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I due soldati uccisi a Massereene e il poliziotto freddato a Craigavon all’inizio di marzo sono stati due segnali eloquenti del crescente malessere che sta vivendo l’Irlanda del Nord a 11 anni dalla firma dell’Accordo del Venerdì Santo. Nei giorni scorsi abbiamo visto spuntare con sempre maggiore frequenza – sebbene la polizia le rimuova quasi giornalmente – le scritte dei gruppi dissidenti repubblicani sui muri del quartieri periferici di Belfast. Protestano perché l’Irlanda unita rimane ancora un sogno proibito (nonostante le promesse di alcuni politici) e perché i soldati britannici non se ne sono ancora andati, sebbene la loro presenza sia ormai ridotta e quasi impalpabile. E protestano anche per la liberazione dei loro compagni, come Terry McCafferty (un ex prigioniero politico internato nuovamente e senza alcun accusa precisa nel novembre scorso) e Colin Duffy (incarcerato per l’attentato di Massereene e in attesa di processo). Il 4 aprile scorso ho visto alcune decine di persone protestare pacificamente di fronte alla caserma di polizia di Queen Street, vicino al quartiere popolare di New Lodge, per chiedere il rilascio di McCafferty. Nel gruppo c’era anche Marian Price, repubblicana di lungo corso e portavoce del 32 County Sovereignty Movement. “La vicenda di Terry – ci ha detto la stessa Price – è sintomatica di un ritorno all’internamento senza processo usato in modo massiccio a partire dal 1971. Così le autorità nordirlandesi chiudono la bocca a chi dissente. Stavolta con il beneplacito degli ex compagni di lotta del Sinn Fein”. E attaccando il vicepremier McGuinness, che nei giorni scorsi li aveva definiti ‘traditori,’ ha aggiunto: “Martin dovrebbe guardarsi allo specchio e farsi un esame di coscienza prima di parlare. Hanno venduto i loro ideali per poche migliaia di sterline britanniche”.