Nel 1931 George Bernard Shaw visitò l’Unione Sovietica su invito di Stalin. Il grande drammaturgo irlandese, che non aveva mai fatto mistero delle sue simpatie nei confronti del regime di Mosca, tornò da quel viaggio entusiasta e incitò i giovani occidentali a trasferirsi in Russia, dove avrebbero trovato – disse proprio così – “un futuro radioso”. Ai tempi della Grande depressione non pochi gli avrebbero dato ascolto, abbadonando gli Stati Uniti per inseguire ciecamente l’utopia socialista sovietica. È quello che fa anche Florence Fein, la giovane protagonista di I patrioti (traduzione di Velia Februari, Fazi editore, pagg. 790, euro 20), il poderoso romanzo d’esordio della scrittrice statunitense di origini ucraine Sana Krasikov che racconta le vicende di tre generazioni in bilico fra due continenti, intrappolate tra le forze della storia e le conseguenze delle proprie scelte. Continua a leggere “Usa-Urss, attrazione e illusione”
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Le carestie? Colpa della politica
Intervista a Thomas Keneally uscita oggi su “Avvenire”
“Quando un Paese è così ricco di generi alimentari da poterli esportare non può esserci alcuna carestia. Sono state le leggi britanniche a costringere me e la mia famiglia a emigrare”. È passato più di un secolo da quando il grande drammaturgo irlandese George Bernard Shaw affidò al personaggio di una delle sue commedie la spiegazione più eloquente circa le cause della Grande Carestia che tra il 1845 e il 1850 decimò la popolazione dell’Irlanda.
Basta un rapido sguardo al passato per avere la conferma che certe calamità, come quella che da mesi colpisce la Somalia, non sono affatto “naturali”: ne è convinto lo scrittore australiano Thomas Keneally, autore di decine di romanzi di successo tra cui quello che ha ispirato il film Schindler’s list. Il suo ultimo libro, Three Famines, racconta alcune tra le più terrificanti carestie dell’ultimo secolo e mezzo – quella etiopica degli anni ‘80, quella scoppiata nel Bengala nel 1943 e, appunto, quella irlandese del XIX secolo – individuando molte analogie anche con altre tragedie simili, come quelle causate dai regimi comunisti in Ucraina e in Corea del Nord. Se la prende in particolare, Keneally, con la spiegazione malthusiana secondo la quale le carestie sarebbero la conseguenza della sovrappopolazione, e spiega invece che sono quasi sempre fattori naturali a innescarle, ma è la politica che le rende devastanti. Non ci sarebbe stata alcuna carestia nel Bengala – sostiene – se i britannici non avessero ostacolato le importazioni di generi alimentali nella provincia indiana dopo le inondazioni che distrussero i raccolti. Non fu la siccità a causare la tragedia della fame in Etiopia, bensì la guerra civile e la collettivizzazione forzata imposta da Menghistu. Quanto poi alla “carestia delle patate” in Irlanda, fu scatenata da un fungo ma ad amplificarla a dismisura ci pensarono i dogmi britannici del libero mercato: l’Irlanda aveva materie prime in abbondanza per sfamare la sua popolazione, se solo Londra avesse cessato di esportarle. La riflessione di Keneally risulta di particolare attualità oggi che, secondo i dati delle Nazioni Unite, circa 25000 persone muoiono ogni giorno per cause legate alla denutrizione. Continua a leggere “Le carestie? Colpa della politica”