Georgofili, il dolore è ancora vivo

Avvenire, 27 maggio 2023


Da quella notte di trent’anni fa, in cui perse gran parte della sua famiglia, non c’è stato un giorno in cui Luigi Dainelli non abbia ripensato alle sue nipotine Nadia, 9 anni, e Caterina, appena 50 giorni. Furono inghiottite entrambe dal crollo della Torre dei Pulci insieme ai loro genitori, il padre Fabrizio Nencioni e la madre Angela Fiume, custode dell’Accademia dei Georgofili. L’autobomba che Cosa Nostra fece esplodere il 27 maggio 1993 a due passi dalla Galleria degli Uffizi li uccise tutti sul colpo insieme a Dario Capolicchio, 22enne studente universitario fuori sede che viveva nel palazzo di fronte. Altre quarantotto persone rimasero ferite.
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“A Londra qualcuno non voleva l’accordo di pace in Irlanda”

Intervista a Gerry Adams (Avvenire, 11 maggio 2023)


C’è chi giura che Gerry Adams stia preparando l’ennesimo colpo di teatro della sua lunga carriera politica. E punti a farsi eleggere presidente della Repubblica d’Irlanda nel 2025, quando Michael D. Higgins lascerà al termine del suo secondo mandato. Quel che è certo è che l’uomo che ha traghettato l’IRA verso la fine della lotta armata continuerà a battersi fino alla fine dei suoi giorni per difendere l’Accordo di pace del Venerdì Santo dalle onde d’urto della Brexit e dalle minacce dei gruppi armati dissidenti. Cinque anni fa lasciò la presidenza dello Sinn Féin dopo aver guidato il partito ininterrottamente per 35 anni e averlo reso capace di raccogliere la maggioranza di consensi in tutta l’isola. Dal 2020 non ricopre più alcuna carica elettiva ma continua a essere un leader carismatico ascoltato sia in Irlanda del Nord che nel resto del mondo.
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Isole Aran, poesia ai confini del mondo

Avvenire, 28 aprile 2023

foto di Riccardo Michelucci

Inishmore (isole Aran), Irlanda

Nell’isola ai confini del mondo è facile smarrire del tutto la concezione del tempo. Da quando il traghetto molla gli ormeggi dal porticciolo di Rossaveel, immerso nelle nebbie eterne del Connemara, l’orologio segna tre quarti d’ora di traversata per raggiungere Inishmore, la più grande delle isole Aran. Ma forse è un’illusione, perché in questa striscia di roccia calcarea sferzata dal vento e sperduta nell’Atlantico il tempo sembra essersi fermato. Gli abitanti più anziani la chiamano ancora Inis Mór, e ricordano l’epoca in cui era considerata l’ultima roccaforte della cultura gaelica contro l’anglicizzazione dell’Irlanda. Una terra che dette i natali al più grande poeta in lingua irlandese, Máirtín Ó Direáin, e poi allo scrittore Liam O’Flaherty, l’illustre esponente del Rinascimento irlandese che sull’isola ambientò molti suoi romanzi.
Al volgere del XIX secolo vi mise piede per la prima volta anche un drammaturgo dai baffi cadenti e dall’aria malinconica che sarebbe diventato uno dei grandi del teatro irlandese, John Millington Synge.

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Belfast, 25 anni di pace con qualche ombra sul futuro

Avvenire, 9 aprile 2023

Erano le 17,36 del 10 aprile 1998 quando il senatore statunitense George Mitchell uscì dalle stanze del palazzo di Stormont e annunciò davanti alle telecamere di tutto il mondo che l’accordo di pace era stato sottoscritto. La più lunga guerra europea del XX secolo, che affondava le radici nei secoli precedenti, poteva dirsi finalmente conclusa. La fase decisiva dei negoziati era durata trenta ore ininterrotte e fino all’ultimo aveva rischiato di saltare facendo precipitare di nuovo l’Irlanda del Nord nel caos. Gli unionisti guidati da David Trimble erano stati sul punto di andarsene ma Blair era riuscito a trattenerli mettendo per iscritto vincoli temporali precisi sullo smantellamento degli arsenali dell’IRA. A Belfast il vento della storia soffiava forte in quei giorni e nel corso delle trattative un gruppo di bambini aveva legato ai cancelli del palazzo di Stormont palloncini colorati e cartelli che invocavano la pace. Un corrispondente statunitense osservò che mentre a Dayton serbi, croati e musulmani avevano fatto la pace in Bosnia sotto la minaccia dei bombardieri americani, a Belfast i negoziatori erano stati costretti a mettersi d’accordo per non deludere quei bambini.

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Sarajevo, il romanzo dell’assedio

Avvenire, 29 marzo 2023

Il racconto intimo della pulizia etnica di una metropoli europea. La cronaca di un urbicidio. Un ambizioso romanzo politico che diventa anche l’affresco di un’epoca tragica che speravamo di esserci lasciati alle spalle. Il bosniaco Damir Ovcina non sarebbe mai riuscito a scriverlo, se da ragazzo non avesse vissuto sulla propria pelle l’orrore nella sua città, Sarajevo, durante il più lungo assedio dai tempi della Seconda guerra mondiale. Il suo romanzo Preghiera nell’assedio (Keller, traduzione di Estera Miocic, pagg. 704, euro 22) è un’opera prima che trasforma quell’orrore in letteratura con uno stile diretto, un’oggettività descrittiva fatta di dettagli minuti ma vigorosamente esplicativi e una lingua che è specchio della desolazione e dell’impotenza di chi visse quei quattro anni di assedio. E anche un romanzo in parte autobiografico, in cui l’esperienza personale si fa narrazione quasi documentaria.

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Oltre la porta un inferno senza ritorno

Avvenire, 17 marzo 2023

Da Riga (Lettonia)
Qui lo chiamano “Baigais gads”, l’anno orribile. Ebbe avvio nell’estate del 1940, quando le truppe sovietiche invasero il Paese e instaurarono un regime di terrore. Il 14 giugno di quell’anno oltre 15mila persone furono deportate in una sola notte. Gli arresti proseguirono a un ritmo incessante per mesi, facendo finire in prigione il presidente della Repubblica Karlis Ulmanis, il ministro degli Esteri Vilhelms Munters e migliaia di persone di tutte le età. Mosca insediò un governo fantoccio che votò per far aderire la Lettonia all’URSS sotto la minaccia di soldati armati, poi decretò la confisca delle proprietà e istituì tribunali speciali per punire “i traditori del popolo”. Seguì un anno intero di sovietizzazione, arresti, torture, esecuzioni, deportazioni e l’eliminazione sistematica di tutte le strutture di base della società civile. Fu in quella tragica estate del 1941 che un edificio al numero 61 di Brivibas Street, a Riga, divenne uno dei luoghi più temuti della capitale. Il famigerato NKVD, il Commissariato del popolo per gli affari interni antesignano del KGB, si insediò nelle sue stanze trasformando questo splendido palazzo in stile Art Nouveau nel centro nevralgico degli orrori del regime sovietico.

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“La mia Jugoslavia, un mondo perduto”

Avvenire, 25 febbraio 2023

“Voi due siete dall’altra parte del confine. Come se qualcuno avesse tracciato una linea attraverso il mio corpo. Ci hanno divisi, ci hanno divisi tutti. Hanno tracciato una linea di confine tra me, mia madre e mio padre. Ora c’è qualcuno che decide se posso vedere i miei genitori”. Non è una divisione generata solo dai checkpoint o dalle carte geografiche, bensì un’irrimediabile lacerazione dei rapporti umani quella di cui parla Vesna, la madre del protagonista di All’ombra del fico (traduzione di Patrizia Raveggi, Keller editore, pagg. 480, euro 20), ponderoso romanzo multi-generazionale ambientato nell’ultimo mezzo secolo di storia dei Balcani. Una saga familiare in cui la perdita dei legami personali diventa una potente metafora della disgregazione della Jugoslavia e dei radicali cambiamenti di prospettiva che derivarono dalla fine di quel mondo. Non a caso l’autore, lo sloveno Goran Vojnovic, è nato nel 1980 subito dopo la morte di Tito e appartiene a una generazione che si è ritrovata priva di identità in un Paese che all’improvviso cessò di esistere.

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Savitskij, che salvò l’arte sovietica ai tempi di Stalin

Avvenire, 12 febbraio 2023

“Ho trovato questi dipinti arrotolati sotto i letti di vecchie vedove, sepolti tra la spazzatura di famiglia, in angoli bui di studi d’arte, a volte utilizzati come rattoppi per i buchi nel tetto. Ne è venuta fuori una collezione che nessuno in Unione Sovietica avrebbe avuto il coraggio di mettere in mostra”. Igor Savitsky, archeologo russo con la passione per l’arte, non immaginava che con la sua attività di collezionista sarebbe passato alla storia rendendo un servizio all’umanità. Nel 1950 era arrivato a Nukus, nell’Uzbekistan del nord, al seguito di una spedizione etnografica e archeologica. Lontano da Mosca e dal clima opprimente che soffocava ogni istanza culturale non asservita al regime si era sentito finalmente libero e aveva deciso di stabilirsi in quella cittadina delle steppe centro-asiatiche. Si era messo a collezionare manufatti locali, tessuti e gioielli, poi aveva iniziato a raccogliere opere d’avanguardia di pittori dissidenti vittime del terrore stalinista.

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L’artista che sfida Putin con i manifesti

Avvenire, 10 febbraio 2023

La mostra di opere d’arte di Elena Osipova doveva rimanere aperta nel centro di San Pietroburgo fino al 24 febbraio, primo anniversario dell’attacco russo all’Ucraina. Così avrebbe voluto l’anziana artista che aveva deciso di esporre una trentina di manifesti contro guerra nei locali del partito di opposizione russo Yabloko. Uno di essi mostra il volto di una bambina, i capelli biondi e gli occhi grandi, con la scritta “mamma ho paura della guerra” in lingua russa e ucraina. In un altro spicca invece una gru bianca in cui si legge “La Russia è in lutto. Si pente. La Russia non è Putin”.

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