L’ultimo sopravvissuto dei comandanti dell’insurrezione del ghetto di Varsavia nel 1943 è morto qualche giorno fa all’età di 90 anni. Marek Edelman aveva consacrato la maggior parte della sua vita a preservare la memoria degli eroi caduti nella rivolta contro i nazisti, la cui repressione costò oltre 55mila uccisi o deportati nei lager. Dopo il suicidio del capo dell’insurrezione, fu lui in persona a guidare la rivolta negli ultimi giorni prima del suo sanguinoso epilogo. Con poche pistole, qualche granata e una decina di fucili tennero testa per cinque settimane alla Wehrmacht, il più potente esercito del mondo. Furono il primo esempio di resistenza armata ai nazisti in Europa. Ogni anno, quando nel mese d’aprile cadeva l’anniversario dell’insurrezione, Edelman deponeva fiori al monumento che a Varsavia ricordava quelle vittime. Per decenni ha partecipato anche alla lotta contro il comunismo in Polonia, fu decorato per il suo eroismo con le massime onorificenze civili in Francia e in Polonia, come la Legione d’Onore e l’Ordine dell’Aquila Bianca. In una delle sue ultime interviste, Edelman ribadì l’importanza di ricordare la tragedia dell’Olocausto e i giovani eroi della rivolta del ghetto di Varsavia: “Ricordiamoli tutti – disse – ragazzi e ragazze, 220 in tutto, non troppi per ricordare i loro volti e i loro nomi”. “L’uomo è cattivo, è bestiale di natura”, aggiunse, “per questo le persone devono essere educate fin dall’infanzia che non ci deve essere odio. Ma se non si può difendere la libertà con mezzi pacifici, allora bisogna imbracciare le armi per combattere il nazismo, la dittatura e lo sciovinismo”.