Brexit e riunificazione, Nord Irlanda al bivio

Avvenire, 25.2.2017

Le elezioni che si terranno il 2 marzo prossimo segneranno uno spartiacque decisivo nella storia del processo di pace in Irlanda del Nord. Le dimissioni del vicepremier Martin McGuinness, storico esponente dei repubblicani di Sinn Féin, hanno fatto cadere il governo formato meno di un anno fa aprendo la strada al voto anticipato, ma hanno anche creato i presupposti per una lunga stagione di instabilità nella regione. Questa crisi è infatti la diretta conseguenza della profonda divisione che tuttora caratterizza la società nordirlandese, il sintomo inequivocabile della chiusura di una fase storica e politica avviata con la firma dell’Accordo del Venerdì Santo del 1998. Uno dei capisaldi della pace raggiunta a Belfast ormai quasi un ventennio fa era la politica del “power sharing”, ovvero la condivisione dei poteri tra i maggiori partiti del paese. Sinn Féin e Dup, espressione della comunità cattolico-repubblicana e di quella unionista-protestante, erano stati chiamati a governare insieme su una serie di questioni ‘devolute’ dal parlamento britannico. Un meccanismo istituzionale che almeno negli ultimi dieci anni ha funzionato, contribuendo a chiudere i conti con il passato e con una stagione di violenza che pareva interminabile. Al tempo stesso non è però riuscito a proiettare il paese nel futuro poiché non è stato capace di ricostruire il tessuto sociale ed economico dopo decenni di conflitto. La convivenza tra le due comunità continua a essere assai problematica a causa di una struttura sociale profondamente settaria e basata sulla segregazione religiosa. Ancora oggi, appena il 7% degli studenti dell’Irlanda del Nord frequenta scuole integrate mentre tutti gli altri seguono un percorso educativo che viaggia su binari rigidamente separati in base all’appartenenza confessionale. Le famiglie vivono in comunità divise, e sia a Belfast che in altre città sono ancora presenti numerose “peace line”, le barriere di cemento e lamiera che dividono per motivi di sicurezza i quartieri cattolici da quelli protestanti. Come se non bastasse, le statistiche più recenti parlano di una disoccupazione giovanile al 20% e della crescita costante del tasso di criminalità e della diffusione di droghe. Continua a leggere “Brexit e riunificazione, Nord Irlanda al bivio”

I muri di Belfast trasudano dissenso

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I due soldati uccisi a Massereene e il poliziotto freddato a Craigavon all’inizio di marzo sono stati due segnali eloquenti del crescente malessere che sta vivendo l’Irlanda del Nord a 11 anni dalla firma dell’Accordo del Venerdì Santo. Nei giorni scorsi abbiamo visto spuntare con sempre maggiore frequenza – sebbene la polizia le rimuova quasi giornalmente – le scritte dei gruppi dissidenti repubblicani sui muri del quartieri periferici di Belfast. Protestano perché l’Irlanda unita rimane ancora un sogno proibito (nonostante le promesse di alcuni politici) e perché i soldati britannici non se ne sono ancora andati, sebbene la loro presenza sia ormai ridotta e quasi impalpabile. E protestano anche per la liberazione dei loro compagni, come Terry McCafferty (un ex prigioniero politico internato nuovamente e senza alcun accusa precisa nel novembre scorso) e Colin Duffy (incarcerato per l’attentato di Massereene e in attesa di processo). Il 4 aprile scorso ho visto alcune decine di persone  protestare pacificamente di fronte alla caserma di polizia di Queen Street, vicino al quartiere popolare di New Lodge, per chiedere il rilascio di McCafferty. Nel gruppo c’era anche Marian Price, repubblicana di lungo corso e portavoce del 32 County Sovereignty Movement. “La vicenda di Terry – ci ha detto la stessa Price – è sintomatica di un ritorno all’internamento senza processo usato in modo massiccio a partire dal 1971. Così le autorità nordirlandesi chiudono la bocca a chi dissente. Stavolta con il beneplacito degli ex compagni di lotta del Sinn Fein”. E attaccando il vicepremier McGuinness, che nei giorni scorsi li aveva definiti ‘traditori,’ ha aggiunto: “Martin dovrebbe guardarsi allo specchio e farsi un esame di coscienza prima di parlare. Hanno venduto i loro ideali per poche migliaia di sterline britanniche”.

Belfast e i rischi di una “pace fredda”

Due morti, quattro feriti e un processo di pace ormai consolidato che torna (almeno potenzialmente) in discussione è il tragico bilancio dell’attacco messo a segno sabato sera dal gruppo repubblicano dissidente Real I.R.A. alla base militare britannica di Massereene, nella contea di Antrim. Belfast e l’Irlanda del nord sono tornate così prepotentemente – e inopinatamente – in prima pagina, facendo sollevare addirittura dubbi sulla tenuta di un percorso di pacificazione ritenuto esemplare fino ad appena tre giorni fa. Perplessità, queste, che ci sembrano completamente fuori luogo: le lancette della Storia, a Belfast, non torneranno indietro di 15 o 20 anni, perché proprio in questo periodo la crescita economica nella (ex?) provincia britannica ha portato quel benessere che costituisce un’affidabile garanzia di pace per il futuro. Ma se l’attentato di Massereene non è senz’altro sufficiente a far temere un ritorno al passato, quanto accaduto sabato sera può costituire un brusco risveglio per chi aveva dato ormai per conclusa la partita del conflitto anglo-irlandese. È vero, l’esercito di Sua Maestà non perdeva un uomo in Irlanda dall’ormai lontano 1997 e Mark Quinsey e Patrick Azimkar, i due soldati poco più che ventenni del 38esimo reggimento del Genio freddati dai colpi della Real I.R.A. sono i primi militari inglesi ammazzati dopo la firma dell’Accordo del Venerdì Santo (1998). Tuttavia, né il definitivo disarmo dell’I.R.A. (datato 2005), né la parziale smobilitazione delle postazioni militari inglesi, né l’implementazione di uno storico governo bipartisan sono riusciti a sciogliere una serie di nodi politici cruciali che restano tuttora fatalmente irrisolti. A dispetto del trionfalismo da anni ostentato dai politici, quella irlandese continua purtroppo a essere una pace “fredda”, a causa dell’odio ancora profondamente radicato nelle sei contee dell’Ulster britannico, retaggio indistruttibile di lunghi secoli di giogo inglese. Ed è anche una pace senza giustizia, perché continua a mancare qualsiasi verità giudiziaria sugli innumerevoli casi di collusione come gli assassini degli avvocati Finucane (1989) e Nelson (1999) o del giornalista O’Hagan (2001), solo per citarne alcuni. Così come senza colpevole rimangono sia gli “omicidi di stato” commissionati da Londra a partire dalla metà degli anni ’70 che il famigerato eccidio compiuto a Derry, l’ultima domenica di gennaio del 1972. I mandanti del massacro, in quest’ultimo caso, restano ancora misteriosamente ignoti anche dopo la conclusione dell’inchiesta più costosa della storia giudiziaria britannica. Non può dunque stupire, in questo quadro, che trovino ancora spazio di manovra piccoli gruppi dissidenti composti da giovani reclute come la Real I.R.A.. Incapaci di far ripiombare l’Irlanda del nord nel caos, ma comunque in grado di esprimere un disagio che suona ormai anacronistico, e di uccidere.
RM