L’ultimo episodio verificato risale al 3 maggio scorso quando, in piena notte, un uomo a volto coperto ha lanciato bottiglie molotov contro il centro di reclutamento dell’esercito della città di Nizhnevartovsk, in Siberia. Qualche giorno prima era accaduto lo stesso anche al commissariato militare di Zubova Polyana, a circa 400 chilometri a sud di Mosca. Il rogo ha distrutto i computer dell’archivio e ha cancellato i database con l’elenco dei coscritti, costringendo le autorità a interrompere gli arruolamenti in diversi distretti della Federazione. A marzo si erano verificati almeno altri quattro episodi di sabotaggio, con incendi dolosi ai centri di reclutamento russi. Ordigni incendiari rudimentali hanno colpito le caserme di Berezovskij, non lontano da Ekaterinburg, e di Suja, nella regione di Ivanovo, dove sui muri della città sono comparse anche alcune scritte contro la guerra. A Voronezh è stato rovesciato liquido infiammabile sulla porta d’ingresso del distretto militare. Un giovane di 21 anni, arrestato per aver dato fuoco all’ufficio di arruolamento di Lukhovitsy, nella regione di Mosca, ha motivato il suo gesto con la volontà di bloccare la mobilitazione in Ucraina. Il Conflict Intelligence Team (CIT), un gruppo indipendente di giornalisti investigativi russi, ritiene che si tratti soltanto dei casi più eclatanti tra quelli documentati. Atti di protesta disperati sfociati in rabbia e violenza. Ma anche il termometro del malessere sempre più diffuso tra la popolazione russa, che trova un riscontro persino all’interno delle stesse forze armate della Federazione. Dalla prima metà di aprile – secondo le stime del CIT – dal 20 al 40 percento dei soldati che avevano preso parte alle operazioni militari a Kiev, a Chernihiv e a Sumy hanno cercato di disertare rifiutandosi di continuare la guerra. L’avvocato Pavel Chikov, che dirige l’Ong russa per i diritti umani Agora e da anni si batte contro gli abusi delle forze dell’ordine, ha riferito al media indipendente Mediazona che gli uffici della sua associazione sono subissati dalle richieste di assistenza legale dei “refusenik” dell’esercito e della Rosgvardiya, la Guardia Nazionale creata da Putin nel 2016. Da Pskov a Vladivostok, da San Pietroburgo a Sinferopoli, da Kazan a Mosca: sono già centinaia i soldati che si sono rifiutati apertamente di partecipare alla guerra in Ucraina e il loro numero cresce di giorno in giorno. Raccontare le diserzioni all’interno delle truppe russe resta assai difficile. Le dimensioni del fenomeno emergono dall’incessante lavoro degli avvocati, delle organizzazioni per i diritti umani e dei giornalisti investigativi che sono spesso costretti ad andarsene dalla Russia per motivi di sicurezza.
Il movimento degli obiettori di coscienza russi ha raccolto ogni singolo episodio avvenuto fino ad oggi in un rapporto dettagliato che dà voce a quel pezzo sempre più consistente dell’esercito di Mosca che non vuole la guerra. Un documento dal titolo assai esplicito – “I russi si rifiutano di combattere in Ucraina” -, che elenca centinaia di casi di disertori dell’esercito e della Guardia Nazionale, le minacce e le intimidazioni che hanno subito, oltre alle testimonianze dei coraggiosi avvocati che li assistono. “In un primo momento il Ministero della Difesa di Mosca sosteneva che a combattere in Ucraina fossero soltanto i soldati professionisti ma poi ha dovuto ammettere l’impiego dei coscritti, giovani tra i 18 e i 27 anni obbligati ad arruolarsi con la minaccia di multe pesanti o di pene detentive fino a due anni. A molti di loro non è stato detto chiaramente che sarebbero finiti al fronte”, spiega Elena Popova, coordinatrice del movimento degli obiettori. Il 25 febbraio, il giorno dopo l’inizio della guerra, alcuni uomini dell’unità Omon della Guardia Nazionale impegnati in un’esercitazione militare in Crimea si sono rifiutati di attraversare il confine con l’Ucraina e di partecipare all’invasione del Paese. Sono stati immediatamente cacciati dall’esercito e il loro caso è uno dei tanti che riempiono le scrivanie dei legali dell’associazione Agora. Ma da quando la loro storia è stata resa pubblica – si legge sempre nel rapporto – i militari della Guardia Nazionale che si sono rifiutati di partecipare alla guerra sono già diventati oltre un migliaio.
Ai mezzi d’informazione russi è vietato pubblicare notizie di tali rifiuti e i giornalisti che lo fanno rischiano procedimenti penali per aver diffuso “false notizie” sulle forze armate. Il 15 aprile scorso Mikhail Afanasyev, caporedattore del Novy Focus, è stato arrestato proprio perché aveva raccontato gli episodi di diserzione registrati all’interno della Guardia Nazionale. Per aggirare la censura e continuare a raccogliere informazioni sensibili molte organizzazioni per i diritti umani e organi di stampa indipendenti hanno quindi dovuto lasciare il Paese. Da un paio di mesi il Conflict Intelligence Team si è spostato a Tbilisi, in Georgia, mentre il giornale online Meduza ha sede in Lettonia e si appoggia a un server dell’Oceano Indiano. Erano stati proprio i giornalisti di Meduza a dar voce per primi ad Albert Sakhibgareyev, il soldato 25enne che ha disertato dopo aver compreso che le esercitazioni nelle quali era impegnato nell’area di Belgorod, nei pressi del confine ucraino, servivano in realtà a preparare l’invasione. “Nessuno ci ha avvertito dell’attacco, non eravamo affatto preparati a quanto stava accadendo”, ha detto, spiegando che la sua brigata non ha attraversato il confine con perché molti suoi commilitoni hanno disatteso gli ordini. Scorrendo l’elenco compilato dagli obiettori si apprende che anche molti militari a contratto nelle regioni di Kaliningrad, di Chelyabinsk e di Pskov hanno fatto la stessa cosa, rifiutandosi di essere trasferiti nelle zone di guerra. La 136a Brigata di fanti motorizzati che operava nell’oblast di Zaporizhzhya, in Ucraina, avrebbe addirittura disertato abbandonando l’equipaggiamento sul campo. I casi risultano cresciuti in modo esponenziale col trascorrere delle settimane di guerra. Molti si sono ribellati perché sono stati costretti a combattere con l’inganno. Altri invece perché non condividevano affatto l’attacco in Ucraina e hanno per questo subito minacce, intimidazioni e procedimenti disciplinari fino al licenziamento. Persino schedature, com’è accaduto a un soldato che si è visto applicare sul libretto di servizio un timbro con la scritta “Incline al tradimento, alle bugie e all’inganno”. L’avvocato Maxim Grebenyuk, ex procuratore militare e fondatore del progetto Military Ombudsman, segue personalmente un centinaio di soldati allontanati dalle forze armate negli ultimi due mesi. Citato dal rapporto degli obiettori di coscienza, spiega che dall’inizio della guerra non è stato ancora avviato alcun procedimento penale a loro carico per timore che la notizia finisca sulla stampa fomentando la ribellione tra i militari e creando un danno di immagine all’esercito. E anche perché la Russia non ha dichiarato formalmente guerra all’Ucraina e quindi non esistono ordini ufficiali che impongano ai militari di partecipare a operazioni sul territorio di un altro Stato.