Intervista allo scrittore scozzese Allan Massie (Avvenire, 19.4.2017)
Narra una leggenda che a Oxford, il cancello principale dell’Università di Trinity, chiuso da secoli, sarà riaperto soltanto quando uno Stuart salirà di nuovo sul trono d’Inghilterra. La più antica e longeva casa reale britannica resta ancora oggi circondata da un alone di mito alimentato dalla popolarità di figure come Maria e Carlo Edoardo – Bonnie Prince Charlie – e sopravvissuto persino alla deposizione di Giacomo II, l’ultimo re cattolico d’Inghilterra, nel lontano 1688. Il casato governò la Scozia ininterrottamente dalla fine del XIV secolo e, in seguito all’unione dinastica del 1603, regnò per oltre un secolo anche su Inghilterra e Irlanda. “In un certo senso l’unione delle due corone fu un incidente dinastico, poiché l’erede più diretto di Elisabetta I Tudor era il re di Scozia, Giacomo VI Stuart, ma costituzionalmente i due paesi restarono a lungo indipendenti pur condividendo lo stesso sovrano. Solo con l’Atto di Unione del 1707 i due parlamenti si unirono per necessità politiche, peraltro senza grande entusiasmo da entrambe le parti”. A parlare è Allan Massie, uno dei più noti scrittori scozzesi contemporanei, autore di una straordinaria biografia del casato Stuart scritta attingendo a fonti storiche e letterarie e appena uscita anche in traduzione italiana (Gli Stuart. Re, regine e martiri, Della Porta editori). È necessario risalire almeno a quegli anni per ricostruire il profondo legame che unisce Inghilterra e Scozia, e che in anni recenti ha mostrato non pochi segni di cedimento, amplificati ora anche dalla Brexit.
Un anno fa, gli scozzesi hanno votato in massa per la permanenza nell’UE scavando un solco forse decisivo con quella che un altro grande scrittore scozzese, Sir Walter Scott, aveva definito nell’Ottocento “la nostra sorella e alleata”, cioè l’Inghilterra. E proprio sulle orme di Scott, considerato il padre del moderno romanzo storico, si sviluppa il lavoro di Allan Massie, che nella sua lunga carriera ha scritto decine di opere e biografie ambientate in più epoche storiche. Contrariamente a gran parte del mondo intellettuale scozzese, nel 2014 Massie non si schierò a favore dell’indipendenza scozzese nel referendum indetto dallo Scottish National Party. Viceversa, prese posizione pubblicando un pamphlet intitolato Nevertheless (“Ciononostante”), nel quale affermava di sentirsi profondamente britannico e sosteneva che votare per l’indipendenza equivaleva a una mancanza di fiducia in sé stessi. Ma dopo l’esito del voto sulla Brexit, che rischia di far uscire dall’Europa anche la Scozia nonostante il volere della maggioranza dei suoi abitanti, persino l’“unionista” Massie si è convinto che abbandonare il plurisecolare legame con Londra sia ormai diventata una necessità. “La mia reazione immediata al voto sulla Brexit è stata di sgomento, e se sarà attuata in forma drastica, anche la mia idea sull’indipendenza scozzese è destinata a cambiare”, ci dice al telefono dalla sua casa di Selkirk, situata proprio lungo il confine tra i due paesi. “Al momento nessuno può sapere come evolverà una situazione che appare paradossale, perché oggi le ragioni economiche di una Scozia indipendente hanno un fascino molto minore rispetto a tre anni fa a causa del crollo del prezzo del petrolio e del fatto che non si prevedono più grandi ricavi dai giacimenti del mare del Nord. Ma le ragioni politiche che stanno alla base dell’indipendenza appaiono oggi molto più forti rispetto al passato, e molti scozzesi di trovano di fronte a questo dilemma. Il sentimento comune, che io condivido, è che se ci sarà un nuovo referendum, stavolta saranno gli indipendentisti a vincere”. Il parlamento scozzese ha già richiesto ufficialmente una nuova consultazione referendaria ma il primo ministro britannico Theresa May ha fatto sapere che non la concederà prima della conclusione del negoziato sulla Brexit, quindi tra circa tre anni. “Sul piano legale spetta a Westminster decidere su questioni costituzionali legate al governo devoluto di Edimburgo – spiega Massie – e quindi un referendum necessita per forza dell’approvazione di Londra. Penso che il premier scozzese Nicola Sturgeon si trovi in una posizione assai difficile, poiché persino all’interno del suo partito c’è chi sostiene la Brexit e chiede l’indipendenza non solo da Londra, ma anche da Bruxelles. Ci sono poi importanti settori economici della Scozia, su tutti l’industria ittica, che sono storicamente contrari all’UE, la questione della moneta da usare in futuro e tanti altri nodi politici da sciogliere”. Di certo, una separazione tra queste due nazioni unite da secoli avrebbe notevoli conseguenze politico-sociali. Massie, che è anche membro della Royal Society of Literature, parla apertamente di choc culturale. “Credo che una delle maggiori debolezze dei nazionalisti sia stata quello di voler far credere che non ci sarebbe stata alcuna difficoltà. Adesso si stanno rendendo conto del contrario”. Di fronte a questa possibile svolta storica, viene spontaneo tornare agli Stuart e al ruolo decisivo che svolsero per oltre un secolo, intrecciando i destini di questi due paesi sotto la stessa monarchia. Molti storici, soprattutto quelli di tendenze giacobite, hanno condiviso l’ingeneroso giudizio della regina Vittoria, che li definì l’“infelice dinastia”. Allan Massie non è d’accordo. “È vero, alla fine gli Stuart furono sconfitti e persero il loro regno, Giacomo VII venne costretto all’esilio dall’invasione olandese e dalla rivoluzione che lui stesso aveva contribuito a scatenare. I suoi figli e nipoti furono re soltanto di nome – conclude – ma non è giusto dimenticare i successi di altri membri della famiglia. Quasi tutti i re Stuart riuscirono a mettere ordine in una società assai complessa e a tenere unito il regno”. E mentre i cancelli del Trinity di Oxford sono destinati a restare chiusi ancora a lungo, quell’unione sembra oggi avere i giorni contati.
RM