Mosca ha vinto la guerra in Cecenia

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Dopo dieci anni di guerra che hanno causato oltre 50.000 morti, Mosca ha deciso di revocare il regime di alta sicurezza antiterrorismo in vigore in Cecenia dal 1999. Una decisione storica, che segna la fine di un conflitto iniziato nel 1994 e costato due guerre, decine di migliaia di vittime e profughi, una lunga stagione di abusi e una striscia di attentati clamorosi, come quello del teatro Dubrovka e della scuola di Beslan. Mosca può ora vantarsi di aver raggiunto il suo obiettivo di normalizzare la situazione, anche se l’emergenza terrorismo sta riesplodendo nelle confinanti repubbliche caucasiche del Daghestan e dell’Inguscezia. Ma il vero vincitore alla fine appare il 33enne presidente ceceno Ramzan Kadyrov, l’ex guerrigliero indipendentista filo islamico imposto dall’allora presidente Vladimir Putin come uomo forte del Paese per garantire la stabilizzazione, sulla base di un patto che prevede lealtà in cambio di una ampia autonomia di gestione. La democrazia è rimasta un optional. Non è un caso che Kadyrov sia stato il primo a felicitarsi per una decisione che certifica come la Cecenia sia diventata un Paese pacifico, invitando gli imprenditori ad investire e i giornalisti a girare liberamente. Era stato il presidente russo, Dmitri Medvedev, il 27 marzo scorso, a disporre la revoca del regime speciale antiterrorismo in Cecenia, che comporterà il ritiro di circa 20 mila soldati russi, anche se ne resteranno 30 mila dislocati su base permanente. L’annuncio è stato dato ufficialmente oggi dal capo del comitato nazionale antiterroristico, Aleksandr Bortnikov, che è anche il direttore dei servizi segreti russi (Fsb). Con questa mossa, Medvedev volta una pagina che aveva danneggiato l’immagine della Russia e rafforza la propria immagine di leader nuovo e pragmatico, sulla scia delle ultime aperture in tema di democrazia, opposizione, ong, giustizia. Un’immagine che gli consentirà di rilanciare meglio le relazioni con gli Usa, in vista del primo summit con il presidente americano Barack Obama in luglio a Mosca. Non saranno comunque dimenticate presto le due guerre contro Grozny, costate circa 100 mila morti ceceni (il 10% della popolazione) e diverse migliaia di vittime russe. Il primo conflitto contro l’indipendenza cecena, proclamata nel 2001 dal presidente Giohkar Dudaiev, fu scatenato nel 2004 dall’allora presidente Boris Ieltsin e si concluse nel 1996 con un accordo che lasciò a tale repubblica una indipendenza di fatto. Ma dopo una ondata di attentati in Russia attribuiti al movimento indipendentista, e un attacco contro la repubblica del Daghestan, nel 1999 l’allora premier Vladimir Putin lanciò un’ operazione antiterrorismo che contribuì alla sua popolarità ma che suscitò nel mondo intero una nuova indignazione: la seconda guerra russo-cecena diventò teatro di sequestri, torture, arresti arbitrari, massacri. Abusi denunciati con forza da Anna Politkovskaia, la giornalista di Novaia Gazeta uccisa a Mosca nel 2006, e per i quali Mosca è stata ripetutamente condannata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Se i combattimenti su larga scala si sono conclusi nel 2002, e nel 2003 la Cecenia ha visto trionfare i sì al referendum sulla sua appartenenza “inalienabile” alla Russia, la guerriglia cecena ha continuato la sua battaglia con una serie di attentati spettacolari: come la presa di ostaggi al teatro Duvrovka di Mosca (130 morti nel 2003) e alla scuola di Beslan, in Ossezia del nord (334 morti nel 2005). Tutti i principali capi guerriglieri, tuttavia, sono stati eliminati, alcuni in circostanze ancor oggi poco chiare: da Dudaiev, ucciso da un missile teleguidato ‘mirato’ contro il suo telefono cellulare, ad Askal Maskhadov, da Samil Basaiev fino a Sulim Iamadaiev, freddato a fine marzo a Dubai. Forse la fine del regime antiterrorismo è legato anche a questa morte: Iamadaiev era rimasto l’ultimo nemico irriducibile di Kadyrov.

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