Brano tratto da Autobiografia di un picchiatore fascista (Minimum Fax, Roma 2008) di Giulio Salierno. L’autore, all’epoca dirigente giovanile di una sezione romana del MSI, racconta le tesi di Rauti sin dagli anni ‘50.
Era ancora il turno delle sparate retoriche e fideistiche. Stavo per tornare di nuovo nel salone degli uffici quando vidi entrare in sezione Pino Rauti, il giovane leader della corrente spiritualista. Rimasi sorpreso. Non speravo che al dibattito potesse prender parte un uomo del suo calibro. Mi misi seduto in prima fila. Non volevo perdere neppure una parola del suo intervento.
Alto, magro, ascetico, Pino Rauti si muoveva con passi lenti, misurati. Sembrava indifferente alla curiosità che destava. Mi ricordava un gesuita.
Si accostò al tavolo della presidenza, chiese la parola e si sedette in attesa che gliela dessero. La sala si riempì di gente. La sua presenza aveva richiamato tutti quelli che prima, per sfuggire alla noia, si erano cacciati negli uffici. L’oratore di turno abbreviò il suo intervento per cedere subito il microfono a Rauti.
Il capo degli evoliani inforcò gli occhiali e cominciò a parlare a voce secca, distinta, e dopo un breve cappello d’obbligo entrò immediatamente nel merito della discussione: «Presentarci come pecore all’opinione pubblica è un nonsenso. Significa raccogliere gli applausi di una massa di gente che, alle prossime elezioni politiche, preferirà la DC a noi proprio perché ci considererà deboli, inadatti a fronteggiare i comunisti e per di più sospetti per il nostro passato. Io non credo alle elezioni, non credo ai partiti, e non credo che il Parlamento rappresenti la nazione. Sono, quindi, convinto che dobbiamo mutare tattica e strategia se vogliamo contare qualcosa nel nostro paese. Dobbiamo essere lupi e farci conoscere come tali. Fingerci pecore equivale non solo a esserlo, ma – e lo dico per gli ammalati di parlamentarismo – significa anche impossibilità di raggiungere rilevanti risultati elettorali. Crede la direzione, piegando il ginocchio, di trasformare il MSI, agli occhi degli altri partiti, nel figliol prodigo a cui si spalancano le braccia per accoglierlo? Illusione, follia o forse… tradimento».
L’assemblea ascoltava con attenzione. Le tesi di Rauti non erano condivise dalla maggioranza dei presenti. Erano però apprezzate per le critiche radicali che esprimevano nei confronti della direzione e per i suggerimenti tattici e strategici che contenevano.
«Non possiamo sperare», continuava Rauti, «di poter ripetere ciò che Mussolini fece nel 1922. Malgrado i legami esistenti e quelli che si potrebbero incrementare con l’apparato statale, la polizia e l’esercito, non è ugualmente possibile effettuare un colpo di stato o un’insurrezione di destra tout court. Nel paese è in atto una guerra civile scatenata dalla sinistra, una guerra civile che i comunisti conducono in modo nuovo: con la forza della parola, della propaganda, dell’infiltrazione negli organismi dirigenti dello stato. Noi non possiamo e non dobbiamo batterci sul terreno di lotta scelto dall’avversario. Possiamo e dobbiamo, invece, smascherarne il gioco, costringerlo a uscire allo scoperto. Obbligare la sinistra, e in particolare i comunisti, a scegliere tra insurrezione o resa è il nodo di fondo della politica italiana. I comunisti sanno che la via diretta, quella del fucile per intenderci, sarebbe la loro rovina; dobbiamo obbligarli a percorrerla o a emarginarsi nel ghetto politico dell’isolamento e della debolezza. Solo così noi possiamo diventare l’arco di volta della lotta contro il comunismo e, per batterlo, ottenere gli appoggi internazionali necessari per conquistare il potere. Il punto è come arrivarci». Continua a leggere ““Attentati a uffici, magazzini, cinema, linee ferroviarie”: chi era davvero Pino Rauti”