riscatto per il popolo cambogiano. Quell’articolo fu un duro atto d’accusa verso te stesso e verso tutti quelli che avevano creduto che la rivoluzione cambogiana potesse portare la pace e il benessere al piccolo paese asiatico. Da sinistra ti definirono allora un reazionario mentre da destra ti accusarono di esserti lavato la coscienza troppo tardi.
In Cina sei diventato il primo corrispondente di un periodico occidentale ammesso nel regime di Mao Tse Tung. Speravi di poter testimoniare l’esistenza di un sistema alternativo al capitalismo e al consumismo. Ancora una volta sei stato costretto però a scontrarti con una fatale disillusione. Da lontano, la Cina di Mao ti sembrava un luogo dove sarebbe stato possibile ristabilire la giustizia sociale. Ma osservando il regime comunista dall’interno ti sei reso conto di quanto quell’idea di uguaglianza e giustizia fosse del tutto utopistica. E anche in quel caso hai avuto il coraggio di ammettere la tua sconfitta ideologica, raccontando fino in fondo quello che vedevi e criticando apertamente il regime maoista. I tuoi articoli sul Der Spiegel smascherarono l’orrore e la devastazione della Rivoluzione culturale di Mao. Rivelarono con lucidità e rigore come la Cina fosse diventata una dittatura brutale che si reggeva su delazioni e sospetti. Finché nel 1984 non ti espulsero con l’accusa di aver svolto “attività controrivoluzionarie”. Con altrettanto coraggio, nella seconda metà degli anni ‘80, non hai mancato di denunciare anche le profonde contraddizioni del capitalismo giapponese.
Quelle che ci hai lasciato, Tiziano, non sono soltanto grandi testimonianze letterarie, pietre miliari del giornalismo contemporaneo in cui sei riuscito a raccontarci i fatti un attimo prima che diventassero storia. Ci hai trasmesso anche una grande eredità spirituale, un richiamo alle nostre coscienze, tracciando il possibile percorso verso un futuro migliore.

2 pensieri riguardo “Quanto ci manca Tiziano Terzani”

  1. LA TERZA GUERRA MONDIALE? MA E’ IN CORSO DA TEMPO

    Gianni Sartori

    Un documento dell’Accademia della Modernità Democratica parla esplicitamente di Terza Guerra Mondiale già in atto

    O almeno è quanto si sosteneva in una brochure di 38 pagine (“Possibilità e pericoli della terza guerra mondiale”) pubblicata in gennaio dall’Accademia della Modernità Democratica.

    Sempre, beninteso che non si tratti ormai della quarta (ricordate quanto diceva negli anni novanta il comandante Marcos?).

    Tale Accademia (https://democraticmodernity.com/) si presenta come“un organismo autonomo di investigazione, riflessione e diffusione della lotta del popolo Curdo”. Nel documento si considerano vari ambiti e aspetti (teorici, politici, strategici…) con cui analizzare l’attuale “complessa crisi di civilizzazione” attraversata dal genere umano. Senza escludere il rischio di una possibile sua estinzione.

    Partendo dal presupposto che in realtà “la terza guerra mondiale è già in corso”, pur differenziandosi dalle due precedenti. In quanto si sviluppa sia sul piano geografico- temporale che nei metodi, almeno apparentemente, attraverso una molteplicità di conflitti indipendenti tra loro (sempre apparentemente). A corrente alternata, sia per intensità che per localizzazione.

    Il documento individua cinque elementi costituivi, veri indicatori:

    guerre di lunga durata a (relativamente) bassa intensità (v. Afghanistan, Somalia, Libia, Siria, Irak, Yemen, Ucraina…). Conflitti nel corso dei quali vengono distrutti non solo le strutture statali, ma anche il tessuto sociale stesso;
    b) guerre economiche attraverso l’imposizione di dazi, divieti di importazione, sanzioni globali…con cui i vari contendenti cercano di piegarsi vicendevolmente. A tal fine alcuni Stati (Cina, Russia Unione Europea, Stati Uniti, Gran Bretagna…) farebbero uso di molteplici strumenti (economici, mediatici, politici, militari…senza escludere quelli biologici);

    c) alleanze flessibili (a “geometria variabile”, già sperimentata nella strumentalizzazione di alcuni movimenti indipendentisti) a livello sia militare che economico e politico. Vedi il conflitto in Ucraina tra USA e Russia, mentre in Siria le due potenze non esitano coordinarsi a livello militare (in particolare contro Isis e tenendo relativamente sotto controllo, molto relativamente, la pressione di Ankara).

    4) l’uso dei mezzi di comunicazione come arma ideologica (ma questa non è certo una novità) favorendo una generale omogeneizzazione (e omologazione) di abitudini, culture, stili di vita.

    5) ormai parte integrante di questa terza guerra mondiale (almeno potenzialmente, ma in parte già utilizzate) anche la guerra biologica, la guerra chimica, le armi nucleari tattiche…

    Per concludere ricordando la recente epidemia di Covid-19, funzionale all’ulteriore deterioramento della coesione sociale e delle possibilità di autogoverno popolare a causa della paura, della diffidenza generalizzata, della mancanza di sicurezza. Sul ciglio del precipizio, masse ormai totalmente sotto vigilanza tecnologica, isolate e sradicate, sotto controllo e impossibilitate a comprendere (non parliamo di opporsi) le strategie di militarizzazione poste in atto dagli Stati.

    Una visione troppo pessimista, catastrofista?

    Ovviamente la percezione di quanto sta accadendo (o meglio: è già accaduto) è diversa per chi vive quotidianamente sotto le bombe, esposto alle aggressioni di eserciti e milizie. Sarebbe comunque il caso di pensarci finché – forse – siamo ancora in tempo. E i Curdi, con la loro lunga esperienza, avrebbero qualcosa da insegnarci.

    Gianni Sartori

  2. APPELLO PER UNA RIVOLUZIONE ALIMENTARE (VEGETARIANA, OCCORRE DIRLO ?) GLOBALE

    Gianni Sartori

    L’aviaria imperversa, lo spillover è alle porte (o magari già nel tinello) e lo spettro del “Quarto cavaliere” aleggia tetro sul pianeta. Ma – cinicamente e ciecamente – non si vuole affrontare il problema alla radice: quello degli allevamenti più o meno intensivi. Eppure la soluzione sarebbe a portata di mano…

    Scrivo quanto segue ben sapendo che difficilmente verrà pubblicato. Non per “censure” di qualche genere, ma perché semplicemente non interessa. A chi è (o si considera) di sinistra perché comunque “viene prima l’uomo” (antropocentrismo, malattia cronica – o senile ? – del socialismo ?); alle altre anime belle (democratici, autonomisti, cristiani…) per ragioni similari e perché sotto sotto allineati (sussunti ?) alle bronzee legge del profitto (“non vorrai mica mettere in discussione chi lavora”? Ossia allevatori & C.).

    Tuttavia (citazione) “ tiro avanti e non mi svesto degli abiti che son solito portare”.

    Inquietanti segnali ci segnalano che l’influenza aviaria si avvia a divenire (o è già diventata) “malattia globale”.
    A parte l’Australia (ma solo per ora), casi di H5N1 sono stati individuati in ogni angolo del globo terraqueo (con svariate varianti).
    Negli USA risultano contaminati allevamenti di ogni genere, dai polli ai cosiddetti “animali da pelliccia” (linci, volpi, visoni..). Casi comprovati, per ora, di circa 250 allevamenti in 14 stati.

    Più recentemente anche “bovini da latte” (sempre cosiddetti).
    La contaminazione per lo più avviene transitando da un allevamento all’altro. Vuoi per l’inveterata tradizione statunitense di spostare il bestiame in giro per il “Grande Paese” (cowboy si nasce…), vuoi per le attrezzature della mungitura infettate.

    Da qui lo spillover più temuto, il passaggio agli umani, è almeno probabile. Come in una quindicina di casi recentemente registrati in California, originati sia da bovini che dai polli.

    Ma, mentre la notizia del 14° caso di infezione nell’uomo di quest’anno negli USA (nel settembre 2024) segnalato in Missouri dal CDC (Centre for Disease Control), presenta toni preoccupati, drammatici (non ancora apocalittici, ma basta avere pazienza), quella dello sterminio “preventivo” di oltre 800mila (ottocentomila !) galline a Codigoro (Ferrara) passa come normale amministrazione (delle “risorse” presumo). Così come recentemente per quello nel veneziano, a Mira (abbattimento di circa 30mila tacchini).

    Due pesi e due misure o mancanza assoluta di sensibilità (non dico empatia)?
    Non vorrei farla troppo lunga. La soluzione, l’unica, esiste. Ossia smettere di allevare animali. Non entro nemmeno nella discussione per quelli cosiddetti “da pelliccia” (un abominio totale). Ma il discorso vale anche per quelli “destinati alle vostre tavole”, ossia polli, tacchini, maiali, conigli, vitelli…

    Sia intensivamente che “tradizionalmente” a ‘sto punto.
    Insomma smettiamola (smettetela) di mangiarli. Oltre che per ragioni etiche (definirle “umanitarie” mi sembra una contraddizione), per ragioni di pura e semplice sopravvivenza dell’homo (cosiddetto) sapiens.

    Gianni Sartori

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *