Dall’Etiopia a Salò, le galere del fascismo

Avvenire, 18 luglio 2020

“Fui sbattuto in cella nel campo di prigionia di Danane insieme ai criminali comuni. C’era una sola latrina per quasi duecento prigionieri, da mangiare ci davano cibo avariato e pieno di vermi. Se ci lamentavamo, le guardie dicevano che stavano eseguendo ordini ricevuti dall’alto”. Nel 1937 il giudice della Corte Suprema di Addis Abeba, Michael Bekele Hapte, fu arrestato insieme a molti suoi connazionali dopo il fallito attentato al viceré d’Etiopia Rodolfo Graziani. Tra gli etiopi incarcerati nella rappresaglia c’erano persino bambini come Imru Zelleke, che aveva appena dodici anni quando fu assegnato alle pulizie dell’infermeria del carcere. “Molti detenuti si ammalarono di malaria, di tifo, di scorbuto e di dissenteria”, ricorda Zelleke, che in seguito sarebbe diventato ambasciatore del suo paese. “Oltre seimila persone furono detenute a Danane e meno della metà di esse riuscì a sopravvivere in quelle condizioni”. Le memorie e le testimonianze dirette della vergognosa campagna fascista in Etiopia sono uno dei tasselli che compongono l’approfondito database del centro di documentazione on-line “I campi fascisti. Dalle guerre in Africa alla Repubblica di Salò” consultabile su internet all’indirizzo www.campifascisti.it. Continua a leggere “Dall’Etiopia a Salò, le galere del fascismo”

I crimini del colonialismo fascista in Etiopia

Avvenire, 20 settembre 2019

Primavera 1936: l’esercito italiano marcia su Addis Abeba e spazza via in pochi giorni il derelitto esercito del Negus etiopico Hailé Selassié. Il 9 maggio Mussolini annuncia trionfalmente la nascita dell’Africa orientale italiana, con l’Etiopia unita alla Somalia e all’Eritrea. La retorica del regime fascista voleva vendicare a tutti i costi la sconfitta di Adua, risalente a quarant’anni prima, e reclamare la conquista di un piccolo e anacronistico “posto al sole” tra le grandi potenze europee. Considerato il divario tra le forze in campo la vittoria italiana era certa fin dall’inizio, eppure Mussolini autorizzò ugualmente l’uso di armi chimiche con effetti devastanti sulle truppe nemiche e sui civili. I crimini compiuti dal colonialismo italiano in Africa restano una pagina poco nota della nostra storia recente, peraltro a lungo ammantata dai confortanti stereotipi degli “Italiani brava gente”. Così si intitolava anche un importante libro di Angelo Del Boca, uscito alcuni anni fa, nel quale il grande storico del colonialismo italiano confutò quel mito una volta per tutte dimostrando – documenti d’archivio alla mano – che la conquista dell’Etiopia fu un’inutile aggressione macchiata anche dall’uso di armi chimiche. Ma certe convinzioni sono dure a morire, se è vero che ancora oggi c’è chi continua a considerare la campagna d’Africa un’impresa eroica. Appare quindi assai utile e opportuna l’uscita di un libro come Cronache dalla polvere (Bompiani), un progetto sperimentale a più mani che racconta in forma inedita l’avventura coloniale del fascismo in Africa. Dietro la firma della fantomatica autrice Zoya Barontini si cela in realtà un gruppo di narratrici e narratori italiani il cui nome collettivo è un omaggio a Ilio Barontini, il partigiano che addestrò e organizzò la resistenza in Etiopia, mentre Zoya è un tipico nome femminile etiope che significa “alba” o “aurora”. I loro racconti non si focalizzano sulla guerra coloniale ma affrontano il periodo immediatamente successivo alla conquista e all’occupazione militare, ricostruendo un ritratto ben poco glorioso del nostro passato recente. Come hanno dimostrato inequivocabilmente anche altri storici, l’impero fascista in Africa fu tanto sgangherato quanto crudele, con villaggi rasi al suolo, stragi insensate e l’uso di gas micidiali come l’iprite. Negli stessi anni in cui il regime di Benito Mussolini propagandava con successo la teoria della “supremazia razziale” dei bianchi. Un momento di svolta si ebbe dopo l’attentato del 19 febbraio 1937 al viceré Rodolfo Graziani: la feroce rappresaglia scatenata dal nostro esercito sfociò nel massacro del monastero di Debra Libanos, costato la vita a migliaia di civili e a centinaia di religiosi. Cronache dalla polvere contiene undici racconti intrecciati tra loro che compongono una narrazione a più facce curata da Jadel Andreetto, che diventa quasi un graphic novel con le illustrazioni di Alberto Merlin. Da un racconto all’altro si susseguono gli stessi personaggi, dando un senso di coesione alla raccolta. Nel gruppo di autori e autrici figurano, tra gli altri, Igiaba Scego, Gaia Manzini, Davide Morosinotto e Lorenza Ghinelli.
RM

Il 25 aprile e la memoria da ritrovare

Il mausoleo realizzato con soldi pubblici alla memoria del maresciallo-macellaio Rodolfo Graziani (massacratore di partigiani e di resistenti libici ed etiopi) non è che l’ennesima dimostrazione di come il fascismo, fra superficialità, opportunismi e complicità, continui a inquinare la nostra fragile democrazia. Fortunatamente il neopresidente della Regione Lazio Zingaretti ha almeno bloccato i fondi per il monumento al gerarca. Di seguito l’illuiminante riflessione di Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera.

25 aprile

I campi di concentramento dove donne e bambini libici vennero rinchiusi dietro il filo spinato, dopo una marcia nel deserto in cui ne morirono migliaia. I massacri indiscriminati in Etiopia compresa la strage dei 1.400 diaconi cristiani di Debra Libanos. Finché si trattò di accanirsi sui civili o di bombardare con il gas, non ebbe scrupoli. Poi, quando si trovò di fronte gli inglesi, pretese di dirigere un esercito valoroso ma male armato e peggio equipaggiato (che pure definiva «il miglior esercito coloniale del mondo») dalle retrovie, per infine perdere la testa in preda al panico.
Ritrovò coraggio al fianco dei nazisti invasori, comandando le truppe della Repubblica di Salò, ordinando la fucilazione non solo dei partigiani ma anche dei renitenti alla leva. Non stiamo parlando di un ragazzo di 18 anni o meno, che aveva scelto la parte sbagliata in buonafede o per costrizione (non è inutile ricordare che «andare a Salò» era nell’Italia occupata un obbligo sanzionato con la morte).
Stiamo parlando di Rodolfo Graziani, condannato nel 1950 a 19 anni di carcere in buona parte condonati, e «riabilitato» da Andreotti nel celebre incontro di Arcinazzo (anche se non ci fu alcun abbraccio, come vorrebbe la vulgata). Un criminale di guerra. Cui il Comune di Affile ha incredibilmente eretto un mausoleo, come fosse un eroe. Ancora più incredibilmente finanziato dalla Regione con 127 mila euro. Una vergogna, denunciata dalla stampa internazionale nell’indifferenza dell’opinione pubblica italiana.
Nicola Zingaretti nel suo blog aveva criticato quella decisione. Ora che è divenuto presidente del Lazio ha bloccato i fondi. Una decisione inevitabile, persino ovvia. Ma era proprio indispensabile attendere l’elezione di un presidente di sinistra? Dal canto suo, l’Anpi annuncia che alle commemorazioni per il 25 aprile non vuole nessuna istituzione pur di non avere Alemanno. Perché? Se un sindaco che viene dalla destra dura degli anni Settanta riconosce i valori della guerra di Liberazione, non sarebbe meglio rallegrarsene anziché impedirgli di farlo? Il punto è che la Resistenza non è una «cosa di sinistra». È un patrimonio che dovrebbe appartenere a tutta la nazione. Ebbe le sue pagine nere, e non è «di destra» denunciarle. Ebbe i suoi eroismi, e non è «di sinistra» ricordarli. In entrambi i casi, è doveroso. Così come sarebbe doveroso smantellare quel mausoleo.
Non è in discussione il giudizio storico sul fascismo. Roma è forse fin troppo indulgente al riguardo: i manifesti e le scritte che inneggiano al Duce, gli ammiccamenti di molti gruppi giovanili, le frequenti profanazioni ai simboli della Resistenza e della persecuzione degli ebrei. Gli italiani si sono autoassolti per il fascismo. Preferiscono ricordare le cose buone – ci mancherebbe pure che in vent’anni non ne fosse stata fatta nessuna – e rimuovere le violenze squadriste, l’assassinio degli oppositori, la privazione della libertà, i tribunali speciali, le leggi razziali, lo sciagurato intervento a fianco di Hitler che portò alla disfatta del nostro esercito e alla catastrofe del Paese. Il monumento a Graziani non offende solo le sue vittime; offende noi, come italiani (e come contribuenti tartassati). Non è una profanazione della memoria; è un’ipoteca sul futuro.