Edimburgo, una città intrisa di letteratura

Avvenire, 23 settembre 2022

Quando nel 1847 Charles Dickens visitò Edimburgo non riuscì a nascondere il proprio disappunto di fronte al monumento da poco eretto in onore di Walter Scott. “Sembra la guglia di una chiesa gotica staccata e conficcata nel terreno”, commentò, non senza una punta d’invidia per il grande scrittore scozzese considerato il padre del romanzo storico moderno. Scott era morto quindici anni prima e il suo Paese aveva voluto dedicargli un’opera gotica grandiosa nel cuore della capitale, in Princes Street, che raggiunge i 68 metri di altezza. Più che un semplice monumento, quello realizzato dall’architetto George Meikle Kemp è un gigantesco mausoleo con al centro la statua dello scrittore e ai lati decine di nicchie che ritraggono i personaggi delle sue opere. Continua a leggere “Edimburgo, una città intrisa di letteratura”

La Scozia saluta il suo “patriota”

Avvenire, 1 novembre 2020

“Alba Gu Bràth” (“Scozia per sempre”): fino all’ultimo dei suoi giorni Séan Connery ha portato con orgoglio la scritta che si era tatuato sul braccio da ragazzino, quand’era solo un cadetto della Marina britannica. Quello dell’indomito indipendentista è il ruolo che ha interpretato con maggior convinzione in tutta la sua lunga e straordinaria carriera. Salvo rifiutarsi di partecipare al film più filoscozzese di sempre, Braveheart di e con Mel Gibson del 1995. La motivazione ufficiale fu che era già impegnato nelle riprese di un’altra pellicola ma di certo non gli dispiacque più di tanto lasciare a Patrick McGoohan il ruolo che gli avevano offerto, quello di Edoardo I Plantageneto, il re britannico noto come “il martello degli scozzesi”. Continua a leggere “La Scozia saluta il suo “patriota””

“La Scozia è già indipendente”

Intervista allo scrittore scozzese James Robertson (Avvenire, 31.3.2018)

Sessant’anni di storia della Scozia raccontati attraverso tre generazioni, dalla fine della Seconda guerra mondiale fino ai giorni nostri. L’appassionato ritratto di un popolo in una fase storica cruciale che va dal declino del carbone, dell’acciaio e dell’industria navale alla scoperta del petrolio nel mare del Nord e all’ascesa del nazionalismo. James Robertson, uno dei più grandi scrittori scozzesi contemporanei, segue il solco tracciato dai suoi illustri connazionali – Robert Burns, Alasdair Gray e Irvine Welsh – dando voce alla gente comune nel suo capolavoro, il ponderoso romanzo Solo la terra resiste (ed. Paginauno, traduzione di Sabrina Campolongo, Carmine Mezzacappa e Clara Pezzuto). Un viaggio lungo quasi settecento pagine nel cuore di un paese dalle grandi speranze e dai sogni infranti ma anche un’opera profondamente politica, che prende avvio dall’esperienza personale dell’autore: “fin da quando ho iniziato a lavorarci, circa una decina d’anni fa, avevo ben chiara l’intenzione di scrivere un romanzo ‘politico’, che raccontasse in un’opera di finzione i cambiamenti sociali, industriali e culturali che avevano interessato il mio paese a partire dal Secondo dopoguerra”. Autore di una ventina di libri, da circa tre decenni Robertson affianca a una brillante carriera di scrittore un impegno per la diffusione della cultura del suo paese. Nel 2002 ha fondato insieme al poeta Matthew Fitt la casa editrice Itchy Coo, che ha tradotto per la prima volta in lingua scozzese classici per bambini e ragazzi come Harry Potter e Winnie-the-Pooh, integrando la didattica nelle scuole primarie. Alcuni anni fa è stato il primo scrittore residente ospitato all’interno del parlamento scozzese. Il suo Solo la terra resiste, scritto interamente in inglese, con una molteplicità di stili e passando dalla prima alla terza persona, si svolge sullo sfondo “delle desolate lande della Scozia de-industrializzata, quella Scozia così reale che sfugge all’immaginazione”. Il libro inizia raccontando la storia di Michael Pendreich, intento ad allestire una retrospettiva dedicata al padre, il famoso fotografo Angus Pendreich, morto qualche anno prima. E proprio dalla necessità di dare un ordine filologico a quelle immagini prende forma il trascorrere del tempo, il susseguirsi dei volti e delle generazioni in un caleidoscopio di figure che descrivono l’identità di un popolo in continua evoluzione. Mentre la narrazione procede, attraverso le foto di Angus ci imbattiamo nell’eccentrico insegnante belga che sposa la causa del nazionalismo scozzese, nel vagabondo senza casa che colleziona ciottoli, nel deputato conservatore con una passione segreta, nell’agente dei servizi segreti tradito dai colleghi e in molti altri personaggi, anche femminili, che costruiscono una coralità dal respiro dell’epopea.
Leggendo il suo libro si comprende che negli ultimi decenni, in Scozia, è progressivamente crollato il senso di appartenenza alla cultura britannica. Da cosa è stato sostituito?
Credo che la Scozia abbia raggiunto l’apice della “britishness” dopo la Seconda guerra mondiale. All’epoca il senso di appartenenza all’Impero era ancora molto forte, poiché era stata appena vinta la guerra contro il fascismo e nell’immediato dopoguerra il governo laburista creò il nuovo welfare state e il servizio sanitario nazionale. Ma a partire dagli anni ‘60 e ‘70 questo sentimento ha cominciato a scricchiolare: l’Impero non c’era più, la memoria della guerra era ormai lontana e la gente iniziava a ribellarsi contro le tendenze centralizzatrici dello stato britannico. A poco a poco è riemersa l’identità scozzese, insieme al desiderio di ottenere maggiore democrazia e di avere un potere politico più vicino alla gente. È stato un percorso complesso e tutt’altro che omogeneo, che sotto molti aspetti ha visto una politica basata sul concetto di classe sostituita da una politica incentrata sull’identità. Molti, oltre al rinnovato orgoglio di sentirsi scozzesi, hanno sviluppato anche un forte senso di appartenenza all’Europa.
La crescita del nazionalismo e la questione della devolution rappresentano lo spartiacque principale nella storia recente della Scozia?
Sicuramente. L’istituzione di un parlamento scozzese e delle assemblee dell’Irlanda del Nord e del Galles nel 1999 sono stati i principali cambiamenti costituzionali della politica del Regno Unito dai tempi del suffragio universale degli anni ‘20. Ormai, qualsiasi cosa succeda, è impossibile che il parlamento scozzese venga abolito, e in effetti continuerà a accrescere il suo potere anche se la Scozia non diventerà mai indipendente. Continua a leggere ““La Scozia è già indipendente””

Brexit, quale futuro per la Scozia?

Intervista allo scrittore scozzese Allan Massie (Avvenire, 19.4.2017)

Narra una leggenda che a Oxford, il cancello principale dell’Università di Trinity, chiuso da secoli, sarà riaperto soltanto quando uno Stuart salirà di nuovo sul trono d’Inghilterra. La più antica e longeva casa reale britannica resta ancora oggi circondata da un alone di mito alimentato dalla popolarità di figure come Maria e Carlo Edoardo – Bonnie Prince Charlie – e sopravvissuto persino alla deposizione di Giacomo II, l’ultimo re cattolico d’Inghilterra, nel lontano 1688. Il casato governò la Scozia ininterrottamente dalla fine del XIV secolo e, in seguito all’unione dinastica del 1603, regnò per oltre un secolo anche su Inghilterra e Irlanda. “In un certo senso l’unione delle due corone fu un incidente dinastico, poiché l’erede più diretto di Elisabetta I Tudor era il re di Scozia, Giacomo VI Stuart, ma costituzionalmente i due paesi restarono a lungo indipendenti pur condividendo lo stesso sovrano. Solo con l’Atto di Unione del 1707 i due parlamenti si unirono per necessità politiche, peraltro senza grande entusiasmo da entrambe le parti”. A parlare è Allan Massie, uno dei più noti scrittori scozzesi contemporanei, autore di una straordinaria biografia del casato Stuart scritta attingendo a fonti storiche e letterarie e appena uscita anche in traduzione italiana (Gli Stuart. Re, regine e martiri, Della Porta editori). È necessario risalire almeno a quegli anni per ricostruire il profondo legame che unisce Inghilterra e Scozia, e che in anni recenti ha mostrato non pochi segni di cedimento, amplificati ora anche dalla Brexit.

Nella foto: Allan Massie

Un anno fa, gli scozzesi hanno votato in massa per la permanenza nell’UE scavando un solco forse decisivo con quella che un altro grande scrittore scozzese, Sir Walter Scott, aveva definito nell’Ottocento “la nostra sorella e alleata”, cioè l’Inghilterra. E proprio sulle orme di Scott, considerato il padre del moderno romanzo storico, si sviluppa il lavoro di Allan Massie, che nella sua lunga carriera ha scritto decine di opere e biografie ambientate in più epoche storiche. Contrariamente a gran parte del mondo intellettuale scozzese, nel 2014 Massie non si schierò a favore dell’indipendenza scozzese nel referendum indetto dallo Scottish National Party. Viceversa, prese posizione pubblicando un pamphlet intitolato Nevertheless (“Ciononostante”), nel quale affermava di sentirsi profondamente britannico e sosteneva che votare per l’indipendenza equivaleva a una mancanza di fiducia in sé stessi. Ma dopo l’esito del voto sulla Brexit, che rischia di far uscire dall’Europa anche la Scozia nonostante il volere della maggioranza dei suoi abitanti, persino l’“unionista” Massie si è convinto che abbandonare il plurisecolare legame con Londra sia ormai diventata una necessità. “La mia reazione immediata al voto sulla Brexit è stata di sgomento, e se sarà attuata in forma drastica, anche la mia idea sull’indipendenza scozzese è destinata a cambiare”, ci dice al telefono dalla sua casa di Selkirk, situata proprio lungo il confine tra i due paesi. “Al momento nessuno può sapere come evolverà una situazione che appare paradossale, perché oggi le ragioni economiche di una Scozia indipendente hanno un fascino molto minore rispetto a tre anni fa a causa del crollo del prezzo del petrolio e del fatto che non si prevedono più grandi ricavi dai giacimenti del mare del Nord. Ma le ragioni politiche che stanno alla base dell’indipendenza appaiono oggi molto più forti rispetto al passato, e molti scozzesi di trovano di fronte a questo dilemma. Continua a leggere “Brexit, quale futuro per la Scozia?”

Se i nazionalismi risvegliano la Perfida Albione

Avvenire, 10.3.2017

Prima gli indipendentisti scozzesi, poi le recenti elezioni in Irlanda del Nord che hanno avvicinato l’ipotesi di un referendum per la riunificazione irlandese. Con le crepe aperte nel Regno Unito, era quasi inevitabile che a Londra tornasse a manifestarsi qualche forma di revanscismo. Magari riesumando, almeno in parte, quel complesso di superiorità che fu comune ad altre epoche storiche, quando cioé la Britishness si vide minacciata dallo sgretolamento dell’Impero e dal processo di decolonizzazione. Un paio di giorni fa è comparso sul prestigioso quotidiano Times un editoriale assai provocatorio dal titolo “L’Inghilterra è la vera nazione in questa battaglia”, che ha quasi rischiato di innescare una crisi diplomatica con Dublino. Firmato dalla scrittrice Melanie Phillips, il fondo attaccava frontalmente sia la Scozia che l’Irlanda del Nord definendole “le parti più problematiche del Regno Unito”, sostenendo che il nazionalismo scozzese e il repubblicanesimo irlandese sono “fenomeni culturali romantici fondati sull’odio nei confronti dei protestanti inglesi”. Fino alla stoccata finale, dai toni quasi surreali: “la pretesa di riunificare l’Irlanda – ha sentenziato Phillips – è priva di consistenza perché gli irlandesi, essendosi separati dalla Gran Bretagna solo nel 1922, non hanno molte ragioni per reclamare l’unità nazionale”. Volto televisivo molto noto in Inghilterra, autrice di saggi di successo (tra cui il controverso Londonistan), Phillips esercita da anni l’arte della provocazione e quindi non sorprende più di tanto che sorvoli sul passato coloniale britannico e sulle tragedie che questo ha causato per secoli in Irlanda. Ma stavolta si è spinta oltre, e le reazioni incredule e indignate al suo ultimo editoriale non si sono fatte attendere. A cominciare da quella dell’ambasciatore irlandese a Londra, Daniel Mulhall, che ha scritto una lettera al Times ribadendo che “cento anni di indipendenza, la cultura, i valori e il forte senso di identità rappresentano gli elementi fondanti dello status di nazione dell’Irlanda”, e che questi sono “tutt’altro che privi di consistenza”. In difesa degli scozzesi si è schierata a sorpresa J.K. Rowling, l’acclamatissima autrice di Harry Potter, replicando su Twitter: “la Scozia è una nazione che ha il diritto di governarsi da sé, il Regno Unito è invece una costruzione artificiale, una comunità immaginaria che pretende ingiustamente di avere l’autorità di una nazione”. Una posizione sorprendente, considerando che anni fa la stessa Rowling si schierò contro l’indipendenza scozzese finanziando di tasca sua la campagna per il no al referendum. Finora il Times, uno dei più influenti quotidiani inglesi, non ha preso alcuna posizione, facendo sorgere il sospetto che almeno una parte dell’opinione pubblica britannica condivida le parole della Phillips e che le istanze indipendentiste irlandesi e scozzesi, amplificate dalla Brexit, stiano riportando in auge stereotipi e pregiudizi che in altre epoche storiche si espressero attraverso la stampa e la letteratura, affidando a giornalisti e intellettuali – basti citare il famoso periodico satirico Punch – la difesa dell’identità nazionale britannica di fronte alla possibile amputazione traumatica di una parte del Regno Unito.
RM