Avvenire, 30 gennaio 2022
Un viaggio a ritroso alla riscoperta delle proprie radici, una vicenda privata che diventa anche un grande affresco della storia dell’est europeo. Con in Il quaderno scomparso a Vinkovci (ed. Keller, traduzione di Estera Miočić, pp. 296, €18) lo scrittore serbo Dragan Velikić ci regala il suo romanzo forse più personale, che prende avvio dalla ricostruzione della figura della madre e dei suoi taccuini per collegare luoghi, fatti e persone, scavando negli eventi rimossi della sua memoria per creare ponti tra il passato e il presente.
Autore pluripremiato di una decina di romanzi tradotti in molte lingue, Velikić torna in questo libro ai giorni della sua infanzia fino a trasformare il suo piccolo universo familiare nello specchio della storia dell’Istria e dei Balcani. A partire da quella notte di novembre del 1958 in cui, all’epoca bambino di appena cinque anni, viaggiò con la sua famiglia da Belgrado a Pola, la città in cui sarebbe cresciuto. Alla stazione di Vinkovci qualcuno rubò il loro bagaglio e, con esso, il quaderno in cui sua madre annotava ogni singolo dettaglio dei viaggi al seguito del padre, giovane tenente della marina militare jugoslava, compresi i nomi degli alberghi: il Palace a Ohrid, il Bonavia a Rijeka, il Bellevue a Spalato, l’Europa a Sarajevo e tanti altri ancora. Per sua madre – donna umbratile, dal carattere complesso e tormentato – fu come la perdita improvvisa e dolorosa di una bussola esistenziale. Ma proprio quel remoto evento privato diventa il fulcro narrativo attorno al quale ruota l’intero romanzo. Con un perfetto senso dei dettagli, Velikić si immerge nei ricordi attraverso foto, nomi di strade, di luoghi e di persone sopravvissute alle guerre che hanno insanguinato il XX secolo orchestrando un mosaico di voci e di storie familiari – tra cui quella dello zio partigiano ucciso dai suoi stessi compagni – che gli consentono di unire realtà storica e memoria personale. Attraverso le vite ordinarie o straordinarie delle persone che ha incontrato e che hanno lasciato un segno nella sua mente, ripercorre con una narrazione a tratti poetica e ricca di aneddoti le tracce del passato di una regione, l’Istria, travolta dai tormenti del ‘900. Anche un piccolo dettaglio insignificante può essere sufficiente per spalancare la strada alla grande storia: dalla vicenda tragica della famiglia Hutterott a quella del signor Maleša, l’orologiaio di Tito che frequentò a lungo casa loro, fino al senso di libertà della dirimpettaia Lisetta: tutto è funzionale a dar forma a un paesaggio politico, sociale e geografico in continuo mutamento che culmina con l’implosione dell’ex Jugoslavia negli anni ‘90. E che gli consente anche di smentire le impietose parole pronunciate da sua madre, quando gli disse che “il vero scrittore non ha bisogno di inventare. Ma i veri scrittori sono pochi e tu finirai per inventare”. La perdita di quel quaderno in cui annotava i dettagli di viaggi e peregrinazioni la ossessionerà fino alla fine dei suoi giorni. Ricoverata in una casa di riposo, precipiterà nel buio dell’Alzheimer, una condanna ancora più terribile per chi, come lei, voleva a tutti i costi ricordare, classificare e mettere ordine nella sua vita. Ormai giunto sulla soglia del 70 anni, Dragan Velikić è stato in gioventù un oppositore di Tito e poi si è schierato contro il regime di Slobodan Milošević, lavorando come caporedattore della casa editrice B92 legata all’omonima radio, prima di iniziare una lunga e prolifica carriera di romanziere.