L’internato che fotografò i boia di Mauthausen

Avvenire, 26.1.2018

Con il suo eroismo, il fotografo spagnolo Francisco Boix riuscì a trasformare l’ossessione dei nazisti per l’iconografia, la rappresentazione e la propaganda in una potente arma a servizio della giustizia e della memoria delle vittime. La sua straordinaria storia è rimasta sepolta a lungo nell’oblio prima di essere riscoperta grazie a una biografia uscita in Spagna una quindicina d’anni fa. Originario di Barcellona, poco più che ventenne Boix combatté contro i franchisti e dopo la sconfitta dei repubblicani riparò in Francia, prima di finire deportato a Mauthausen insieme a migliaia di altri prigionieri politici spagnoli.

Francisco Boix

Nel famigerato campo di concentramento austriaco si imbatté in Paul Ricken, un nazista fanatico responsabile dei servizi fotografici nel campo, che immortalava i detenuti al loro arrivo nel campo. Fu lui che lo costrinse a partecipare a un progetto folle e criminale, che prevedeva di mettere in scena la morte fotografando nel modo più professionale possibile i diversi modi di morire nel campo. Boix dovette calarsi negli abissi più profondi del delirio nazista, ma comprese anche di avere l’opportunità di documentare quei crimini di fronte al mondo. Rischiando la vita cominciò a scattare più immagini possibile e a far sparire i negativi, prima occultandoli all’interno delle baracche poi, approfittando dei deportati che uscivano dal lager per lavorare, facendoli nascondere dentro al muro di un’abitazione. In questo modo riuscì a trafugare e a salvare dalla distruzione centinaia di negativi. Quando il campo di Mauthausen venne infine liberato dagli americani nel maggio 1945, fu lui a scattare le famose foto dei deportati che abbattevano l’aquila nazista ma soprattutto mostrò ai liberatori le immagini dei prigionieri che si erano aggrappati ai fili elettrificati per porre fine alle loro sofferenze, quelli costretti a mostruosi lavori di scavo, quelli morti di fame e di stenti nelle baracche. Dopo la liberazione divenne uno dei testimoni-chiave al processo di Norimberga del 1946: con le sue foto riuscì a provare il coinvolgimento diretto degli alti ufficiali nazisti e a far condannare, tra gli altri, il comandante delle SS Ernst Kaltenbrunner. Per far conoscere la sua storia al grande pubblico, anche al di fuori dei confini spagnoli, viene pubblicata proprio in questi giorni la graphic novel Il fotografo di Mauthausen (Mondadori Comics, testi di Salvador Rubio, illustrazioni di Pedro J. Colombo e Aintzane Landa), che grazie a una rigorosa ricostruzione storica unisce la leggerezza del fumetto alla profondità della testimonianza, facendo risuonare l’eco delle parole di Elie Wiesel quando disse che “chi ascolta un superstite dell’Olocausto diventa a sua volta un testimone”. La storia di Boix riporta alla memoria anche una sequenza del recente film ungherese Il figlio di Saul nel quale alcuni deportati, rischiando la vita, riescono a impadronirsi di una macchina fotografica e a scattare di nascosto alcune foto del campo. Naturalmente le foto scattate da Boix a Mathausen non costituiscono l’unica rappresentazione iconografica della macchina dei lager al culmine del suo funzionamento. Il caso più noto resta quello di Wilhelm Brasse, il fotografo polacco autore di migliaia di scatti ad Auschwitz, alcuni dei quali sono esposti allo Yad Vashem e allo stesso museo di Auschwitz. Quanto a Boix, che con il suo coraggio riuscì a diventare il granello di sabbia capace di inceppare il meccanismo della follia nazista, avrebbe continuato a lavorare come fotografo anche nel dopoguerra, morendo nel 1951, a soli 31 anni.
RM

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