A lungo la macchina della propaganda del governo cinese era riuscita a nascondere agli occhi del mondo una delle più terrificanti carestie dell’epoca moderna. Tra il 1958 e il 1962 le folli politiche economiche imposte da Mao con il cosiddetto “Grande balzo avanti” avevano fatto morire milioni di persone ma grazie all’alibi della Guerra Fredda, le denunce sollevate in Occidente erano state sminuite e definite una montatura della CIA. Il regime cinese ha continuato fino ai giorni nostri a sostenere che le cause dell’elevata mortalità di quegli anni erano da ricondurre alle cattive condizioni climatiche e ai gravi problemi logistici di alcune aree del paese. Le regole rigidissime dell’ortodossia comunista impedivano di ammettere che il gigantesco piano economico e sociale ideato da Mao per far entrare la Cina tra le principali potenze industriali aveva fatto morire di stenti circa 40 milioni di cinesi.
Mentre le dimensioni bibliche di quella tragedia sono state calcolate con numeri attendibili da un recente studio dello storico olandese Frank Dikötter, la conferma sulle sue cause è arrivata da una dettagliatissima opera redatta da un giornalista cinese, Yang Jisheng. Uscito originariamente soltanto a Hong Kong, il suo ponderoso volume Tombstone: The Great Chinese Famine 1958-1962 è stato pubblicato adesso per la prima volta anche in inglese dalla casa editrice Farrar, Straus and Giroux. Il libro contiene centinaia di testimonianze e resoconti sui villaggi cosparsi di cadaveri, gli innumerevoli casi di cannibalismo e la violenza disumana che si diffuse nel paese in quegli anni. Jisheng ha lavorato a lungo all’agenzia di stampa Xinhua (Nuova Cina) – il principale organo d’informazione governativo del paese – e ha utilizzato la sua posizione privilegiata per avere accesso ai documenti riservati degli archivi di stato, per intervistare i sopravvissuti e i demografi, riuscendo a portare a termine un monumentale progetto di ricerca senza dare troppo nell’occhio. E pensare che in passato anche lui aveva creduto a lungo alla versione ufficiale del partito. Solo dopo i fatti di piazza Tien An Men, divenuto ormai un veterano del giornalismo cinese, cominciò a porsi delle domande. Il sangue degli studenti lo aiutò ad aprire gli occhi di fronte alle menzogne del partito e gli fece tornare in mente quanto accadde a suo padre, morto a causa di quella carestia nel 1959. All’epoca lui era solo un diciottenne idealista come tanti, già inquadrato nella lega giovanile del partito, e pur nel dolore di quella perdita non si era sognato di biasimare un governo che riteneva impegnato nel grandioso avvento del comunismo in Cina. Il piano lanciato da Mao si proponeva di mobilitare tutta la popolazione per riformare rapidamente il paese, trasformando il sistema economico rurale – incentrato fino ad allora sull’agricoltura – in una società comunista industrializzata basata sulla collettivizzazione. I seguaci del “Grande balzo avanti” teorizzavano che le derrate alimentari sarebbero state raddoppiate, addirittura triplicate, in pochi anni e che la produzione di acciaio avrebbe presto superato quella dei più moderni paesi occidentali. Invece fu la fine. Yang Jisheng racconta nel dettaglio la storia di intere famiglie che per non morire di fame si cibavano della corteccia degli alberi, di erbacce e di escrementi degli uccelli. Descrive i cadaveri scuoiati dai disperati cui non restava altra scelta che cibarsi dei loro resti. Salvarsi era quasi impossibile, anche perché la fuga era considerata un reato grave contro il partito e un tradimento nei confronti del Grande Timoniere. Le ricerche di Jisheng sono durate quasi due decenni, e hanno visto l’autore avvalersi della preziosa collaborazione di tanti studiosi e funzionari del partito, anch’essi intenzionati a far emergere la verità su quei tragici anni. Il risultato, contenuto nelle oltre seicento pagine di questa edizione inglese opportunamente annotata, evoca orrore ma anche speranza. Poiché se è vero che tuttora i programmi scolastici evitano di menzionare la carestia e molti giovani sono ancora convinti che sia stata un’invenzione dell’Occidente, in questo libro sono gli stessi cinesi a spezzare per la prima volta il muro dell’ipocrisia e dell’omertà. Riconoscere le vere cause della grande carestia del 1958-1962 significa rivedere il giudizio ufficiale sulle politiche di Mao, sminuendo la posizione d’onore che il governo di Pechino continua a tributare al padre spirituale della Cina moderna. Seppur censurata, l’opera rappresenta dunque un primo serio tentativo di fare i conti con il tragico passato del paese. Ed è buon segno che Jisheng, nonostante il risalto ottenuto dal suo lavoro, continui a vivere a Pechino dove cura la pubblicazione di un periodico riformista.
RM