Irlanda, la maglia del Linfield inneggia alla violenza

Avvenire, 14 giugno 2020

“Quella sarà la nostra nuova maglia da trasferta, non abbiamo niente da rimproverarci e non intendiamo modificarla”. Roy McGivern, presidente e padre padrone del Linfield FC, replica così, in modo lapidario, alle critiche rivolte in questi giorni alla società di Belfast, una delle più antiche e titolate squadre di calcio dell’Irlanda del Nord. I colori scelti dal club per la seconda maglia da gioco della stagione 2020/2021 (arancione e porpora con una banda trasversale) sono esattamente gli stessi del più famigerato gruppo paramilitare protestante, l’Ulster Volunteer Force. Continua a leggere “Irlanda, la maglia del Linfield inneggia alla violenza”

Loughinisland, la strage deve restare un mistero

Venerdì di Repubblica, 23.11.2018

Quando nel 2012 l’allora primo ministro inglese David Cameron denunciò l’esistenza di “un livello impressionante di collusione” tra lo stato britannico e i gruppi paramilitari lealisti dell’Irlanda del Nord non fu preso troppo sul serio. Eppure molte inchieste avevano già rivelato il coinvolgimento delle forze di sicurezza in omicidi indiscriminati e operazioni sotto copertura contro i civili irlandesi tra gli anni ‘70 e i ‘90. Il tema è riemerso con forza nelle settimane scorse, quando decine di poliziotti armati si sono presentati la mattina presto a casa di Barry McCaffrey, uno dei più noti giornalisti di Belfast, e l’hanno arrestato. La stessa sorte è toccata poi anche al produttore cinematografico Trevor Birney. Entrambi avevano lavorato recentemente a No Stone Unturned, il documentario uscito un anno fa con la regia del premio Oscar Alex Gibney, che indaga sul più controverso massacro avvenuto negli ultimi mesi del conflitto in Irlanda del Nord. Il 18 giugno 1994 un commando del gruppo paramilitare lealista UVF fece irruzione in un pub del piccolo villaggio di Loughinisland, nella contea di Down, e aprì il fuoco sulle persone riunite a guardare la partita dei mondiali di calcio tra Italia e Irlanda. Sei cattolici irlandesi rimasero uccisi a sangue freddo in quello che fu definito “il massacro della coppa del mondo”, i cui colpevoli sono tuttora in libertà. Fin da subito emersero fondati sospetti che i killer avessero agito d’intesa con le forze di sicurezza britanniche e un recente rapporto del Police Ombudsman, il Difensore civico della polizia, Michael Maguire ha confermato che si trattò dell’ennesimo caso di collusione tra i paramilitari protestanti e le forze di polizia dell’Ulster.

Il luogo della strage

Il documentario di Gibney si spinge oltre: fa i nomi degli assassini e rivela che le indagini furono insabbiate perché il capo del commando era un informatore di spicco del governo britannico, che oggi vive indisturbato non lontano dal luogo del massacro. Ma invece dell’arresto e dell’incriminazione dei colpevoli sono scattate le manette per McCaffrey e Birney, sospettati di aver sottratto indebitamente documenti riservati dagli uffici di Maguire. Rilasciati su cauzione, i due dovranno essere interrogati di nuovo il 30 novembre, sebbene nel frattempo nessuna accusa sia stata formalizzata nei loro confronti e l’Ombudsman abbia fatto sapere di non aver denunciato alcun furto dai suoi uffici. Il regista Alex Gibney non ha dubbi: “gli arresti sono un chiaro atto intimidatorio per prevenire ulteriori inchieste sull’operato della polizia e delle forze di sicurezza in quegli anni”.
RM

Famiglie cacciate di casa a Belfast est

Avvenire, 8.10.2017

Sembra di essere tornati tristemente indietro nel tempo a Belfast, dove nei giorni scorsi un gruppo di famiglie cattoliche dell’area di Ravenhill, alla periferia meridionale della città, è stato costretto ad abbandonare le proprie abitazioni nel cuore della notte a causa delle intimidazioni ricevute dai paramilitari lealisti dell’Ulster Volunteer Force. “Ci minacciano perché siamo cattolici”, ha spiegato uno dei residenti, “ci hanno detto che se non avessimo lasciato le nostre case, ce ne saremmo pentiti amaramente”. La polizia dell’Irlanda del Nord ha confermato di essere a conoscenza del rischio di un possibile attacco nei loro confronti ma ha anche ribadito di non essere in grado di identificare gli autori delle minacce. Un paio di giorni dopo, le quattro giovani famiglie cattoliche hanno potuto fare ritorno nelle loro case, scortate dagli agenti, ma soltanto per raccogliere le proprie cose. Da circa un anno vivevano in questa nuova zona residenziale mista che era stata realizzata appositamente per permettere a cattolici e protestanti di convivere in base a un progetto dell’esecutivo di Stormont, che è bloccato dall’inizio dell’anno da uno stallo politico apparentemente irrisolvibile. Durante l’estate, sui lampioni di Cantrell Close – la strada dove vivevano le quattro famiglie – erano state esposte le bandiere lealiste dei paramilitari dell’UVF, col chiaro intento di intimidire i residenti cattolici. Una provocazione che aveva peraltro ottenuto il via libera della parlamentare Emma Little-Pengelly, neoeletta nelle file del partito unionista protestante del DUP, che ha cercato di minimizzare l’accaduto. “All’inizio dell’estate ho parlato con decine di famiglie della zona – ha spiegato Little-Pengelly, che è anche figlia di un ex leader dei paramilitari lealisti – e molte persone mi hanno detto di essere favorevoli alla presenza dei vessilli dell’Ulster Volunteer Force perché li sentono parte delle loro tradizioni”. Ma giorni fa un portavoce dell’ente per l’assegnazione degli alloggi popolari ha confermato la gravità della crisi, raccontando che molte famiglie dell’area si presentano nei loro uffici per denunciare minacce e chiedere di essere trasferite. Quanto accaduto a Cantrell Close ha suscitato una reazione unanime da parte dei leader politici di tutti i partiti nordirlandesi, che hanno firmato una dichiarazione congiunta di condanna. “Non possiamo permettere che qualcuno riporti l’orologio indietro al 1969”, ha commentato Máirtin Ó Muilleoir, deputato del Sinn Féin ed ex sindaco di Belfast. “L’UVF dovrebbe aver cessato le proprie attività in seguito all’accordo di pace, eppure la polizia stessa ritiene che sia ancora in attività”. Ieri le bandiere sono state rimosse dalla strada, tra le proteste di alcuni residenti, uno dei quali, intervistato dal Belfast Telegraph, ha detto: “non capisco perché vogliono costringere cattolici e protestanti a vivere insieme, non funzionerà mai”.
RM

Belfast, chi è l’erede di Johnny Adair che minaccia la pace?

Piccoli criminali unionisti crescono, nonostante il processo di pace. La miccia dei violentissimi scontri che hanno incendiato Belfast est nei giorni scorsi pare sia stata accesa da un personaggio ancora misterioso e senza nome (i giornali l’hanno già soprannominato “The Beast of the East”, la bestia dell’est). Le poche informazioni che si hanno di lui lo fanno assomigliare molto a un altro criminale lealista che di umano aveva ben poco: Johnny Adair, il famigerato leader dell’Uda di Belfast Ovest che dopo anni di carcere e varie vicissitudini qualche anno fa è stato ‘esiliato’ dall’Irlanda del Nord su iniziativa della sua stessa comunità. Come Adair, anche “la bestia” starebbe orchestrando una faida interna al mondo degli ex paramilitari lealisti, cercando di guadagnare spazio e credibilità per alimentare le sue attività criminali. Con quale strategia? La stessa di sempre, quella dell’attacco frontale nei confronti del nemico di sempre, per far sembrare ideologico – magari religioso – uno scontro che ha invece finalità molto più prosaiche. D’altra parte, l’enclave repubblicana di Short Strand, nella parte est di Belfast, si presta da tempo a svolgere il ruolo della vittima sacrificale. Circondato dalle peaceline e delimitato dal fiume Lagan, il quartiere è ‘chiuso’ in un reticolato di aree lealiste tra le più calde di Belfast. Un pugno di strade ad alta concentrazione di disoccupazione giovanile che un tempo ospitavano i famosi cantieri navali Harland&Wolff, orgoglio della classe operaia protestante dell’Irlanda del Nord e storicamente precluse ai cattolico-nazionalisti. Proprio qui, nel luglio del 1970, ebbe luogo un famoso episodio di guerriglia urbana che vide per la prima volta in azione i volontari della Provisional I.R.A. a difesa della comunità cattolico-nazionalista. Negli ultimi anni i fondi erogati nell’ambito del processo di pace hanno riqualificate queste strade, partendo dalla loro iconografia. Sono spariti alcuni tra i murales più violenti e settari e al loro posto sono comparse immagini più rassicuranti come quelle di eroi dello sport e musicisti. Poi, inopinatamente, è iniziato un percorso a ritroso fatto di bombe incendiarie e lanci di sassi da parte di uomini in passamontagna e che cade – non certo casualmente – in coincidenza con l’avvio della fase più delicata della stagione delle marce orangiste. Secondo i bene informati, pare che la violenza di questi giorni sia scoppiata anche a causa del giro di vite compiuto dalle forze dell’ordine sulla criminalità lealista e sul traffico di stupefacenti in quell’area di Belfast. Il fatto è che la galassia unionista è nuovamente in subbuglio perché è priva di una leadership in grado i tenere a bada i più violenti: David Ervine, capo storico del Progressive Unionist Party – l’ala politica dell’UVF – è stato stroncato da un attacco cardiaco nel 2007 e il controllo politico sul più importante gruppo paramilitare unionista appare sempre più debole. Il misterioso nuovo leader eloquentemente soprannominato “la bestia” è un ex detenuto appartenente a una nota famiglia lealista di Belfast e ha dimostrato di essere capace di scatenare centinaia di uomini a volto coperto nelle strade, con o senza il consenso dell’UVF.
RM