Avvenire, 1 novembre 2020
“Alba Gu Bràth” (“Scozia per sempre”): fino all’ultimo dei suoi giorni Séan Connery ha portato con orgoglio la scritta che si era tatuato sul braccio da ragazzino, quand’era solo un cadetto della Marina britannica. Quello dell’indomito indipendentista è il ruolo che ha interpretato con maggior convinzione in tutta la sua lunga e straordinaria carriera. Salvo rifiutarsi di partecipare al film più filoscozzese di sempre, Braveheart di e con Mel Gibson del 1995. La motivazione ufficiale fu che era già impegnato nelle riprese di un’altra pellicola ma di certo non gli dispiacque più di tanto lasciare a Patrick McGoohan il ruolo che gli avevano offerto, quello di Edoardo I Plantageneto, il re britannico noto come “il martello degli scozzesi”. Séan Connery non ha mai fatto mistero delle sue aperte simpatie nei confronti di quello Scottish National Party che proprio nei primi anni ‘90 si stava preparando a dare la prima decisiva picconata all’integrità del Regno Unito. Il percorso verso un’autonomia che doveva fare da apripista al sogno dell’indipendenza da Londra ha visto il grande attore schierarsi apertamente fino a diventare il principale testimonial di quella lotta. “La mia posizione sulla Scozia non è mai cambiata, è rimasta la stessa di trent’anni fa”, spiegò dopo il ritiro ufficiale dalle scene, nel 2006. “Sostengo la lotta indipendentista perché credo nell’uguaglianza. Siamo una nazione piccola ma meritiamo di essere liberi”.
Per quel sogno non si è limitato, negli anni, a indossare il kilt sui tappeti rossi di tutto il mondo ma si è sempre speso in prima persona. Ha tirato la corsa al partito indipendentista usando la sua fama planetaria e anche i suoi soldi, tanti, al punto da costringere il parlamento britannico a varare una legge per impedirgli di continuare a finanziare i nazionalisti scozzesi. Nel 1997 partecipò alla campagna elettorale per il referendum sulla devoluzione dei poteri. Due anni più tardi si liberò dai suoi numerosi impegni e tornò in Scozia per prendere parte alla campagna per l’elezione del primo Parlamento di Edimburgo. Tenne un discorso memorabile di fronte a una platea di nazionalisti riunita a Edimburgo: “non ho alcun dubbio, a vincere queste elezioni sarà la Scozia!”, disse quasi commosso, leggendo un discorso da vero politico che aveva scritto di suo pugno. Quel sostegno dichiarato a favore dell’indipendenza scozzese ritardò a lungo anche la sua nomina a cavaliere della Corona. Soltanto nel 2000 la regina Elisabetta si decise a concedergli la più alta onorificenza britannica nonostante le polemiche innescate dalla stampa inglese, secondo la quale Tony Blair aveva fatto di tutto per impedirlo. Lui ringraziò la regina dicendosi “onorato per la Scozia” e sfoderando il solito sorriso sornione che faceva impazzire le donne. La nascita del primo governo guidato dallo SNP, nel 2007, sembrò avvicinare il sogno dell’indipendenza. Ma per poco non lo fece litigare con il filobritannico Roger Moore, colui che aveva ereditato il suo ruolo nei panni di 007. Moore lo accusò di soffiare sul fuoco separatista, nonostante fosse diventato famoso interpretando “il più britannico dei personaggi”. Connery non gli rispose neanche e nel 2014 si schierò apertamente a favore del sì al referendum per l’indipendenza. “È un’occasione unica, da non perdere – dichiarò –, una Scozia indipendente avvicinerebbe investitori e turisti finora accecati e sedotti da Londra e ci offrirebbe un’opportunità senza precedenti per promuovere il nostro patrimonio culturale e la nostra eccellenza creativa”. Neanche l’esito negativo delle urne gli fece perdere la speranza. “È solo una questione di tempo”, spiegò. Ma il sogno di quello che ieri il primo ministro scozzese Nicola Sturgeon ha definito un “orgoglioso patriota” era destinato a rimanere irrealizzato.