Turchia, Grup Yorum di nuovo sotto processo e in sciopero della fame

di Gianni Sartori

La prima udienza del maxi processo contro una trentina di musicisti di Grup Yorum si è svolta il 14 febbraio. Al momento, alcuni sono in carcere, due latitanti e altri due in sciopero della fame ormai da oltre 240 giorni.

Su questa questione sgombriamo il campo dagli equivoci. Al solito, qualcuno farà confronti con lo sciopero della fame del 1981 costato al vita a dieci Repubblicani irlandesi. I sette militanti dell’IRA e i tre dell’INLA morirono mediamente dopo un paio di mesi di astensione dal cibo. Bisogna però precisare che l’incredibile durata di questi scioperi nelle prigioni turche (così come di quelli in cui persero la vita oltre un centinaio di militanti della sinistra rivoluzionaria turca ormai venti anni fa) è dovuta ad alcuni accorgimenti, come l’utilizzo preventivo di vitamine. In realtà quella che si prolunga è soprattutto l’agonia, la sofferenza per i militanti che comunque, anche in caso di eventuale sospensione, rischiano danni irreparabili, sia fisici che mentali.
Detto questo, diventa prioritario “agire prima che qualcuno di loro perda la vita” come sostengono da tempo varie organizzazioni. In particolare, l’Associazione del foro di Istanbul, un’Associazione di medici di Istanbul, l’Iniziativa degli artisti e l’Assemblea artistica che hanno pubblicato una dichiarazione congiunta, un appello rivolto alle autorità affinché si comportino in maniera responsabile nei confronti degli imputati. E in particolare di chi è in sciopero della fame (ora diventato digiuno fino alla morte) ormai da oltre 240 giorni per protestare contro le restrizioni (proibizione dei loro concerti per il carattere politico delle canzoni) e la continua repressione a cui i membri di Grup Yorum vengono sottoposti da anni. Prima del processo iniziato il 14 febbraio, per molti di loro la “detenzione provvisoria” era durata due anni.
La cantante Helin Bölek e il chitarrista Ibrahim Gökcek non si alimentano dal 16 maggio 2019 rivendicando il diritto alla libera espressione artistica. Trattati dal governo turco alla stregua di delinquenti, musicisti e cantanti sono stati arrestati per “appartenenza a una organizzazione terrorista”. Per la precisione, sono accusati di far parte del DHKC-P (Devrimci Halk Kurtuluş Partisi-Cephesi) o comunque di fare propaganda per questa organizzazione armata. Continua a leggere “Turchia, Grup Yorum di nuovo sotto processo e in sciopero della fame”

Una colata di cemento sui dissidenti turchi

(da “Diario” del 25 novembre 2004)

ISTANBUL – Davanti al ponte Atatürk lo stretto del Bosforo separa Europa e Asia disegnando i panorami più suggestivi della città. All’estremo nord dell’antica Costantinopoli sorge Armutlu, il quartiere più popolare che si affaccia sul Bosforo, destinato a subire a breve una massiccia speculazione edilizia. Fino alla metà degli anni Ottanta qui c’erano solo terre incolte e nelle vaste aree disabitate si insediarono centinaia di agricoltori e poveri provenienti dall’Anatolia. Una dopo l’altra nacquero le “Gecekondu”, le piccole casette in cemento erette abusivamente in una sola notte. Nel 1985 il quartiere di Armutlu è abitato da 4000 persone ma la polizia dello stato turco nata dal golpe del 12 settembre 1980 comincia a demolire le case e a imprigionare i disperati che le abitano. Scoppiano i primi disordini tra la polizia che organizza periodiche demolizioni e la gente che continua ad arrivare dalle regioni più povere del paese e a costruire case sempre più grandi. Nel 1990 arrivano 5000 soldati: distruggono le abitazioni, uccidono un uomo, ne feriscono e arrestano a decine. Gli anni Novanta vedono poi una progressiva politicizzazione del quartiere: il Dev-Sol, la sinistra rivoluzionaria turca inizia a sostenere la lotta della gente di Armutlu e l’area diventa in breve tempo una roccaforte dei marxisti-leninisti in lotta contro lo stato turco.
La popolazione raggiunge le 20.000 unità e nel 1996 nasce il parlamento del popolo, una forma di auto-organizzazione che regola la vita del quartiere rendendolo sempre più un mondo a parte rispetto al resto di Istanbul. La radicalizzazione della lotta raggiunge livelli drammatici quando gli attivisti del Dev-Sol – divenuto DHKP-C – iniziano a usare l’arma degli scioperi della fame fino alla morte. A decine si lasciano morire nelle carceri e lo stesso fanno i loro familiari nel quartiere di Armutlu. Protestano contro le torture cui sono sottoposti i carcerati nelle celle di isolamento e interpretano il marxismo-leninismo quasi come una religione prolungando la loro agonia per centinaia di giorni. Il governo di Ankara sceglie la linea dura e il 5 novembre 2001 scatena l’esercito contro il quartiere: ruspe e bulldozer distruggono decine di case, i familiari e i sostenitori del DHKP-C vengono arrestati. Alla fine dell’operazione si contano 4 morti e decine di feriti.
Novembre 2004. tra poco più di un mese la Commissione europea esprimerà il suo parere finale sull’ingresso della Turchia nell’Unione. Nel quartiere di Armutlu, a Istanbul, vivono adesso circa 100.000 persone. Le loro case sono quelle di vent’anni fa: abusive, semipericolanti, prive di acqua calda e di fognature. In ogni salotto le foto dei familiari morti nella lotta accanto ai simboli del partito e ai ritratti di Marx e Lenin. Nella piazza principale due carri cingolati della polizia sono pronti a entrare in azione in qualunque momento del giorno e della notte ma da 3 anni nel quartiere non si registrano disordini. Un silenzio che testimonia il cambiamento di strategia da parte di Ankara: la Technokent, divisione tecnologica della Middle East University in cui operano un centinaio di imprese civili e militari turche ha redatto un piano per fare di Armutlu un quartiere moderno con alberghi, casinò e attrazioni turistiche. Prima però bisogna cacciare gli abitanti e radere al suolo le case, i negozi e i capannoni. In un colpo solo si sbaraglierebbe così la guerriglia marxista e si accontenterebbero gli speculatori privati. “Ci hanno detto di andarcene, di tornare nei nostri villaggi dell’Anatolia – spiega Mehmet, uno degli attivisti del quartiere – ma noi resisteremo perché qui sono le nostre case”. La gente di Armutlu è convinta che la sua sorte sarà decisa nei prossimi mesi, quando sapremo se la Turchia potrà entrare a far parte dell’Unione europea.
Riccardo Michelucci

Pamuk: la letteratura è tolleranza

(Intervista al premio Nobel turco uscita anche su “Avvenire” di oggi)

“Non ho mai detto di essere un ponte tra Oriente e Occidente. Questo è un luogo comune cui vengo comunemente associato e che intendo sfatare. Io non sono un diplomatico: sono uno scrittore che scrive con rabbia e ira. Per me la letteratura non è un esercizio di diplomazia ma una forma di espressione”. Giunto a Firenze per ricevere la laurea honoris causa in studi letterari e culturali internazionali, Orhan Pamuk approfitta della prima tappa del suo viaggio in Italia per riaffermare con forza la sua identità di scrittore fuori dagli schemi, difficilmente catalogabile. “Certo se le persone che leggono i miei libri li interpretano come un messaggio di tolleranza e di confronto tra le culture sono contento, ma non è quello l’obiettivo dei miei romanzi. Io non voglio fare politica con le mie opere”. Continua a leggere “Pamuk: la letteratura è tolleranza”