Glenanne, i “boia” dei cattolici d’Irlanda

Avvenire, 22 marzo 2019

Si chiamava “Glenanne gang” ed era uno squadrone della morte in pieno stile sudamericano. Ma agì nel cuore dell’Europa, in Irlanda del Nord, negli anni ‘70. Era un gruppo composto da paramilitari lealisti, agenti dello stato britannico e della polizia nordirlandese che prese di mira i civili cattolici e si rese responsabile di almeno 120 omicidi tra il 1972 e il 1976. I primi a denunciare l’esistenza di un “triangolo della morte” tra le cittadine di Armagh, Portadown e Dungannon, a pochi chilometri dall’allora sensibilissima frontiera con la Repubblica d’Irlanda, furono due preti cattolici: Denis Faul e Raymond Murray. Inascoltati dalle forze di polizia e insospettiti dalla sistematicità degli attacchi contro persone comuni, del tutto estranee alla lotta armata, i due religiosi furono gli unici, in quegli anni, a indagare su una serie di omicidi settari uniti da un filo conduttore comune. Agenti dello stato e informatori potevano commettere qualsiasi crimine sapendo di poter contare sull’assoluta impunità. Le vittime venivano attaccate nelle loro case, nelle strade o nei pub, in circostanze che non potevano non far pensare a un accanimento nei confronti della comunità cattolica. Il lavoro pionieristico di Faul e Murray si sarebbe stato di vitale importanza per le inchieste svolte in anni recenti, che hanno dimostrato in modo inconfutabile l’esistenza di un sistema di collusione ad altissimo livello tra lo stato britannico e i gruppi paramilitari protestanti. Alla Glenanne gang sono stati attribuiti alcuni dei più atroci attentati compiuti durante gli anni più cruenti del conflitto, a cominciare dalle bombe di Dublino e Monaghan del maggio 1974, che fecero 33 vittime civili. L’anno dopo, nella rete degli assassini cadde anche Colum McCartney, cugino del grande Seamus Heaney, ucciso a sangue freddo a un posto di blocco mentre tornava a casa da una partita di calcio gaelico. La sua morte – già descritta in una struggente poesia dal futuro premio Nobel – apre anche il bel documentario Unquiet Graves: The story of the Glenanne Gang del regista Séan Murray, che sta spopolando in Gran Bretagna e in Irlanda e il 31 marzo arriverà anche in Italia, al festival del cinema irlandese di Roma. “È stato un lavoro lungo e complesso, realizzato in collaborazione con i familiari delle vittime e le associazioni per i diritti umani”, ci dice Murray, che abbiamo raggiunto telefonicamente nella sua casa di Belfast. “Neppure io sapevo quanto fosse diffusa la collusione tra i paramilitari lealisti e lo stato britannico, quanti soldati e membri delle forze dell’ordine fossero stati coinvolti in quegli omicidi”. La difficoltà maggiore – spiega – è stata quella di scegliere quali vittime raccontare nel documentario: “non potevo includerle tutte. Ho dovuto individuare quelle più simboliche, limitandomi a citare le altre solo nei titoli di coda”. La serie di omicidi indiscriminati registrò un picco nella primavera del 1975, in seguito a una tregua dichiarata dall’IRA, per impedire qualsiasi concessione al fronte indipendentista. Colpire i civili cattolici con attacchi indiscriminati faceva parte di una strategia precisa, mirante a seminare il terrore all’interno della comunità cattolica nel tentativo di costringere l’IRA ad arrendersi. La polizia dell’Irlanda del Nord – all’epoca composta solo da protestanti – non difese la popolazione e addirittura partecipò attivamente a quegli attacchi. Le indagini sulla Glenanne gang hanno avuto una svolta decisiva alcuni anni fa grazie a John Weir, un ex ufficiale di polizia che era stato anche un elemento di spicco della banda. Weir iniziò a collaborare con la giustizia spiegando che i suoi superiori all’interno della polizia erano perfettamente a conoscenza della collusione con i paramilitari e in una lunga deposizione scritta chiarì gli obiettivi di quegli omicidi. Durante la lavorazione del documentario Murray è riuscito a scovare Weir in Sudafrica, dove si è nascosto per evitare rappresaglie, e l’ha convinto a rilasciare un’intervista che racconta dettagli inediti sull’attività della Glenanne gang. Dettagli che tingono di ignominia l’operato dello stato britannico in Irlanda del Nord. “L’intelligence militare era intenzionato a trasformare il conflitto in una vera e propria guerra civile – rivela Weir – nel 1976 fu pianificato un attacco contro una scuola elementare di Belleeks, nella contea di Armagh, che doveva provocare la morte dei bambini e degli insegnanti. Il piano fu fermato all’ultimo dalla leadership dei paramilitari lealisti di Belfast, che lo considerò un passo troppo eccessivo e non se la sentì di procedere”. In primavera Unquiet Graves sarà presentato negli Stati Uniti, in Australia e in Canada. Nelle proiezioni che si sono svolte finora in Gran Bretagna non ha mancato di suscitare stupore e sdegno. “In Inghilterra gran parte del pubblico cade dalle nuvole, non ne sa proprio niente – spiega Murray – persino negli ambienti della diaspora irlandese c’è scarsissima consapevolezza di quei fatti. Il motivo è semplice. Nel corso del conflitto queste vicende sono state sottoposte a una rigida censura. Gli inglesi sono stati tenuti completamente all’oscuro di quanto accadeva nel Nord dell’Irlanda. Spero che il mio film e altri simili usciti di recente riescano a far conoscere finalmente quei fatti e a offrire una prospettiva corretta sul conflitto. Non è stato solo uno scontro settario tra due parti della popolazione che si combattevano tra loro ma una vera e propria ‘guerra sporca’ che ha coinvolto larghi settori dello stato britannico. Finora i riflettori sono stati puntati quasi esclusivamente sulle vittime dell’IRA mentre le voci delle vittime dello stato britannico erano state silenziate, marginalizzate o condannate all’oblio”. Qualcosa, seppur con enorme ritardo, comincia finalmente a muoversi sul fronte giudiziario. Due anni fa l’Alta Corte di Belfast ha imposto alla polizia di riaprire le indagini su quegli omicidi. I familiari delle vittime non hanno mai perso la speranza di ottenere giustizia.
RM

Il patto col diavolo che mette a rischio la pace in Irlanda

Avvenire, 14.1.2017

Nella foto: Arlene Foster e Theresa May

Molti in Inghilterra hanno già colto la fatale ironia della sorte: dopo aver attaccato a lungo Jeremy Corbyn in campagna elettorale per la sua presunta amicizia con l’IRA, adesso Theresa May cerca di formare un governo appoggiato da un partito che ha legami assai stretti con i paramilitari protestanti, autori di feroci attentati negli anni del conflitto in Irlanda del Nord. L’impietosa contabilità dei seggi assegnati dalle elezioni di giovedì scorso – oltre a motivi di opportunità politica – ha imposto alla May un’alleanza con gli unionisti del DUP, un partito di estrema destra fondato nel 1971 da Ian Paisley, il pastore presbiteriano noto per la sua intransigenza anti-cattolica che si scoprì moderato durante la vecchiaia. La sua eredità politica è stata raccolta da Arlene Foster, che in poco tempo, a causa di uno scandalo relativo ai sussidi per l’uso di energie rinnovabili, è riuscita a far naufragare il governo di Belfast basato sulla condivisione dei poteri, mandando all’aria dieci anni di progressi sulla strada della “devolution”.
Pur di formare un traballante governo che non avrà l’autorevolezza necessaria per negoziare un accordo storico con l’UE, Theresa May ha dunque scelto di stringere un vero e proprio “patto col diavolo”, un’intesa dai benefici incerti e dai rischi enormi. Su alcuni argomenti-chiave il programma dei Tories britannici è l’esatto opposto di quello del DUP: May vorrebbe ridurre o tagliare il tasso di rivalutazione delle pensioni e i sussidi ai consumi mentre il DUP vuole mantenerli entrambi. Neanche il tema centrale della Brexit vede i due alleati sulla stessa lunghezza d’onda, poiché gli unionisti nordirlandesi sono favorevoli a una “soft Brexit” che mantenga la libertà di movimento per merci e persone fra la Repubblica d’Irlanda e il Nord. Ma soprattutto, l’alleanza DUP-Tories impone al governo britannico di abbandonare la politica di neutralità adottata negli ultimi vent’anni in Irlanda del Nord e rischia quindi di vanificare gli enormi progressi compiuti dopo l’Accordo del 1998, che prevedeva l’“imparzialità rigorosa” di Londra sulle questioni che riguardano Belfast. Da allora nessun governo britannico aveva mai stretto un’alleanza con un partito nordirlandese per non perdere credibilità come mediatore nel processo di pace. Non a caso Jonathan Powell, capo negoziatore inglese ai tempi di Blair, ha affermato che quello di May è un terribile errore che potrebbe minare il lungo lavoro svolto per raggiungere un accordo di pace durevole. Di certo la scelta della leader conservatrice complicherà ulteriormente il già difficile rapporto tra Londra e Belfast in una fase estremamente delicata, che vede l’ennesimo stallo nella “devolution” e un vuoto di potere che a Belfast persiste da mesi, rischiando di prestare il fianco agli estremisti. Un paio di giorni fa un consigliere locale del DUP ha postato su Facebook un fotomontaggio con la bandiera dei paramilitari dell’Ulster Volunteer Force che sventolava sul n. 10 di Downing Street. I “falchi” della loggia orangista di Portadown hanno invece già cominciato a fare pressioni sul DUP, chiedendo di ripristinare la provocatoria marcia nell’area cattolica di Garvaghy Road, da anni vietata perché causa di gravi atti di violenza settaria.
Il nuovo governo May non sarà un esecutivo di coalizione in senso stretto ma poggerà su un accordo di convenienza reciproca all’interno del quale il DUP sosterrà i Tories sul bilancio e deciderà se appoggiarli o meno su ogni singola questione. Ma per concedere il voto decisivo dei suoi parlamentari, Arlene Foster chiederà ogni volta una contropartita e tra queste ci sarà sicuramente anche l’impegno di non indire alcun referendum sull’unità irlandese. Una consultazione che Gerry Adams, presidente del Sinn Fein – l’altro partito di maggioranza relativa dell’Irlanda del Nord – ha più volte ribadito che si farà, in ogni caso.
RM

Irlanda: chi ha paura di una Commissione per la verità e la giustizia?

Soltanto una Commissione per la verità e la giustizia sul modello di quella del Sudafrica post-apartheid potrà sanare una volta per tutte le ferite dell’Irlanda del Nord. A sostenerlo è Anne Cadwallader, ricercatrice del Pat Finucane Centre, una prestigiosa Ong di Belfast, che ha da poco dato alle stampe Lethal Allies. British Collusion in Ireland, un libro che dimostra per la prima volta in modo inconfutabile l’esistenza di un sistema di collusione ad altissimo livello tra lo stato britannico e i gruppi paramilitari protestanti durante gli anni più cruenti del conflitto in Irlanda del Nord. 1781171882.01._PC_SCLZZZZZZZ_Il ponderoso volume è frutto del lavoro di un team di ricercatori che per anni hanno indagato sugli omicidi settari compiuti negli anni ‘70 all’interno di quello che è stato definito il “triangolo della morte”, cioè le cittadine di Armagh, Portadown e Dungannon, a pochi chilometri dall’allora sensibilissima frontiera con la Repubblica d’Irlanda. “Il mio intento – ci spiega l’autrice al telefono dalla sua casa di Belfast – è quello di fornire il punto di partenza per la creazione di un organo indipendente e dotato di pieni poteri che sia in grado d’indagare alla ricerca della verità in base all’articolo 2 della Convenzione europea per i diritti umani, quello che garantisce il diritto alla vita”. A un mese dalla sua uscita, il libro è giunto alla terza ristampa ed è già riuscito a riaprire il dibattito sulla necessità di una Commissione “stile Sudafrica”, un’ipotesi tramontata tre anni fa quando un apposito gruppo di ricerca istituito da Londra naufragò di fronte alle richieste di risarcimenti delle famiglie delle vittime.
Ma a quindici anni dall’Accordo di Pace del Venerdì Santo, l’Irlanda del Nord resta un paese diviso, con comunità che vivono separate e tensioni permanenti che il tempo non sembra in grado di cancellare. “Non sono solo le famiglie ad avere il diritto di conoscere la verità sulla morte dei loro cari. Anche la società ha bisogno di comprendere il passato per costruire un futuro condiviso”, afferma Cadwallader, che ha alle spalle una lunga carriera di giornalista alla BBC e alla Reuters. Il suo Lethal Allies racconta per la prima volta tutta la verità in modo documentato e incontrovertibile, incrociando materiale degli archivi britannici, interviste di prima mano e rapporti ufficiali degli organi di polizia. “Questa collusione è giunta fino all’apice del governo britannico – denuncia – siamo infatti in grado di citare una lettera del 1975 che rivela un incontro tra l’allora primo ministro Harold Wilson e il nuovo capo dell’opposizione, Margaret Thatcher, durante il quale il Segretario per l’Irlanda del Nord informa i due leader politici che la RUC (la polizia dell’Irlanda del Nord, NdR) collabora col gruppo paramilitare protestante UVF e che il reggimento speciale dell’esercito britannico UDR è stato infiltrato da estremisti protestanti. Abbiamo un’enorme quantità di documenti nei quali lo stesso esercito britannico utilizza il termine ‘collusion’ per descrivere il motivo per il quale le armi venivano prese dagli arsenali dell’UDR”. Oltre alla mole di materiale d’archivio citato nel dettaglio, impressionano i numeri. Soltanto una tra le 120 persone ammazzate che la studiosa racconta nel suo libro era un membro dell’I.R.A.. Tutti gli altri erano civili, persone comuni che non avevano preso parte alla lotta armata. “Un simile sistema di collusione aveva funzionato in altri contesti coloniali nei quali era stata coinvolta la Gran Bretagna: il Kenya, la Malesia, Aden, Cipro e altri. I britannici volevano impedire ai cattolici nordirlandesi di avere rapporti con Dublino, ed era la stessa cosa che volevano i lealisti”. Ma secondo Cadwallader ormai incolpare le persone sarebbe una perdita di tempo, anche perché poche tra le famiglie delle vittime vogliono che i responsabili siano messi sotto processo. Quello che vogliono, invece, è che Londra riconosca ciò che è accaduto, che chieda scusa e li risarcisca. “I governi, in particolare quelli che devono fare fronte a insurrezioni violente, devono garantire e salvaguardare lo stato di diritto, devono comportarsi in modo diverso dalle forze paramilitari. Perché se a infrangere la legge sono gli stessi che fanno le leggi, non c’è più legge”. Ed è qui che torna d’attualità la Commissione per la verità e la giustizia. Chi ne sta ostacolando l’istituzione? Cadwallader non ha dubbi: il governo britannico. “Forse perché avrebbe molto da perdere. Il ruolo di Londra nel conflitto è riuscito finora a scampare al giudizio dell’opinione pubblica internazionale. Molte persone al di fuori del Nord Irlanda credono ancora alla favola secondo la quale Londra è stata un arbitro imparziale tra due fazioni in lotta. Invece nel corso dei decenni ha compiuto molti errori, ha infranto la legge e ha molte domande alle quali rispondere. Ma ignorare le divisioni del passato sarebbe l’errore più grande, perché prima o poi tornerebbero fuori per ossessionarci, come sta accadendo adesso in Spagna”.
RM

Se Torino imita Belfast

torinoUna notizia incredibile è comparsa ieri sulla cronaca torinese di “Repubblica”: in un quartiere di Torino è stata installata una rete metallica per separare in due il cortile comune di due palazzi, per evitare che i bambini delle famiglie popolari di inquilini si mischino con gli altri, con i proprietari degli alloggi del palazzo di fronte. Assemblee condominiali hanno votato a larga maggioranza la costruzione di un muro vero e proprio che dovrebbe essere eretto a breve. In pratica, una lotta tra ricchi e poveri, nata dopo l’assegnazione da parte del Comune di una serie di alloggi popolari che si trovano proprio di fronte a una palazzina dove i residenti sono invece proprietari degli alloggi. I giochi rumorosi dei più piccoli, un pallone finito sul balcone, un vetro rotto, infine qualche scherzo di troppo. E dai semplici rimbrotti si è passati a litigi pesanti tra i genitori dei due palazzi, a parole grosse, fino alle assemblee che hanno visto infine la grande maggioranza dei proprietari votare per la costruzione di un muro.
E pensare che proprio in questi giorni i famigerati “muri” di Belfast hanno compiuto 40 anni. Le prime barriere per dividere i quartieri cattolico-nazionalisti da quelli unionisti–protestanti erano state erette infatti nel luglio 1969 dai soldati britannici. Prima sgangherate barriere temporanee realizzate per proteggere la popolazione durante i violenti attacchi settari, poi col passare degli anni diventati i simboli di una società che continua a essere divisa. Anche più di dieci anni dopo la fine ufficiale del conflitto. Un recente sondaggio ha mostrato che la grande maggioranza della gente che vive nelle zone divise desiderano l’abbattimento dei muri, ma crede che non sia ancora giunto il momento per farlo. Le peaceline “ufficiali” che dividono Belfast e altre città dell’Irlanda sono attualmente 53: cinque a Derry, 5 a Portadown, una a Lurgan. Ben 42 sono quelle tuttora esistenti a Belfast.