Dolours Price 1951-2013 (divisi anche di fronte alla morte)

Dolours Price era una donna coraggiosa. Voleva un’Irlanda unita e libera dal giogo inglese e in gioventù non si era fermata di fronte a niente pur di vedere realizzati i suoi ideali. In carcere non aveva avuto paura né dell’isolamento, né della tortura. Non aveva esitato a intraprendere la più estrema delle proteste carcerarie: lo sciopero della fame. Aveva rifiutato il cibo a più riprese ed era stata alimentata con la forza, proprio come le suffragette d’inizio ‘900. Un tubo in bocca e quella poltiglia che ti scende in gola rischiando di soffocarti. Un vero e proprio strumento di tortura che le autorità britanniche non esitavano a usare cinicamente quando ritenevano controproducente la morte di un prigioniero in carcere. L’8 marzo 1973, insieme a sua sorella Marian, a Gerry Kelly, a Hugh Feeney e ad altri sei volontari della Belfast Brigade dell’I.R.A., Dolours si rese protagonista di uno degli episodi più spettacolari della guerra anglo-irlandese: l’attentato contro il tribunale di Londra, nel cuore della City. Lunedì scorso padre Raymond Murray, storico parroco del carcere femminile di Armagh, ha pronunciato una toccante omelia durante i suoi funerali, sottolineando le sue qualità umane, la sua spiccata sensibilità artistica e la sua vocazione nei confronti del proprio popolo, per il quale aveva sognato un’emancipazione che ancora stenta ad arrivare. Il processo di pace l’aveva allontanata dalla politica, l’aveva resa sempre più critica nei confronti della leadership del Sinn Féin, il partito che aveva incarnato a lungo le battaglie della sua vita. Negli ultimi anni si era sentita sconfitta, aveva iniziato ad abusare di alcol e droghe, fino al tragico epilogo di qualche giorno fa, che l’ha vista morire prematuramente a soli 62 anni.
Chi l’ha conosciuta racconta che la sua bellezza e il suo carisma avevano illuminato a lungo i ghetti nazionalisti di Belfast ovest. Nel quartiere di Andersonstown, dov’era nata in una famiglia di forte tradizione repubblicana, era considerata una regina, l’ultima erede di quella gloriosa tradizione femminile che da almeno un secolo contraddistingue la lotta di liberazione irlandese. Poi la storia ha deviato il suo corso, e la grancassa mediatica del Sinn Féin divenuto partito di governo ha stabilito che quelli come lei non erano più degli eroi, ma dei dissidenti, dei disallineati, semplicemente perché rifiutavano di obbedire al pensiero unico orientato dal potere economico inglese sul sacro altare della pace. Di una pace priva di riconciliazione e di una libertà ben diversa da quella sognata fino ad allora. Di un compromesso che aveva tradito gli ideali di un tempo. Non è una novità che oggi quelli che continuano a sognare un’Irlanda unita e libera dal giogo inglese vengano definiti dissidenti da gran parte dei loro compagni di una volta. Eppure, dopo aver assistito al funerale di Dolours Price a West Belfast, lunedì scorso, è venuta quasi spontanea un’amara considerazione. La storia ci ha insegnato che gli inglesi hanno sempre avuto la capacità innata di dividere gli irlandesi, mettendoli gli uni contro gli altri per meglio servire i propri interessi coloniali. Per secoli, fino ai giorni nostri, gli inglesi sono stati maestri nell’alimentare uno scontro non solo tra cattolici e protestanti, nazionalisti e unionisti, ma anche all’interno dello stesso fronte indipendentista. All’inizio degli anni ’20 ci riuscirono così bene da scatenare una sanguinosa guerra civile tra i favorevoli e i contrari al trattato che concedeva l’autogoverno a una parte consistente dell’isola (l’attuale Repubblica). Oggi la machiavellica architettura istituzionale eretta con l’Accordo del Venerdì Santo del 1998 ha diviso gli irlandesi di nuovo, anche se per fortuna senza le tragiche conseguenze di 90 anni fa. Il funerale di Dolours Price ha confermato che il divide et impera degli inglesi non può essere superato neanche di fronte alla morte. Tra le centinaia di persone che hanno preso parte alle esequie non c’era nessun membro di spicco del Sinn Féin, nessuno di quegli uomini e di quelle donne che per anni avevano sofferto con Dolours nelle carceri britanniche, che come lei avevano creduto nell’ineluttabilità della lotta armata per liberare il proprio paese. Nessuno di quelli che oggi, divenuti parlamentari e ministri, hanno barattato i propri ideali in cambio del prestigio, del potere e dei soldi hanno sentito il bisogno o il dovere di tributarle l’ultimo saluto.
RM

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