L’avvio del nuovo anno è propizio per rispondere ad alcune critiche che ha ricevuto il mio libro “Storia del conflitto anglo-irlandese”, che in più occasioni è stato definito “un libro di parte”. La pensano in questo modo, ad esempio, Giuseppe Gagliano dalle pagine del suo blog di recensioni librarie e un lettore dal forum “Irlandando”. Credo che siano critiche comprensibili e sostanzialmente corrette, anche se nascono da un equivoco di fondo. Il libro voleva proprio essere ‘una lettura di parte’ e nella sua stesura non ho mai cercato l’equidistanza. Ciò che mi proponevo di ricostruire non era tanto la storia del conflitto nella sua organicità: intendevo piuttosto delinearne le cause e le implicazioni, soprattutto quelle di carattere culturale. Voleva essere, questo sì, un “libro nero” della lunghissima esperienza del colonialismo inglese in Irlanda. Per questo motivo non mi sono soffermato sulla genesi del movimento repubblicano, su alcune figure chiave del nazionalismo irlandese, e neanche sulle operazioni compiute dall’I.R.A. nel corso degli anni. Atti, questi ultimi, che in alcuni casi ritengo siano stati del tutto ingiustificabili, ma che in molti altri si configurano invece come atti di guerra contro un esercito occupante, e come tali rientrano in un percorso di strenua resistenza contro un potente invasore. Ho insomma cercato, nel mio piccolo, di ribaltare la tesi da sempre portata avanti dalla propaganda britannica, che ha cercato in tutti i modi di descrivere l’I.R.A. come la causa del conflitto – invece che la sua diretta conseguenza – e ha cercato di trasformare un’insurrezione anticoloniale in una sorta di cospirazione criminale. Mi pareva opportuno risalire alle lontane origini di un conflitto che ha conosciuto la sua ultima fase nel nord dell’Irlanda tra il 1969 e il 1998 (periodo durante il quale sono stati contati quasi 4000 morti, decine di migliaia di feriti e sfollati, la distruzione di famiglie e città nel cuore dell’Europa occidentale). Ma che rappresenta soltanto l’estrema punta dell’iceberg di una storia di oppressione e sterminio lunga otto secoli, che ancora oggi fa sentire le sue tragiche conseguenze, attraverso una pace priva di un’effettiva riconciliazione. Ancora oggi l’entità geopolitica artificiale che si chiama “Irlanda del nord”, disegnata col righello ormai quasi 90 anni fa per creare una maggioranza protestante all’interno di un paese a stragrande maggioranza cattolica, rappresenta un’anomalia europea, un bubbone che non potrà essere rimosso fino a quando l’isola non sarà finalmente riunificata. Ci tengo infine a chiarire l’equivoco dal quale sono nate le critiche e che deriva anzitutto dal titolo del libro. Nelle fasi che hanno preceduto l’uscita del volume, ho cercato a lungo di far capire all’editore Odoya – che si è coraggiosamente sobbarcato in toto l’onere della pubblicazione senza alcun aiuto o finanziamento esterno– che un titolo così generico avrebbe inevitabilmente suscitato delle critiche e avrebbe potuto addirittura lasciare perplesso un lettore che vi si fosse avvicinato alla ricerca di una lettura completa dell’intera vicenda. Non sono riuscito, ahimé, a convincerlo e adesso i fatti sembrano darmi ragione.
RM