(Intervista al premio Nobel turco uscita anche su “Avvenire” di oggi)
“Non ho mai detto di essere un ponte tra Oriente e Occidente. Questo è un luogo comune cui vengo comunemente associato e che intendo sfatare. Io non sono un diplomatico: sono uno scrittore che scrive con rabbia e ira. Per me la letteratura non è un esercizio di diplomazia ma una forma di espressione”. Giunto a Firenze per ricevere la laurea honoris causa in studi letterari e culturali internazionali, Orhan Pamuk approfitta della prima tappa del suo viaggio in Italia per riaffermare con forza la sua identità di scrittore fuori dagli schemi, difficilmente catalogabile. “Certo se le persone che leggono i miei libri li interpretano come un messaggio di tolleranza e di confronto tra le culture sono contento, ma non è quello l’obiettivo dei miei romanzi. Io non voglio fare politica con le mie opere”. Forse desideroso di scrollarsi di dosso le polemiche che negli anni scorsi gli sono costate anche un processo per vilipendio all’identità turca, nel suo intervento all’Ateneo fiorentino lo scrittore premio Nobel 2006 preferisce soffermarsi sulle sue qualità artistiche e letterarie. Lo fa prima di tutto regalando al pubblico un aneddoto inedito: “sono venuto a Firenze per la prima volta cinque anni fa da turista e mi sono messo in coda per visitare gli Uffizi. Mentre mia figlia saltellava impaziente, io ho approfittato della lunga attesa – circa un’ora e mezza – per rileggere alcuni brani di Jakob Burkhardt, il grande storico del XIX secolo cui dobbiamo la nostra attuale idea di Rinascimento. Ero sicuro che mi avrebbe aiutato a capire il significato dei dipinti che stavo per ammirare. In realtà conoscevo già bene le opere di Burkhardt, ma rileggerle in quell’occasione era un pretesto per saziare il mio bisogno di cultura occidentale, confrontandole con “l’assenza di Rinascimento” che è tipica degli intellettuali turchi degli anni ’50 e ‘60. Non poteva esserci posto migliore di Firenze per pensare e riflettere sull’arte e sulla cultura, avendo un’ulteriore conferma del fatto che esiste un’armonia tra le diverse culture”. Firenze è la prima tappa di un viaggio in Italia di alcune settimane che porterà Pamuk prima alla Fiera del libro di Torino, poi a Milano, infine a Venezia per la manifestazione “Incroci di civiltà” con Salman Rushdie, Javier Marías e Kiran Desai. In autunno Einaudi manderà poi in libreria l’attesissima edizione italiana di “Il museo dell’innocenza”, il primo romanzo scritto dopo scritto dopo il Nobel e la fine della vicenda giudiziaria che l’ha coinvolto in prima persona.
Pamuk, la sua carriera artistica è stata a lungo in bilico tra la pittura e la letteratura, com’è avvenuto infine il passaggio al mestiere di scrittore?
È stato un passaggio improvviso e repentino, avvenuto in un modo direi abbastanza misterioso anche per me. Ho spiegato le sue ragioni profonde tra le righe del mio libro “Istanbul”. Ma ancora cerco di riprendermi dagli effetti di questo passaggio, non a caso uno dei corsi che tengo alla Columbia university di New York si chiama “Figure e parole”, è un corso che riguarda il rapporto tra l’immagine, la pittura e la parola scritta, dai tempi di Platone e Aristotele. Comunque mi sono sempre sentito un artista e uno scrittore allo stesso tempo. In secondo luogo poi, anche un docente.
Qual è il corretto rapporto tra un artista e il potere politico?
Non deve esserci alcun rapporto diretto. L’artista è anche un cittadino, e come tale ha un’etica che può portarlo a voler riformare il mondo, ma lo fa come cittadino. Di certo però un intellettuale di fama ha anche una certa influenza, basti pensare a quanto accadde per esempio con Emile Zola per l’affare Dreyfus. Io credo di appartenere a questa seconda categoria.
Lei ha sempre detto di essere stato influenzato nelle sue opere dalla lettura di molti autori italiani, dai classici ai contemporanei, due nomi su tutti: Dante e Oriana Fallaci. Ma come avrebbe fatto ad andare d’accordo con quest’ultima uno come lei che ha sempre detto di non credere allo scontro di civiltà?
Di Dante ho fatto una parodia della “Divina Commedia” nel mio romanzo “Il libro nero”, quanto a Oriana Fallaci, l’ho ammirata molto nei suoi anni giovanili, ma com’è purtroppo accaduto a tanti scrittori, nel corso delle vecchiaia è diventata una specie di imitazione di sé stessa. Era diventata semplicemente incapace di distinguere gli esseri umani dalla sua idea di Islam.
Può un paese che brucia i libri entrare in Europa?
È un tema di cui ha parlato anche il famoso poeta tedesco Heinrich Heine, ovviamente con riferimento al suo paese. Disse: ‘prima si comincia col bruciare i libri, poi si bruciano gli esseri umani’. La Germania ha avuto un personaggio come Heine e adesso è uno dei pilastri dell’Unione europea: ciò dimostra quindi che è possibile.
A proposito di Unione europea: e la Turchia?
Non voglio appartenere all’Ue per imitare l’Europa; lo vorrei perché così ci sarebbe una società turca più aperta, con più democrazia, una Turchia più ricca.
Riccardo Michelucci