La svolta in Irlanda del Nord: più cattolici che protestanti

Avvenire, 23 settembre 2022

Per la prima volta nella sua storia l’Irlanda del Nord ha una popolazione a maggioranza cattolica. I dati del censimento generale svolto nel 2021 – resi pubblici ieri – affermano che il 45,7% degli abitanti è cattolico mentre il 43,48% è protestante e suggellano la graduale crescita del primo gruppo riscontrata nei decenni scorsi. L’Agenzia nazionale di Statistica e Ricerca ha certificato un rovesciamento della dinamica demografica che era nell’aria da tempo e che potrebbe cambiare per sempre il futuro politico della piccola provincia britannica. L’Irlanda del Nord fu infatti creata a tavolino da Londra nel 1921 nel tentativo di risolvere una volta per tutte la “questione irlandese”. I suoi confini furono tracciati in modo del tutto arbitrario, mantenendo il controllo della zona industrializzata dell’isola e assicurando una maggioranza di due terzi ai protestanti. Un assetto sociale e istituzionale che invece di risolvere il problema lo incancrenì: la minoranza cattolica è stata a lungo discriminata e lo Stato dell’Irlanda del Nord è precipitato in una lunga guerra, ritrovando la pace soltanto con l’Accordo del Venerdì Santo del 1998. A un quarto di secolo di distanza, quella che fino a poco tempo fa sembrava una roccaforte dell’identità protestante adesso ha cambiato definitivamente volto. Il censimento del 2021 – il primo effettuato dopo la Brexit – ha mostrato anche un calo nel senso di appartenenza della provincia al Regno Unito (nel 2011 gli abitanti che si dichiaravano “Only British” erano il 40% mentre adesso sono ridotti a meno del 32%). La svolta demografica potrebbe rappresentare un ulteriore passo verso quel referendum sulla riunificazione con Dublino chiesto a gran voce dagli indipendentisti del Sinn Féin, divenuto partito di maggioranza relativa alle elezioni del maggio scorso. Finora la religione è sempre stata considerata un valido indicatore dell’identità politica nordirlandese. Tuttavia, stando ai sondaggi d’opinione, non tutti i cattolici sognano un’Irlanda unita e sono favorevoli a lasciare il Regno Unito, mentre non tutti i protestanti sono disposti a difendere a ogni costo il legame con Londra.
Intanto ieri la premier britannica Liz Truss apre a un accordo con l’UE per l’implementazione del protocollo sull’Irlanda del Nord entro il 10 aprile 2023, ovvero il venticinquesimo anniversario della firma dell’Accordo del Venerdì Santo, che nel 1998 sancì la fine del conflitto angloirlandese. È quanto è emerso ieri a New York, nel corso di un incontro bilaterale con il presidente statunitense Joe Biden svolto a margine dei lavori dell’Assemblea generale dell’Onu. A favorire l’apertura della nuova inquilina di Downing Street è stato lo stesso Biden, preoccupato che l’impasse tra Londra e Bruxelles – con la possibile sospensione del Protocollo – possa avere ripercussioni sul processo di pace in Irlanda del Nord.

Un pensiero riguardo “La svolta in Irlanda del Nord: più cattolici che protestanti”

  1. IL TRADIMENTO DELL’ARMENIA NEI CONFRONTI DEI CURDI DURAMENTE STIGMATIZZATO ANCHE DA MOLTE ORGANIZZAZIONI ARMENE

    Gianni Sartori

    Ancora in agosto (ma la conferma è arrivata solo alla fine di settembre) l’Armenia ha estradato Leheng et Alişer, due esponenti delle HPG (Forze di Difesa del popolo, braccio armato del PKK), verso la Turchia. Falsamente Ankara l’aveva mascherato come il risultato di un’operazione del MIT (i servizi segreti turchi) nel campo per rifugiati di Makhmour (nel Kurdistan del sud).

    Nel comunicato delle HPG si legge che “i compagni Leheng et Alişer avevano incontrato i soldati dello Stato armeno nella zona di frontiera con l’Armenia nell’agosto del 2021 e avevano agito con prudenza per evitare situazioni negative”.

    Quindi i due curdi venivano arrestati e imprigionati. A seguito di un contenzioso giuridico davanti alla Corte d’appello avevano ottenuto un verdetto favorevole alla loro rimessa in libertà il 23 febbraio 2022. Ma in seguito venivano prima prelevati e trattenuti dai servizi segreti armeni e poi, circa un mese fa, estradati in Turchia.

    Secondo le HPGl l’Armenia avrebbe “violato le norme giuridiche internazionali e le stesse proprie leggi”.

    Il comunicato prosegue denunciando che trattare in questo modo “dei rivoluzionari che lottano per l’esistenza e la libertà del loro popolo, consegnandoli allo Stato turco è una vergogna per l’Armenia”.

    In precedenza, il 14 settembre, l’ufficio stampa delle HPG aveva già segnalato l’estradizione di altri due curdi dall’Irak verso la Turchia. Smentendo anche in questo caso la versione ufficiale di Ankara, ossia che si trattava di “brillanti operazioni esterne” del MIT a Makhmour.

    Tali episodi risultano particolarmente disgustosi se pensiamo allo stillicidio di prigionieri politici curdi che in carcere perdono o si tolgono direttamente la vita. In molti casi ritengo si dovrebbe parlare di “suicidi indotti” se, come confermano diverse testimonianze, dopo aver subito maltrattamenti e torture, quando rientrano in cella i prigionieri rischiano di trovare un cappio già pronto.

    A volte può sembrare una via d’uscita (o anche una forma estrema di protesta, l’unica consentita) per sfuggire alle sofferenze.

    L’ultimo caso, per ora, è quello del venticinquenneBarış Keve, rinchiuso da una settimana in una cella di isolamento del carcere di tipo T di Malatya Akçadağ. Condannato a sei anni e tre mesi per “appartenenza a un’organizzazione terrorista”, Keve era stato arrestato a Edirne. Trasferito nella prigione di Malatya Akçadağ, veniva immediatamente posto in isolamento per “sanzione disciplinare”. Alla notizia della morte (arrivata dall’amministrazione penitenziaria nel cuore della notte il 18 settembre) il fratello del giovane defunto, ha dichiarato di avergli parlato per l’ultime volta (per telefono presumo) venerdì 16 settembre e di non aver colto nessun intento negativo in Barış

    Nel frattempo la notizia che l’Armenia aveva consegnato ai servizi segreti turchi (MIT) i due militanti curdi arrestati nel 2021 è stata accolta prima con stupore e poi con indignazione da numerose organizzazioni armene, sia in Armenia che nella diaspora.

    Per il deputato armeno Gegham Manukyan (esponente della Federazione Rivoluzionaria Armena) non si sarebbe “mai visto un tradimento di tale portata negli ultimi trent’anni”.

    Parlando dei due curdi estradati ha detto che essi “avevano combattuto a Dersim, la regione dove molti nostri compatrioti sono stati soccorsi dai curdi all’epoca del genocidio armeno e hanno in seguito preso parte all’insurrezione di Dersim. Ora i due curdi si trovavano nel territorio della Repubblica di Armenia e sono stati prelevati e consegnati alle autorità assassine della Turchia. Uno stato – ha voluto sottolineare Manukyan – che ha attivamente preso parte alla guerra di 44 giorni contro di noi e sostiene tuttora l’aggressione dell’Azerbaigian”.

    Protesta anche il Consiglio di coordinamento delle organizzazioni armene in Francia (CCAF). In un comunicato del 25 settembre si legge che il CCAF “ha preso conoscenza con stupore della consegna da parte dell’Armenia alla Turchia di due militanti curdi delle HPG che erano stati arrestati un anno fa e poi rimessi in libertà per una decisione della Corte di cassazione”. Continua sostenendo che “niente può giustificarequesta misura” e di attendere spiegazioni dalle autorità armene per questo atto definito “vergognoso”.

    Ricorda anche che “le organizzazioni curde hanno fatto il loro dovere nei confronti della memoria storica riconoscendo e condannando il genocidio degli Armeni (a cui sotto la spinta dei Turchi parteciparono alcune tribù curde, come a suo tempo aveva onestamente riconosciuto il parlamento curdo in esilio nda) e hanno sempre manifestato la loro solidarietà nei confronti dell’Armenia e dell’Artsakh”.

    Aggiungendo che le organizzazioni armene della Francia hanno sempre dato il loro sostegno “alla resistenza del popolo curdo e alla sua lotta contro lo Stato fascista turco”.

    Non potrebbero inoltre mai “approvare delle misure così contrarie ai principi democratici, al diritto dei popoli e alla solidarietà che deve esistere tra popoli oppressi”.

    Anche perché è facile prevedere quali conseguenze potrebbero esserci sul piano della violazione dei diritti umani, un terreno in cui la Turchia spesso si è resa responsabile di violazioni nei confronti dei prigionieri politici.

    In conclusione il CCAF riafferma con forza il suo “sostegno totale alla lotta del popolo curdo”.

    Da segnalare anche, da parte curda, la dura presa di posizione del KCK (Koma Civakên Kurdistanê – Unione delle comunità del Kurdistan) che qualifica la misura presa dal governo armeno di Pashinyan come “tradimento”, esortandolo a interrompere immediatamente i suoi rapporti di collaborazione con lo Stato turco, presentando le proprie scuse sia al popolo armeno che al popolo curdo.

    Questo il comunicato del KCK:

    “I nostri amici Leheng (Atilla Çiçek) e Alişer (Hüseyin Yıldırım) sono stati recentemente consegnati alla Turchia dallo Stato armeno. (…) Leheng et Alişer, nuovamente imprigionati dal governo armeno dal novembre 2021 (dopo che in primo tempo erano stati liberati nda) sono stati consegnati allo Stato turco con il tradimento. Con notizie false si è cercato di mascherare l’operato dello Stato armeno (inventando una cattura operata dal MIT in un campo profughi del Kurdistan del sud nda). E’ significativo che il governo armeno abbia consegnato due rivoluzionari curdi – che combattono per la libertà del popolo curdo e che si erano recati in Armenia all’interno di una operazione della resistenza – allo Stato turco nel momento in cui il territorio armeno è occupato con il sostegno della Turchia. Questo rivela chiaramente che il governo Pashinyan collaboracon lo Stato turco colonialista e genocida e con il governo fascista AKP-MHP.

    Come Movimento curdo per la libertà, condanniamo fermamente il governo Pashinyan per il suo comportamento collaborazionista”.

    Infatti appare evidente che – mentre le terre armene sono sotto occupazione anche grazie alla Turchia -invece di sostenere chi combatte la Turchia il governo armeno si rimette alla volontà di Ankara.

    Questo gesto rappresenterebbe anche “un tradimento della lotta del popolo armeno contro il genocidio”.

    In sostanza il governo Pashinyan avrebbe tradito sia la causa dei popoli in generale, sia quella del popolo armeno in particolare. Oltre a quella dei curdi ovviamente.

    “La lotta per la liberazione del Kurdistan – prosegue il comunicato del Koma Civakên Kurdistanê – non è soltanto per la libertà del popolo curdo, ma anche per la libertà di tutti i popoli della regione, in particolare per quella del popolo armeno. Il popolo curdo considera il popolo armeno come suo prossimo e il paese in cui vive come una patria comune e sostiene la loro causa”.

    Dopo aver evocato i reciproci “sentimenti positivi” tra i due popoli, il KCK garantisce che comunque l’operato dei collaborazionisti non potrà danneggiare l’amicizia e la fraternità tradizionali tra i due popoli. Al contrario consentiranno ai popoli curdo e armeno di “impegnarsi in una lotta comune ancora più vigorosa”.

    Qualche considerazione finale

    Vien da chiedersi se l’operato del governo armeno vada considerato tout court “collaborazionismo” (e della peggior specie) o magari un pietoso, direi quasi miserabile, tentativo di captatio benevolentiae. Ossia, la piccola Armenia non sentendosi più sufficientemente garantita dal suo protettore storico (ieri l’Unione Sovietica, oggi la Russia, almeno fino a qualche tempo fa) si rivolge ad altri possibili alleati (se pur da una posizione subalterna).

    Sentendosi abbandonata a se stessa con la recente aggressione subita dall’Azerbaigian. Abbandonata – va detto – anche per colpa sua dato che aveva cercato di fornicare con Nato e Unione Europea allontanandosi dall’alleato tradizionale.
    Del resto un ulteriore “riavvicinamento” si era registrato all’inizio dell’anno in un incontro a Mosca tra rappresentanti della Turchia e dell’Armenia con la probabile supervisione di Putin.
    In una vecchia intervista con Baykar Sivazliyan mi veniva spiegato che “l’Armenia, nata nel 1918 e dal 1920 facente parte dell’ex Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, è diventata un paese indipendente nel 1991. È situata su un decimo del suo territorio storico, è la periferia di se stessa. Questo piccolo paese, subito dopo la sua formazione , prima ancora di guarire dalle ferite profonde del Genocidio, ha dovuto sopportare anche il peso enorme della Seconda Guerra Mondiale, a fianco delle forze sovietiche , perdendo altri 250 mila dei suoi migliori figli. Gli armeni, in proporzione al loro numero, sono stati la popolazione sovietica che ha dato il maggior numero di ufficiali, decorati e Eroi dell’Unione Sovietica”.

    E continuava: “la Repubblica dell’Armenia attuale è il baluardo della cultura e delle tradizioni armene, per tutti gli armeni sparsi per il mondo che sono ormai quasi una decina di milioni: 3,3 milioni in terra armena, due milioni in Russia, più un milione nell’America del Nord, mezzo milione in Francia, altrettanti in Medio oriente e il resto sparso per il mondo intero. La parte della popolazione armena più controversa numericamente si trova in Turchia: ufficialmente ci sono 60mila armeni cittadini turchi e 30mila armeni cittadini dell’Armenia, e circa 10mila armeni di varie cittadinanze, cioè in totale circa 100mila. Per altre fonti invece pare che in Turchia ci siano almeno due milioni di armeni o armeni turchizzati. E’ sicuramente una questione molto delicata. Ogni tanto si mormora dell’armenità di qualche pezzo grosso turco oppure salta fuori l’armenità di alcuni turchi molto importanti del passato. Un esempio lampante, causa di grande scandalo, risale a circa un anno fa. La figlia adottiva di Mustafa Kemal Ataturk, la prima Ufficiale dell’aeronautica turca della storia, risultava figlia di una famiglia armena di massacrati. Gli armeni della diaspora guardano all’Armenia come una grande speranza della rinascita. La realtà dell’Armenia ha le sue radici in una storia plurimillenaria. E’ noto che anche gli storici dell’antica Grecia parlavano degli armeni e dell’Armenia. Malgrado l’unità nazionale e lo stato nazionale armeno abbiano cessato di esistere per molti secoli (precisamente dal 1375 al 1918) sul territorio geograficamente chiamato Armenia, non ha mai cessato di esistere il popolo armeno, anche sotto numerose dominazioni (araba, persiana, ottomana e russa). I due anni della Repubblica Armena Indipendente nata dopo il genocidio del 1915 sono stati il preludio difficilissimo della Repubblica Sovietica Socialista dell’Armenia che faceva parte dell’URSS. Per settant’anni, fino al 1991, è stato un angolo di rinascita per il popolo armeno. Cosa mai vista nella storia dell’unione Sovietica, dal 1948 numerose famiglie armene decisero di trasferirsi nell’Armenia Sovietica acquisendone la cittadinanza. Se pensiamo alla quantità di cittadini sovietici desiderosi di andare in occidente, possiamo capire l’originalità del fenomeno.

    E ancora sottolineava come nonostante “fossero usciti da una immane tragedia come quella del Genocidio, gli abitanti dell’Armenia Sovietica hanno partecipato molto attivamente alla Seconda Guerra Mondiale”.

    Un patrimonio duramente conquistato che oggi l’Armenia (o almeno l’attuale governo) sembra voler sprecare, buttare al macero. Illudendosi forse di trovare ascolto e protezione da parte dell’Occidente (magari per interposta persona, la Turchia comunque membro della Nato). Una pia illusione ovviamente. E di cui – temo – avrà ampiamente modo di pentirsi.

    Gianni Sartori

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