(di Giovanni Maria Bellu, L’Unità)
La notizia è stata data il 21 marzo, a Milano, davanti a 150mila persone da un giovane uomo argentino, Manuel Goncalves: «In questa piazza potrebbe esserci qualcuno come me, qualcuno che potrebbe essere figlio di desaparecidos». In molti la intesero come una metafora, come un voler ricordare che i trentamila uomini e donne assassinati negli anni della dittatura militare argentina erano gente normale, per la maggior parte giovani che facevano politica alla luce del sole, proprio come quelli che affollavano la piazza per la manifestazione contro le mafie. Invece quella frase andava interpretata letteralmente. Manuel Gonzalves sapeva già quello che oggi l’Unità racconta: in Italia vivono dei giovani uomini e delle giovani donne nati in Argentina tra il 1976 e il 1982 che, dopo l’assassinio dei loro genitori, furono dati in adozione e che sono cresciuti senza sapere nulla. Quanti sono? Non esiste ancora una stima precisa. Ma di certo sono tre i casi attualmente all’esame della Commissione nazionale argentina per il diritto all’identità, l’organismo governativo (dipende dal Ministero della Giustizia) nato per sostenere la battaglia de las abuelas, le nonne, di Plaza de Majo. Las abuelas sono famose in tutto il mondo. Sono anche state candidate al Nobel per la pace. Anche se, come spesso accade nel campo della tutela dei diritti umani, questa fama planetaria è arrivata dopo anni di solitudine. La tragedia dei desaparecidos è ben nota in Italia. Non solo perché tra essi c’erano anche molti cittadini italiani (come in qualunque vicenda dell’Argentina visto che oltre un terzo della popolazione è formata dai figli di nostri emigrati), ma anche perché da noi si sono svolti e sono in corso processi contro membri della giunta militare responsabili della scomparsa di argentini con la nostra cittadinanza. Inoltre la tragedia dei desaparecidos ci è stata molto raccontata. Ne ha parlato in tanti libri uno scrittore come Massimo Carlotto, nei suoi film il regista Franco Bechis. Insomma, l’Italia è piena di Argentina come l’Argentina è piena d’Italia. Ma non sapevamo ancora che tra noi ci sono figli delle vittime della dittatura. E che, dunque, ci sono genitori apropriadores. Sono queste due parole così stridenti hijos (figli) e apropriadores i due poli opposti della tragedia ancora in atto e della battaglia avviata tanti anni fa dalle nonne di Plaza de Majo. A volte accadeva che i bambini, quando erano piccolissimi (ma qualcuno di loro era abbastanza grande da aver potuto conservare la memoria dei fatti) fossero strappati dalle braccia dei genitori che poi venivano uccisi. Altre volte nascevano nei centri di detenzione da madri che erano state arrestate quando erano incinte e che venivano assassinate dopo il parto. In alcuni casi i “genitori adottivi” conoscevano la provenienza di quella piccola merce umana. In altri casi si trattava di coppie normali, che avevano fatto una normale domanda di adozione, alle quali veniva raccontata qualche bugia, per esempio che i genitori di quel bambino erano morti in un incidente stradale. C’è una grande varietà di casi e di storie. Basti dire che, secondo le stime, i bambini rubati sono stati 500 e che fino a ora ne sono stati ritrovati 101 come ha annunciato la presidente dell’associazione, Estela Carlotto, poco più di un mese fa a Roma. Ne restano dunque 400. E alcuni di loro sono con noi, nelle nostre strade, nelle nostre città. Le nonne ne sono così certe che un anno fa – col sostegno dell’ambasciata argentina – hanno creato in Italia un nodo della loro rete, la «Rete per il diritto all’identità», hanno realizzato uno spot in tv e distribuito un volantino con poche parole terribili: «Sei un giovane nato in Argentina e hai dubbi sulla tua identità? Pensi che potresti non essere figlio biologico dei tuoi genitori? Cosa puoi fare se senti dei dubbi?». Da allora è passato poco più di un anno. E ad avere dubbi sono stati molti. Le tre istruttorie in corso riguardano solo le segnalazioni più circostanziate, quelle che sono state immediatamente trasferite a Buenos Aires. Ma altre segnalazioni sono giunte in Argentina direttamente dall’Italia. In tutto le pratiche aperte sono una decina. «Il dubbio – conferma Rosa Maria Cusmai, psicologa che lavora per lo sportello italiano della “Rete per l’identità” – è venuto a molti. Non possiamo naturalmente dire nulla che possa consentire di identificarli. Ma in generale si tratta di persone arrivate in Italia quando erano molto piccole. Non hanno avuto informazioni precise sulla loro vita in Argentina, hanno avuto la percezione di cose nascoste attorno al loro passato. Silenzi…» Sono percorsi dolorosissimi e diversi tra loro. Le storie di quanti in Argentina sono stati colpiti dal dubbio va dalla vicenda dei figli adottivi di Ernestina Herrera De Noble, una delle donne più ricche del paese, proprietaria, tra l’altro, del quotidiano Clarin, alla vicenda di Victoria Donda. I due figli di Ernestina Herrera si sono opposti all’esame del Dna, si tappano le orecchie davanti a las abuelas che dicono, col sostegno di molti documenti, che sono figli di desaparecidos. Anche Victoria Donda, quando nel 2003 le nonne di Plaza de Majo le raccontarono la sua vera storia, inizialmente non volle sentire. Temeva di non reggere al dolore della verità. Poi avviò il percorso. Seppe d’essere stata strappata alla madre che, dopo il parto, era stata uccisa in uno dei voli della morte. Decise di diventare testimone della sua esperienza. Oggi è il più giovane deputato del Parlamento di Buenos Aires. Lo sportello italiano della “Rete per l’identità”, come racconta Jorge Ithurburu, il suo coordinatore, è diventato il punto di riferimento per quanti hanno avuto dei dubbi non solo sulla propria personale identità, ma anche su quella di familiari e parenti argentini. Un caso nuovo di genitori apropriadores è stato scoperto così. Un argentino residente in Piemonte si è ricordato di un suo zio, un militare, che verso la fine degli anni Settanta aveva annunciato che la sua famiglia si era allargata. Era arrivato un bambino. Una bambina, però, totalmente diversa dai fratelli e dalle sorelle. Un bambino biondo in una famiglia di bruni. La denuncia è stata girata a Buenos Aires. Sono state avviate delle ricerche e sono stati trovati forti riscontri. Presto l’esame del Dna darà una risposta definitiva.
(da “L’Unità”, 20 maggio 2010)