Bobby Sands, eroe immortale da 30 anni

“Mister Robert Sands, un prigioniero nel carcere di Long Kesh, è morto oggi alle 1,17 del mattino. Si è tolto la vita rifiutando cibo e cure mediche per sessantasei giorni”. All’alba del 5 maggio 1981 un breve comunicato del governo britannico annunciava al mondo che il destino del leader dei ribelli irlandesi si era compiuto. Bobby Sands aveva iniziato uno sciopero della fame per rivendicare lo status di prigioniero politico che gli era stato negato da Londra, e per affermare il suo desiderio di libertà si era lasciato morire a soli 27 anni. Prima che le piazze di tutto il mondo si riempissero per commemorarlo, prima che oltre centomila persone formassero il più gigantesco corteo funebre mai visto nei quartieri cattolico-nazionalisti di Belfast, quel corpo scarnificato, disidratato e coperto di piaghe era già diventato un’icona della lotta di liberazione irlandese.
Nato in un sobborgo di Belfast nel 1954 e cresciuto in un quartiere a maggioranza protestante, Bobby Sands aveva vissuto fin da bambino la discriminazione quotidiana cui era sottoposta la comunità cattolica del nord Irlanda. Era entrato nell’I.R.A. a 17 anni, ritenendolo l’unico modo per difendere la sua gente e combattere l’occupazione britannica, e aveva trascorso gran parte della sua giovinezza in carcere. Nel 1972 fu arrestato per la prima volta e condannato al carcere per possesso di armi da fuoco. Al suo rilascio, nel 1976, divenne un organizzatore instancabile di iniziative per migliorare le condizioni di vita della sua comunità ma appena un anno dopo venne nuovamente arrestato al termine di una sparatoria con l’esercito britannico. Stavolta fu condannato a quattordici anni di prigione da scontare nel famigerato carcere di massima sicurezza di Long Kesh, alle porte di Belfast. Nel frattempo la radicalizzazione dello scontro aveva portato il governo britannico ad abolire lo status di prigioniero politico e a equiparare quelli come lui ai criminali comuni. Ai detenuti irlandesi furono negate le cosiddette five demands (il diritto di non indossare l’uniforme carceraria ed essere esentati dai lavori in carcere, il diritto di associarsi con altri detenuti e organizzare attività ricreative, il diritto alla riduzione della pena e quello di ricevere una visita e una lettera alla settimana) e la decisione innescò una lotta carceraria destinata a durare quattro anni. I prigionieri decisero di rifiutare l’uniforme del carcere e restarono in cella nudi e avvolti soltanto da una coperta, poi smisero di andare a lavarsi per sfuggire ai pestaggi dei secondini. Infine, quando le guardie murarono le finestre delle celle e smisero di vuotare i loro vasi da notte, iniziarono a cospargere i muri delle celle di escrementi. È in quegli anni che Bobby Sands trasforma la desolazione dei bracci di Long Kesh in un campo di battaglia iniziando a scrivere articoli, poesie e memorie su minuscoli pezzi di carta igienica che escono di nascosto dal carcere e vengono pubblicati sul giornale repubblicano An Phoblacht-Republican News. Nell’ottobre 1980 sette detenuti iniziano uno sciopero della fame che viene interrotto alla fine dell’anno – senza provocare vittime -, quando il governo britannico promette di cambiare il regime carcerario. Ma le richieste cadono nel vuoto. Il primo marzo 1981 Sands in persona dà il via a un nuovo sciopero, stabilendo che i suoi compagni si sarebbero uniti al digiuno a intervalli regolari per dare la massima visibilità a una protesta che stavolta si sarebbe conclusa con la vittoria o con la morte. Il suo sacrificio e quello degli altri nove prigionieri che morirono dopo di lui fu uno spartiacque del conflitto, in seguito al quale i repubblicani irlandesi cominciarono ad abbandonare la strategia della lotta armata. La svolta avvenne il 9 aprile, quando un morente Bobby Sands – giunto ormai alla sesta settimana di rifiuto totale del cibo – fu eletto al Parlamento britannico raccogliendo oltre 30mila voti. Nonostante una gigantesca mobilitazione internazionale, non ebbe mai la possibilità di recarsi a Westminster perché morì appena 26 giorni dopo, ma la comunità nazionalista dei ghetti del nord Irlanda si identificò con la sua battaglia e comprese che il futuro risiedeva nell’urna, più che nelle armi.
Riccardo Michelucci

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