Avvenire, 21.6.2016
“A quanto dicono sembra quasi che l’Inghilterra non faccia parte dell’Europa”. Nel XVIII secolo il grande filosofo Edmund Burke, critico nei confronti della Rivoluzione francese, rispondeva così a chi sosteneva che quanto stava accadendo in Francia non avrebbe avuto alcuna conseguenza sull’Inghilterra, semplicemente perché era un’isola. Secondo Burke, passato alla storia come il Cicerone britannico, era vero il contrario: Londra era il cuore dell’Europa, oltre che la capitale di un immenso impero nato essenzialmente dalle rivalità tra gli stati europei. Burke era in realtà di origini irlandesi, proprio come lo storico contemporaneo di Cambridge Brendan Simms, che ha ripreso anche le riflessioni del grande pensatore del ‘700 per costruire la sua storia dei rapporti tra l’Inghilterra e l’Europa con l’obiettivo di dimostrare quanto sarebbe anti-storica un’uscita di Londra dall’UE in seguito al referendum del prossimo 23 giugno. Studioso noto per le sue capacità di collegare l’analisi storica con l’attualità, anni fa Simms pubblicò un libro che fece scalpore, nel quale condannava la politica estera britannica durante la guerra in Bosnia sostenendo che in quell’occasione furono ripetuti gli errori commessi con Hitler nel 1938.
In questo nuovo autorevole saggio (Britain’s Europe. A Thousand Years of Conflict and Co-operation, Penguin, pagg. 352) lo studioso di Cambridge esamina invece i profondi e plurisecolari legami che rendono ormai inscindibile il rapporto tra l’Inghilterra e il continente europeo. Legami che risalgono ai tempi della Cristianità medievale, e che videro l’Inghilterra nascere dalle lotte contro i Vichingi per poi consolidare la propria identità nazionale in risposta alle minacce provenienti dall’altra parte della Manica, da Filippo II a Luigi XIV, da Napoleone alla Germania imperiale. Un rapporto sempre biunivoco, considerando il ruolo cruciale giocato dalla Gran Bretagna nell’equilibrio dei poteri sul continente. Il legame di carattere territoriale con l’Europa, sostiene Simms, fu perduto alla metà del XV secolo, al termine della guerra dei Cento anni, una data che da sempre la storiografia prende come punto di riferimento per segnare la fine del Medioevo europeo. Ma quello stesso legame fu poi recuperato all’inizio del ‘700, quando il casato di Hannover, di origine tedesca, succedette agli Stuart sul trono britannico governando ininterrottamente per quasi due secoli, da Giorgio I a Vittoria. La tesi di questo libro sembra dunque dare pienamente ragione al primo ministro inglese David Cameron che alcune settimane fa, per sostenere il suo ‘no’ deciso alla Brexit, ha affermato che l’uscita della Gran Bretagna dall’UE costituirebbe persino una minaccia alla pace, e ha citato in questo senso le antiche guerre con la Spagna e la Francia, dalla Invincibile Armata alla battaglia di Blenheim, da Trafalgar a Waterloo.
Ma nel corso dei secoli non furono soltanto le guerre a consolidare un concetto di Europa del quale anche l’Inghilterra è da sempre parte integrante: il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda, ad esempio, fu creato come unione parlamentare proprio in risposta alle influenze e alle pressioni provenienti dal sistema politico europeo. Simms contesta dunque apertamente le argomentazioni di quegli storici che anche in epoche recenti hanno sottolineato il carattere ‘insulare’ della storia britannica – come se le differenze geografiche, da sole, bastassero per scavare un solco geopolitico e strategico – e afferma al contrario che la storia dell’Inghilterra, e poi della Gran Bretagna, è stata essenzialmente una storia ‘continentale’ poiché costante è stata la centralità dell’Europa nella storia britannica, i cui destini sono stati indirizzati e modellati proprio dai rapporti col resto d’Europa.
A suo avviso, l’eventuale uscita di Londra dall’Europa non sarebbe soltanto anti-storica ma anche controproducente, poiché creerebbe un inevitabile effetto domino – con altri paesi che deciderebbero di andarsene – nonché seri rischi per la sicurezza di tutto l’Occidente. L’articolato excursus storico contenuto nei primi otto capitoli del libro si rivela così l’architrave delle sue conclusioni di carattere strettamente politico. Oggi che l’Europa sta vivendo una delle sue crisi più gravi dal 1945, stretta tra la minaccia del terrorismo internazionale, l’autoritarismo russo e una crisi economica senza precedenti – sostiene Simms -, tornano di grande attualità le parole pronunciate da Winston Churchill all’Università di Zurigo il 19 settembre 1946, cioè il suo famoso Appello agli Stati Uniti d’Europa. “Se l’Europa dev’essere salvata da una miseria senza fine e dalla rovina finale – disse l’ex primo ministro conservatore – è necessario un atto di fede nella famiglia europea e un atto di oblio verso tutti i crimini e le follie del passato”.
Non solo Londra non deve assolutamente lasciare l’UE, afferma lo storico di Cambridge, ma deve farsi promotrice di un’unione federale sul modello degli Stati Uniti d’America, un’unione fiscale e militare formata dai paesi della zona euro. Quanto alla Gran Bretagna e agli altri paesi fuori dall’unione monetaria, questi manterrebbero legami di carattere confederale col continente attraverso la difesa, ovvero tramite la Nato. È qui che l’affascinante ricostruzione storica da lui compiuta attraverso i secoli cede il passo a un’argomentazione politica che appare discutibile, specie in un momento come questo, con i paesi dell’UE costretti a fare fronte a un elettorato sempre più euroscettico e al proliferare dei nazionalismi in Grecia, in Ungheria, in Polonia, ma anche in Francia e in Olanda. E dunque assai poco disposti a ulteriori cessioni di sovranità.
RM