Avvenire, 30.1.2018
Dublino, 14 agosto 1649. Una folla entusiasta accoglie il comandante inglese Oliver Cromwell al suo sbarco in Irlanda con ventimila soldati al seguito. Il futuro Lord protettore del Commonwealth annuncia di essere stato incaricato dalla Divina Provvidenza di portare a termine la repressione dei “selvaggi irlandesi” che alcuni anni prima avevano osato rivoltarsi contro i coloni anglo-scozzesi. Pochi giorni prima del suo arrivo, le forze parlamentariste britanniche di stanza nell’isola avevano vinto la decisiva battaglia di Rathmines ed erano riuscite a cacciare tutti i cattolici da quella che era all’epoca la seconda città dell’Impero. Dublino era ormai una roccaforte protestante, mentre il resto del paese risultava ancora lacerato da anni di rivolte e tumulti. In appena nove mesi, la feroce campagna militare dell’esercito cromwelliano sarebbe riuscita a sottomettere l’isola al potere inglese estendendo la religione protestante in tutta l’Irlanda. Oliver Cromwell era un calvinista ortodosso, visceralmente anticattolico, e col pretesto di schiacciare una volta per tutte la ribellione degli irlandesi, cancellò in breve tempo tutti i negoziati che in passato avevano garantito qualche forma di tolleranza nei confronti del cattolicesimo, ne vietò il culto e infine bandì sacerdoti e vescovi dall’isola sotto la minaccia della pena capitale. Dette il via a una vera e propria pulizia etnica che ridusse di circa un terzo la popolazione autoctona e sottrasse ai cattolici gran parte delle loro terre, suggellando il dominio dei nuovi coloni protestanti. Quella ridistribuzione fondiaria ottenuta con il terrore e la devastazione dette vita a una classe di proprietari terrieri fedeli alla chiesa anglicana che avrebbe garantito lealtà duratura all’Inghilterra. Ancora oggi, in Irlanda, la memoria popolare ricorda la straordinaria crudeltà delle truppe di Cromwell e associa il suo nome a una delle fasi più cruente della conquista coloniale inglese. Le cronache dell’epoca raccontano che il suo esercito, il cosiddetto New Model Army, combatteva “in preda a un furore omicida”. I suoi uomini, fanaticamente ostili al cattolicesimo, consideravano la propria opera una sorta di missione religiosa tesa a estirpare con ogni mezzo la Chiesa di Roma dall’Irlanda. Prima di salpare dall’Inghilterra erano stati indottrinati dalle prediche di John Owen, un teologo puritano che li incitò a vendicare senza pietà i protestanti dell’Ulster morti nella rivolta cattolica del 1641.
Definito il “Calvino d’Inghilterra”, Owen aveva studiato a Oxford finché non era stato costretto a lasciare gli studi teologici a causa della sua opposizione agli statuti dell’arcivescovo Laud. Durante la guerra civile inglese si era schierato dalla parte del parlamento fino a diventare il consigliere di Cromwell nelle questioni religiose, accompagnandolo in qualità di cappellano nella campagna contro i cattolici irlandesi. Proprio quei mesi che trascorse in Irlanda sono stati analizzati sotto una luce inedita da un recente saggio di Crawford Gibben (John Owen and English Puritanism: Experiences of Defeat, Oxford University Press), che ricostruisce nel dettaglio una delle figure più importanti del puritanesimo inglese del Seicento. L’esperienza di Owen al seguito di quella brutale invasione si sarebbe rivelata talmente scioccante da spingerlo a mettere in discussione le sue stesse convinzioni, portandolo infine a rigettare ogni giustificazione religiosa della guerra. Quei mesi – racconta Gibben, che è docente di storia alla Queen’s University di Belfast – non furono uno spartiacque solo per le vittime ma anche per lui: la sua coscienza gli impedì di restare indifferente di fronte alle devastazioni, ai massacri, al caos. Nei suoi resoconti descrive “i poveri orfani dediti all’accattonaggio che soffrivano la fame in mezzo ai rifiuti nelle strade, gli uomini e le donne alla disperata ricerca di un pezzo di pane”. Mentre i soldati di Cromwell marciavano alla conquista delle città di Drogheda, di Wexford e di altri obiettivi strategici sottoponendo le popolazioni civili a terrificanti assedi, Owen cominciò a occuparsi dei sopravvissuti, nel tentativo di offrir loro una speranza nel futuro, predicò nelle chiese e scrisse trattati teologici dal taglio completamente diverso rispetto a quelli redatti anni prima. Quello che vide lo portò a riconsiderare anche il linguaggio con il quale un tempo aveva incoraggiato quella campagna. E mentre Cromwell, in preda a una sorta di delirio mistico, affermava che anche le azioni più efferate erano uno strumento della giustizia divina, Owen iniziò a domandarsi quale fosse il modo migliore per tener fede al Vangelo di Giovanni, secondo il quale “Dio non ha mandato il proprio Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma affinché il mondo sia salvato per mezzo di lui”. Fino a presentarsi davanti al parlamento di Westminster chiedere eloquentemente, “perché Gesù Cristo è in Irlanda soltanto come un leone dagli indumenti macchiati con il sangue dei propri nemici e non come un agnello cosparso con il sangue dei suoi amici?”. Sopraffatto dall’orrore di fronte a ciò che vide in Irlanda, John Owen cadde in disgrazia agli occhi di Cromwell, ma a partire dalla seconda metà del ‘600 sarebbe diventato uno dei principali teorici della tolleranza religiosa.
RM