Reportage dal cimitero monumentale di Dublino, uscito oggi su Avvenire
I fiori sulla tomba di Michael Collins li cambiano tutti i sabati mattina. Un gruppo di volontari, talvolta molto giovani, si presenta puntualmente ogni settimana e porta i mazzi freschi per onorare la memoria del grande patriota ucciso, come Gandhi, dalla sua stessa gente. Una croce di pietra alta cinque metri con un’iscrizione in gaelico ricorda colui che combatté gli inglesi nella guerra d’indipendenza conclusa novant’anni fa con la sua morte e con la nascita dello stato irlandese. Il monumento si trova a pochi passi dal cortile d’ingresso del cimitero di Glasnevin, alla periferia settentrionale di Dublino: cinquantadue ettari colmi di lapidi e di alberi secolari che raccontano gli ultimi due secoli di storia dell’Irlanda e che non potevano non riservare a Collins un posto di spicco tra i grandi della nazione. Nell’ultimo anno, grazie a un corposo piano di riqualificazione finanziato dallo Stato, Glasnevin è diventato un’attrazione per il turismo culturale che attrae decine di migliaia di visitatori. Un avveniristico edificio di tre piani costruito nel cortile d’ingresso ospita un museo che si è appena aggiudicato il primo premio al Museum and Heritage Awards for Excellence di Londra, battendo la concorrenza del Kennedy Space Center della Nasa e del museo di arte islamica del Cairo.
Il cimitero fu fondato nel 1832 quando i cattolici irlandesi, che costituivano come adesso la stragrande maggioranza del paese, non avevano un luogo dove poter seppellire i loro morti e non potevano celebrare funerali secondo il loro rito. A vietarli erano state le famigerate “leggi penali” imposte dagli inglesi nel XVIII secolo per limitare duramente la libertà di tutti i culti non anglicani. Toccò a Daniel O’Connell, il Martin Luther King dei cattolici d’Irlanda, creare un luogo dove sia i cattolici che i protestanti potessero dare degna sepoltura ai loro morti. Fece nascere il piccolo Prospect cemetery, destinato ad ampliarsi fino a diventare il cimitero nazionale di Glasnevin, dal nome dal quartiere di Dublino dove sorge. Circondato da alte mura e protetto da torri di guardia degne di una fortezza, conserva oggi le tombe di quasi un milione e mezzo di irlandesi – circa tre volte gli attuali abitanti della capitale – e per grandezza e importanza storica può essere annoverato tra i principali cimiteri monumentali del mondo, paragonabile al parigino Père Lachaise e al cimitero statunitense di Arlington. I suoi viali perfettamente conservati sono pervasi da una concezione dinamica della storia che attrae quasi ogni giorno file di scolaresche provenienti da tutto il paese. “Seguendo lo spirito del suo fondatore – spiega lo storico Shane McThomas – Glasnevin è diventato un luogo dove tenere viva la memoria della nazione e nel quale dare sepoltura non solo alle personalità ma anche ai poveri”. Circa due terzi delle tombe presenti qui sono infatti anonime, perché O’Connell volle che vi fossero tumulate le vittime delle grandi calamità del XIX secolo come il colera, il tifo, la carestia, quando l’Irlanda era uno dei paesi più poveri d’Europa e aveva una mortalità infantile superiore al 50%. Allo stesso O’Connell è dedicato il monumento-simbolo del cimitero: la gigantesca torre circolare che con i suoi 51 metri d’altezza è la più grande di tutta l’Irlanda ed è visibile a chilometri di distanza. Costruita nel 1869 e modellata sullo stile architettonico dei monasteri cristiani dell’Alto Medioevo di cui l’Irlanda è costellata, sovrasta la cripta dove sono conservate le spoglie del “Grande emancipatore”, che è stata riaperta al pubblico nel 2009 ed è subito diventata meta di visite e pellegrinaggi. Poche centinaia di metri più avanti ci si imbatte nella tomba di Eamon De Valera, l’uomo che più di tutti ha attraversato da protagonista la storia irlandese del XX secolo. Rivoluzionario, primo ministro per quasi due decenni, poi a lungo presidente della Repubblica, adesso riposa con la moglie e i figli sotto una semplice croce di pietra bianca. La guida che due volte al giorno porta i turisti a visitare il cimitero spiega che il suo monumento è spoglio e privo di fiori perché nessuno oggi sembra volerlo ricordare, contrariamente al suo coevo Collins. Sebbene sia stato anche uno dei capi della rivolta di Pasqua del 1916, De Valera non viene mai rievocato nelle manifestazioni che ogni anno si tengono a Glasnevin per commemorare i caduti nelle lotte di liberazione degli ultimi 150 anni. I cortei, di solito, passano oltre e si fermano davanti al Republican plot, il Panthon dei martiri repubblicani dove in mezzo a splendide croci celtiche sono sepolti tutti i morti degli anni cruciali dell’indipendenza. Dai combattenti “feniani” della seconda metà del XIX secolo ai leader della rivolta del ‘16 mandati alla forca dagli inglesi, dalle tombe di personaggi leggendari come Maud Gonne McBride – rivoluzionaria d’inizio ‘900 e musa di Yeats – fino al memoriale dedicato ai combattenti morti di sciopero della fame in carcere dal 1917 in poi: ogni particolare del simbolismo dell’architettura funeraria è stato concepito con cura per ricordare un passato glorioso di lotte per la libertà della nazione. In un sepolcro semplice e ben curato, giace anche un altro grande patriota impiccato dagli inglesi, Roger Casement, le cui spoglie sono potute tornare in patria solo nel 1965, mezzo secolo dopo la sua morte, per essere tumulate di nuovo dopo un funerale di stato cui presero parte decine di migliaia di persone. Tra i molti artisti presenti, i più famosi sono il drammaturgo Brendan Behan, lo scrittore James Stephens e la cantante d’Opera Margaret Burke Sheridan, ma il 16 giugno di ogni anno non è difficile imbattersi negli appassionati di James Joyce che celebrano il “Bloomsday” raggiungendo il cimitero in carrozza. A Glasnevin si svolge infatti il sesto episodio di Ulysses, nel quale il grande scrittore irlandese parafrasò la discesa di Odisseo all’Inferno dedicando lunghe pagine alla descrizione del camposanto, dove riposa anche suo padre, John Stanislaus Joyce.
Riccardo Michelucci