Il 25 Aprile negli occhi di due sedicenni

È finalmente disponibile on line la versione integrale del film 16 “Un 25 aprile a Monte Sole”, con la regia di Stefano Ballini (già autore del bel documentario “Il treno che bucò il fronte”). È la storia di due sedicenni, Cosimo Ballini – studente di San Casciano Val di Pesa – e Ferruccio Laffi, sopravvissuto alla strage di Marzabotto nel 1944, anno in cui aveva anche lui sedici anni. Due generazioni, due mondi apparentemente lontanissimi, eppure più vicini di quanto si sarebbe portati a pensare, s’incontrano nella cornice del 25 aprile a Monte Sole, luogo dove ogni anno in quella data si ritrovano almeno ventimila persone per commemorare l’eccidio compiuto dai nazisti durante la guerra.25 aprile
I due “sedicenni” parlano, si confrontano e nasce una bella amicizia, in mezzo a questa storia c’è quella di Riccardo Lolli, il più anziano partigiano della Brigata Stella Rossa ancora in vita, che narra una storia a lieto fine.
16 “Un 25 aprile a Monte Sole” ha ottenuto l’apprezzamento ufficiale del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che l’ha definita “un’iniziativa volta a trasmettere alle giovani generazioni, attraverso testimonianze e ricordi, la memoria storica delle atrocità belliche che caratterizzarono tristemente il nostro paese durante la Seconda guerra mondiale.  Solo ricordando gli avvenimenti, anche terribili, accaduti nel passato, è possibile evitare che essi si ripetano”.
Fra il 29 settembre e il 5 ottobre 1944 nell’area di Monte Sole vennero massacrate 770 persone, nei modi più violenti e brutali, nelle case, nei luoghi di culto, nei rifugi, in decine e decine di località. Diverse testimonianze raccontano della presenza di fascisti insieme ai tedeschi. Le uccisioni continuano anche dopo quei giorni infernali e alla fine della guerra i comuni di Marzabotto, Monzuno e Grizzana contano 955 uccisi per mano dei nazifascisti. Di questi 216 sono i bambini, 316 le donne, 142 gli anziani, cinque i sacerdoti.

Il 25 aprile e la memoria da ritrovare

Il mausoleo realizzato con soldi pubblici alla memoria del maresciallo-macellaio Rodolfo Graziani (massacratore di partigiani e di resistenti libici ed etiopi) non è che l’ennesima dimostrazione di come il fascismo, fra superficialità, opportunismi e complicità, continui a inquinare la nostra fragile democrazia. Fortunatamente il neopresidente della Regione Lazio Zingaretti ha almeno bloccato i fondi per il monumento al gerarca. Di seguito l’illuiminante riflessione di Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera.

25 aprile

I campi di concentramento dove donne e bambini libici vennero rinchiusi dietro il filo spinato, dopo una marcia nel deserto in cui ne morirono migliaia. I massacri indiscriminati in Etiopia compresa la strage dei 1.400 diaconi cristiani di Debra Libanos. Finché si trattò di accanirsi sui civili o di bombardare con il gas, non ebbe scrupoli. Poi, quando si trovò di fronte gli inglesi, pretese di dirigere un esercito valoroso ma male armato e peggio equipaggiato (che pure definiva «il miglior esercito coloniale del mondo») dalle retrovie, per infine perdere la testa in preda al panico.
Ritrovò coraggio al fianco dei nazisti invasori, comandando le truppe della Repubblica di Salò, ordinando la fucilazione non solo dei partigiani ma anche dei renitenti alla leva. Non stiamo parlando di un ragazzo di 18 anni o meno, che aveva scelto la parte sbagliata in buonafede o per costrizione (non è inutile ricordare che «andare a Salò» era nell’Italia occupata un obbligo sanzionato con la morte).
Stiamo parlando di Rodolfo Graziani, condannato nel 1950 a 19 anni di carcere in buona parte condonati, e «riabilitato» da Andreotti nel celebre incontro di Arcinazzo (anche se non ci fu alcun abbraccio, come vorrebbe la vulgata). Un criminale di guerra. Cui il Comune di Affile ha incredibilmente eretto un mausoleo, come fosse un eroe. Ancora più incredibilmente finanziato dalla Regione con 127 mila euro. Una vergogna, denunciata dalla stampa internazionale nell’indifferenza dell’opinione pubblica italiana.
Nicola Zingaretti nel suo blog aveva criticato quella decisione. Ora che è divenuto presidente del Lazio ha bloccato i fondi. Una decisione inevitabile, persino ovvia. Ma era proprio indispensabile attendere l’elezione di un presidente di sinistra? Dal canto suo, l’Anpi annuncia che alle commemorazioni per il 25 aprile non vuole nessuna istituzione pur di non avere Alemanno. Perché? Se un sindaco che viene dalla destra dura degli anni Settanta riconosce i valori della guerra di Liberazione, non sarebbe meglio rallegrarsene anziché impedirgli di farlo? Il punto è che la Resistenza non è una «cosa di sinistra». È un patrimonio che dovrebbe appartenere a tutta la nazione. Ebbe le sue pagine nere, e non è «di destra» denunciarle. Ebbe i suoi eroismi, e non è «di sinistra» ricordarli. In entrambi i casi, è doveroso. Così come sarebbe doveroso smantellare quel mausoleo.
Non è in discussione il giudizio storico sul fascismo. Roma è forse fin troppo indulgente al riguardo: i manifesti e le scritte che inneggiano al Duce, gli ammiccamenti di molti gruppi giovanili, le frequenti profanazioni ai simboli della Resistenza e della persecuzione degli ebrei. Gli italiani si sono autoassolti per il fascismo. Preferiscono ricordare le cose buone – ci mancherebbe pure che in vent’anni non ne fosse stata fatta nessuna – e rimuovere le violenze squadriste, l’assassinio degli oppositori, la privazione della libertà, i tribunali speciali, le leggi razziali, lo sciagurato intervento a fianco di Hitler che portò alla disfatta del nostro esercito e alla catastrofe del Paese. Il monumento a Graziani non offende solo le sue vittime; offende noi, come italiani (e come contribuenti tartassati). Non è una profanazione della memoria; è un’ipoteca sul futuro.