Desaparecidos, le rivelazioni di Videla: “8000 morti? Potevamo fare di più”

di Leonardo Sacchetti

«Sette od ottomila, sì. Ma potevamo fare di più». La voce è sempre quella, anche con 86 primavere sulle spalle e in attesa di una quasi certa terza condanna all’ergastolo. Sembra un anziano come tanti altri, ma è l’ex dittatore argentino Jorge Videla a raccontare – per la prima volta – quel che la storia già sapeva e che in molti, per un verso o per un altro, fanno fatica a credere.
«Sette od ottomila» sono i numeri delle persone che lo stesso Videla conferma siano state fatte sparire tra il 1976 (l’anno del golpe militare in Argentina) e il 1983 (il ritorno, parziale, alla democrazia). Desaparecidos. «Potevamo fare di più», è l’atroce conclusione che lo stesso Videla dà del proprio operato, nella lunga conversazione raccolta dallo scrittore e giornalista argentino Ceferino Reato nel suo libro Disposizione Finale.
La confessione di Videla sui desaparecidos e che ieri ha visto un prologo con la diffusione di un video con le parole dell’ex dittatore. «Purtroppo, questo è il prezzo che il popolo argentino ha dovuto pagare per continuare ad essere una repubblica», si autoassolve l’ex militare. La «confessione» piomba sull’Argentina che continua a non dimenticare ma che la presidente Cristina de Kirchner cerca di portare sempre più avanti, sempre più lontano da quelli orrori. Anche a costo di mettere da parte la memoria, in cambio di crescita, sviluppo e lavoro.
«È difficile guardare una persona così e pensare che si tratta di un essere umano», ha detto Estela de Carlotto, presidente delle «Nonne di Plaza de Mayo», l’associazione che più sta appoggiando la politica della Kirchner. «Per di più – ha concluso la Carlotto – quest’uomo mente: dice che ci fu una guerra quando in questo Paese ci fu solo terrorismo di Stato».
Sì, perché le parole di Videla, tirate fuori dalla cella numero 5, unità 34, del carcere di massima sicurezza dentro alla caserma «Campo de Mayo» (appena fuori Buenos Aires), certificano la responsabilità dei militari e di una grossa fetta dell’imprenditorialità argentina degli anni ’70. Gente terrorizzata più dalle opposizioni di sinistra e peroniste dalla bontà dei loro prodotti.
«Fate quel che dovete fare», furono le parole dette dagli imprenditori, come ricorda Videla. Di cui, per inciso, si rifiuta di fare i nomi. «Ma subito dopo, se ne lavarono le mani». Quel «subito dopo» sono i primi desaparecidos. I primi di quei «sette od ottomila» che, per le ricostruzioni storiche e le associazioni in difesa dei diritti umani, sono quasi 30mila. Quel «subito dopo» è la politica repressiva di chi faceva sparire oppositori, politici, sindacalisti, vicini di casa, docenti e studenti «per non provocare proteste dentro e fuori il Paese», ringhia Videla nel video in cui sembra un anziano qualsiasi che, davanti a una telecamera, in polo a mezze maniche e con un chiacchiericcio da ospizio alle spalle, racconta la storiella della sua vita. E in effetti lo è: un anziano. Che ha però guidato una delle repressioni più selvagge degli ultimi 40 anni. Continua a leggere “Desaparecidos, le rivelazioni di Videla: “8000 morti? Potevamo fare di più””

“Tusitala”, tra memoria e finzione

Una storia che unisce passato e presente sulle orme del famigerato tesoro di Hermann Göring, tra intrighi internazionali e vicende personali. Tusitala, il bel romanzo d’esordio di Leonardo Sacchetti, prende spunto da una leggenda risalente all’epoca dell’occupazione nazista e si avvale di uno studio approfondito delle fonti per riportare in vita personaggi realmente esistiti. Sullo sfondo c’è la provincia di Firenze nell’inverno del 1943, con la popolazione stretta nella morsa dell’assedio nazista e dei bombardamenti alleati, e una delle fabbriche più importanti d’Italia – la Manifattura di ceramiche Richard Ginori di Sesto Fiorentino – al cui interno accade un fatto che innesca l’intera storia. “Nasce tutto da un ricordo di mio nonno Walter, che ha lavorato nella fabbrica per lunghi anni come operaio – spiega Sacchetti – non l’ho mai conosciuto ma in famiglia sentivo parlare spesso di quelle porcellane artistiche di grande valore che sarebbero state caricate, di notte, su un treno per essere trasportate in Germania mentre gli aerei americani bombardavano l’area”. Obiettivo delle bombe alleate era il feldmaresciallo Göring, braccio destro di Hitler e tra i principali responsabili delle razzie di opere d’arte nei paesi occupati durante la guerra. Il “Ciccione”, così è apostrofato nel romanzo, era arrivato a Firenze in quei giorni per sovrintendere al furto dei pezzi più pregiati dai musei fiorentini. Col tempo il suo straordinario tesoro sarebbe diventato talmente introvabile da trasformarsi in una sorta di Sacro Graal per gli Indiana Jones dell’era moderna. Nella vicenda raccontata in Tusitala, oltre a Göring, compaiono altri personaggi reali come Rodolfo Siviero, detto lo “007 dell’arte”, l’agente segreto che dedicò tutta la vita alla ricerca di opere razziate dai nazisti in Italia e anche i membri del movimento neonazista “Stille Hilfe”, per decenni impegnato nell’aiuto agli ex gerarchi e qui intento a ricostruire Karinhall, la leggendaria casa-museo di Göring “per far tornare a splendere il sole sul Reich”. Ma ciò che l’autore fa emergere con maggiore efficacia dalla narrazione sono i frammenti della memoria di suo nonno, il suo amore per la Manifattura, le sofferenze del Dopoguerra e le lotte sindacali che negli anni ‘50 gli costarono il licenziamento. E riesce a far rivivere, d’un sol colpo, la storica fabbrica sestese che per due secoli ha avuto sede in una villa medicea recentemente riconvertita in biblioteca. “Da anni la storia costruita intorno a queste memorie familiari era appuntata su decine di fogli sparsi”, spiega Sacchetti. “È come se col tempo questi fogli si fossero assemblati prima nella mia testa e poi, con non poco impegno, in una struttura a romanzo popolare d’avventura, trovando una chiave narrativa come il giallo per parlare d’amicizia, di storia e di rapporti con il passato”. La vicenda si ricollega infatti ai giorni nostri raccontando un’altra sparizione, stavolta di testi antichi dalla casa di un anziano collezionista. La conseguente ricerca del tesoro perduto diventa un viaggio nella memoria che fornisce ai protagonisti l’occasione per fare i conti con il proprio passato. Tusitala (“il racconta-storie”, in lingua samoana) è il nome della barca dove s’incontrano i protagonisti del libro ma anche un omaggio al grande Robert Louis Stevenson, che così fu soprannominato dagli indigeni dei mari del Sud. Un ritmo veloce ma non frenetico, una scrittura asciutta e un intreccio narrativo che si dipana attraverso varie epoche storiche, tra realtà e finzione verosimile: tutto contribuisce a fare di Tusitala un esordio più che convincente.
RM

(Recensione uscita su “Left” del 9 marzo 2012)