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“L’eredità di Antigone” su RAI radio 3, ospite di Fahrenheit
Venerdì 12 aprile “L’eredità di Antigone” sarà presentato nel corso di Fahrenheit, la storica trasmissione dedicata ai libri di Radio Rai 3. Appuntamento a partire dalle ore 16 (la puntata inizia già alle 15). Stay tuned!
Le frequenze per ascoltare Radio Rai 3 nella propria città sono elencate qui
Resistenza femminile, un filo rosso globale
Enrico Terrinoni* recensisce “L’eredità di Antigone” su Il Manifesto di oggi
«Si voltò di scatto, in preda al panico. Una sirena della polizia aveva squarciato all’improvviso la calma apparente di quella domenica pomeriggio (…) Alle loro spalle, sbucati fuori chissà da dove, c’erano quattro uomini in abiti civili e inequivocabili sembianze da poliziotti. Poi fu solo il buio. La prima pallottola la raggiunse al volto e la fece cadere a terra. Poi altri colpi la raggiunsero alla schiena, finendola». Inizia così una delle dieci microstorie incluse nell’ultimo libro di Riccardo Michelucci, L’eredità di Antigone. Storie di donne martiri per la libertà (Odoya edizioni, pp. 278, euro 18, con prefazione di Emma Bonino). Il testo riporta alla luce, con accorta sapienza narrativa, le esistenze di donne coraggiose, per lo più dimenticate o riposte all’ombra della Storia ufficiale, nonostante il loro grande contributo nelle lotte per la libertà nei diversi paesi di provenienza.
Sono vite, quelle raccontate nel libro, tutte unite dal filo rosso della resistenza. La vicenda di cui sopra riguarda Mairéad Farrell, socialista e volontaria dell’Ira, già prigioniera politica nel carcere femminile di Armagh, in Irlanda del Nord. Nota in patria e all’estero per aver partecipato alla dirty protest e poi a uno sciopero della fame – forme di lotta parallele a quelle di Bobby Sands e compagni, nel non troppo lontano carcere di Long Kesh – Farrell venne freddata alle spalle a Gibilterra, all’età di trentuno anni nel 1981, da agenti delle teste di cuoio inglesi inviati per dare una «lezione esemplare» all’indomito Esercito Repubblicano Irlandese. Mairéad, insieme a Seán Savage e Daniel McCann, giustiziati nella stessa occasione, stava tentando di organizzare un attentato contro il Royal Anglian Regiment.
La storia di Farrell è solo una delle tante biografie esemplari del testo. Tra queste spicca quella di Norma Parenti, la cui memoria è ancora vivissima a Massa Marittima e nel grossetano, ma si perde e svanisce una volta solcati i confini della Toscana. Norma Parenti, partigiana, madre e moglie, figlia di un muratore e di una casalinga, diviene una staffetta per il raggruppamento «Amiata» della III Brigada Garibaldi, trasportando armi e viveri che spesso nasconde sotto la carrozzina del proprio bambino. La sua fine ultima ed eroica è avvolta nel mistero, essendo stata uccisa dai nazifascisti poche ore prima dell’arrivo degli Alleati, senza testimoni oculari. La storia di Norma, medaglia d’oro al valor militare alla memoria, viene tratteggiata a tinte vividissime, e ancora una volta, a ritroso.
L’andamento di questo affascinante libro di storie minime è infatti scandito dal ritmo intenso di una narrazione che dalla fine rincorre il proprio inizio. Le vicende di Norma Parenti sono inaugurate dalla rievocazione di un evento chiave e simbolico, prossimo alla sua morte: siamo a Massa Marittima, è il 9 maggio del 1944. Il cadavere sfregiato del partigiano «Boscaglia», al secolo Guido Radi, è stato abbandonato in piazza del Duomo dai nazifascisti. È fatto divieto a chiunque di tumularne la salma nel cimitero comunale, eppure Norma – come Antigone di fronte un’autorità che non rispetta le leggi della natura – la consegna alla terra alla presenza dei familiari di Radi. Il gesto, insieme a tanti altri atti di sfida, le varrà la futura condanna a morte.
Similmente viene presentata la fugace esistenza di Sophie Scholl, del gruppo giovanile della Rosa Bianca – forse la più nota tra le tante donne martiri del libro, per via di un famoso film, dal titolo La Rosa Bianca, candidato all’Oscar. Sophie fu condannata a morte nel 1943 insieme al fratello Hans e a Christoph Probst, per aver istigato il popolo tedesco alla disobbedienza nei confronti dell’egemonia nazista. Un’altra storia esemplare è quella di Marianella García Villas, torturata e uccisa nel 1983 nella scuola militare di San Salvador dalle spietate forze di polizia del regime di El Salvador. Marianella, molto vicina al Monsignor Romero – freddato da un sicario durante la celebrazione di una messa nel marzo del 1980 – ne aveva seguito l’esempio, portando nella sua comunità e all’estero, persino in Italia, la propria testimonianza delle efferatezze compiute dai militari nel proprio paese, con la palese connivenza degli Stati Uniti d’America.
Da un punto di vista eminentemente stilistico, il metodo narrativo del libro ricorda quello che in critica letteraria è noto come New Historicism, con l’uso sapiente di aneddoto iniziale da cui poi si dipana l’analisi. Tornando più indietro nel tempo, ma sempre in ambito letterario, non è peregrina l’ipotesi di una certa affinità con i Portraits in Miniature di Lytton Strachey, nonostante l’evidente divario in termini di tensione politica e morale. Un simile uso in ambito storiografico, invece, delle potenzialità narrative di minime storie eroiche, lo ritroviamo in libro recente dal titolo Voci dalla Resistenza, a cura di Andrea Comincini, con prefazione di Salvatore Cingari (Aracne, pp. 168, euro 11).
Il testo di Michelucci, mosso da un ingiusto oscuramento nell’immaginario collettivo e sociale di figure femminili attive in vari contesti di resistenza, intende non solo rendere omaggio a personaggi le cui storie sono spesso dimenticate, ma si pone un obbiettivo più specifico: restituire loro una collocazione adeguata nel pantheon di una Storia che le ha immancabilmente relegate a posizioni del tutto marginali. La rievocazione del sacrificio di donne coraggiose e pronte ad opporsi all’ingiustizia fino alla morte ha quindi un valore non agiografico, di exempla da ammirare, ma politico nel senso più nobile del termine.
Le loro esistenze sono ingranaggi di un meccanismo che, spesso in senso rivoluzionario, ha portato a cambiamenti radicali in quelle società che per breve tempo le hanno ospitate. Evocando con forza e intensità narrativa delle storie dimenticate, il merito di questo libro è di presentarcele in quanto tasselli imprescindibili nella ricomposizione del mosaico ideale delle nostre coscienze.
*Enrico Terrinoni insegna letteratura inglese all’Università di Perugia. Tra le sue numerose traduzioni letterarie annovera anche quella dell'”Ulisse” di James Joyce.
“L’eredità di Antigone”, il trailer del libro
Dal 4 marzo in libreria “L’eredità di Antigone”
Le storie memorabili di dieci donne coraggiose che hanno lottato fino alle estreme conseguenze per la libertà e i diritti civili. Il 4 marzo esce il mio nuovo libro, “L’eredità di Antigone. Storie di donne martiri per la libertà”, con una prefazione di Emma Bonino.
La fine dell’apartheid in Sudafrica e la democrazia in Italia, in Germania, in El Salvador. La lotta per la laicità in Afghanistan e per i diritti degli irlandesi e degli Indiani d’America. E ancora, il suffragio universale e il riconoscimento dei fondi per i civili innocenti vittime della guerra in Iraq. Battaglie e conquiste che oggi riteniamo sacrosante e inviolabili, eppure per ottenerle è servita la lotta e il sacrificio di molte persone. Alla storia passano pochi nomi fondamentali, eppure, le storie delle esistenze impegnate in queste battaglie sono tante. E spesso sono storie di donne.
Come Antigone nella tragedia di Sofocle deve scegliere tra le leggi degli dèi e le leggi degli uomini fino a immolarsi per seguire la sua idea di giustizia, così le donne di questo libro, moderne Antigoni, hanno lottato e resistito contro ingiustizie intollerabili, fino alle estreme conseguenze.
Scopriamo così la vicenda eroica della giovane partigiana cattolica Norma Parenti; la storia di Emily Davison che il 4 giugno 1913 si sacrificò per attaccare la bandiera del movimento delle suffragette al cavallo del re d’Inghilterra durante una gara; la studentessa universitaria Sophie Scholl che fu decapitata dai nazisti a soli 21 anni per aver distribuito volantini della Rosa Bianca; la storia triste, ma emozionante di Franca Jarach, una delle prime “desaparecidos” argentine; il sacrificio di Ruth First, che lavorò con Mandela per la fine dell’apartheid; Meena Keshwar Kamal che decise di non abbandonare la lotta per i diritti delle donne in Afghanistan nemmeno quando l’occupazione sovietica alzò la posta in gioco, Marianella García Villas che come un oscuro presagio disse a un parlamentare italiano «Presto sentirete parlare di me, perché mi ammazzeranno» a poche settimane dal suo assassinio in El Salvador, terra che voleva vedere liberata dalla dittatura militare. Queste e altre storie di donne per le quali lottare era come respirare: un fatto naturale e inevitabile, anche quando mariti e compagni erano già fuggiti o erano già stati ammazzati.
Ricordarle oggi equivale a dire “mai più dittature e discriminazioni”, ma anche a riflettere sulla violenza che oggi, quotidianamente, le donne subiscono. Un tributo al genere femminile e all’importanza che ha avuto nella storia.
Olocausto irlandese, presentazione a Firenze
Bloody Sunday, noi sapevamo
Nel giorno fatidico che vedrà finalmente la pubblicazione del rapporto del giudice Saville sulla “Domenica di sangue” di Derry, riproponiamo la ricostruzione di Fulvio Grimaldi, il giornalista italiano che visse in prima persona quelle tragiche ore del 30 gennaio 1972. La testimonianza che segue è tratta dal libro “Storia del conflitto anglo-irlandese. Otto secoli di persecuzione inglese” (Odoya, 2009):
“Quanto accadde quel giorno era fuori dall’immaginazione di chiunque. Trattandosi di una marcia per i diritti civili era del tutto pacifica, composta dagli abitanti del ghetto cattolico-repubblicano di Derry. Io seguivo questo movimento dal 1968: chiedevano semplicemente case, lavoro, meno vessazioni da parte della polizia, maggiore accesso alle istituzioni e la fine del voto per censo, che incredibilmente esisteva ancora in Irlanda del nord. Ventimila uomini, donne, bambini e anziani marciarono da un’altura di questo ghetto – che si chiama Creggan – verso il quartiere in basso, adiacente alla cittadella unionista, che si chiama Bogside. Da alcuni mesi questo quartiere era stato “liberato”: l’esercito inglese si era dovuto ritirare da lì come dalle zone repubblicane delle altre principali città nordirlandesi, come Belfast, Armagh e Newry. Aveva dovuto farlo in seguito alle manifestazioni e alle offensive di massa organizzate dagli abitanti ed era quindi una zona liberata. Al suo ingresso campeggiava infatti la scritta “state entrando nella Derry libera” – una scritta che, restaurata, è rimasta ancora oggi – e questo corteo voleva manifestare in difesa di questa libertà e per ottenere uguali condizioni sul lavoro, politiche abitative e il diritto al voto. Fu una manifestazione assolutamente pacifica, assolutamente inerme e quei piccoli germogli di IRA che in quegli anni cominciavano a fiorire in Irlanda del nord avevano assicurato che non avrebbero partecipato alla marcia proprio per permetterne il pacifico svolgimento.
Invece poco più di un’ora dopo l’inizio della manifestazione i paracadutisti aprirono il fuoco sulla gente. Continua a leggere “Bloody Sunday, noi sapevamo”
“Storia del conflitto anglo-irlandese”, il trailer del libro
Il booktrailer in versione integrale del mio libro “Storia del conflitto anglo-irlandese. Otto secoli di persecuzione inglese”. Un ringraziamento sincero all’amico Nicola Melloni per l’ottimo lavoro.
La prima edizione del volume è esaurita, la ristampa (con la correzione di alcuni refusi) è arrivata nelle librerie da qualche settimana.