Intervista a Il Giornale, 8.4.2016
In Irlanda sono iniziate le commemorazioni per il centenario dell’Easter Rising, la Rivolta di Pasqua che nel 1916 diede il via al lungo processo verso la costituzione della Repubblica d’Irlanda. Ce ne parla Riccardo Michelucci, giornalista e studioso d’Irlanda, autore di Storia del conflitto anglo-irlandese. Otto secoli di persecuzione inglese (Odoya, 2009) e curatore dell’edizione italiana di The Insurrection in Dublin di James Stephens (Menthalia, 2015).
Ci può riassumere il conflitto storico nord-irlandese?
Il conflitto nordirlandese non è che l’ultima propaggine del plurisecolare conflitto anglo-irlandese, una delle guerre più lunghe della storia dell’umanità, le cui radici affondano nell’Alto Medioevo. Nel 1921, non potendo più mantenere il controllo dell’intera isola, Londra impose con la forza all’Irlanda una divisione del tutto arbitraria che ha dato vita a un’entità geopolitica artificiale – l’Irlanda del Nord – col solo obiettivo di costruire una maggioranza protestante all’interno di un paese a stragrande maggioranza cattolica per perpetuare quel dominio iniziato tanto tempo fa. Ma l’elemento religioso, almeno negli ultimi tre secoli, è stato sempre usato strumentalmente per far apparire il conflitto irlandese come uno scontro tra cattolici e protestanti. La realtà è assai più complessa e deriva le sue origini dal settarismo inculcato nei discendenti dei coloni inglesi e scozzesi che hanno sempre mantenuto il potere nella parte settentrionale dell’Irlanda, l’Ulster, peraltro l’unica parte dell’isola che ha visto uno sviluppo industriale. In Irlanda del Nord la minoranza cattolica è stata vessata per decenni, privata del lavoro, della casa, del diritto di voto. Quando negli anni ’60 ha cercato di alzare la testa per reclamare uguaglianza e parità di diritti è stata repressa senza pietà, facendo stragi di civili (vedi la “Bloody sunday” di Derry del 30 gennaio 1972), favorendo la rinascita dell’IRA e incancrenendo il problema fino ai giorni nostri.
La presunta contrapposizione di natura religiosa è una mistificazione alimentata dalla propaganda britannica, perché funzionale a far credere che l’esercito britannico abbia operato in qualità di forza d’interposizione tra due comunità in lotta. Invece i soldati e i servizi segreti di Sua Maestà hanno sempre agito in qualità di alleati di una parte – quella unionista protestante fedele alla Corona – come dimostrano gli innumerevoli casi di collusione tra i gruppi paramilitari unionisti, i servizi di Londra e la polizia britannica dell’Irlanda del Nord.
Cosa è successo nel 1916?
Un secolo fa tutta l’Irlanda era ancora una colonia britannica soggetta alle leggi di Londra e priva di un proprio parlamento. A Westminster era in corso da tempo un estenuante dibattito sulla Home Rule, l’autogoverno, che doveva garantire una prima forma di autonomia ma che secondo molti irlandesi rischiava di svilire per sempre l’identità nazionale. Tra il 24 e il 30 aprile 1916, nel breve volgere di una settimana, poco più di un migliaio di uomini e donne irlandesi dotati di coraggio e amore per la libertà, ma con scarsi mezzi militari, insorsero contro la Gran Bretagna per liberare il paese e ottenere finalmente quell’indipendenza che nei secoli precedenti si era tentato invano di raggiungere, attraverso una serie di rivolte fallite. Si cercò di sfruttare il momento di difficoltà nel quale si trovava Londra, che in quei mesi era impegnata nella Prima guerra mondiale, scegliendo il giorno di Pasqua per cercare d’identificare la rivolta e la liberazione del paese con la Pasqua di resurrezione. Per riuscirci non sarebbe stato necessario ottenere una vittoria militare sugli inglesi – cosa che nessuno credeva possibile – bensì compiere un atto di ribellione armata capace di risvegliare la coscienza nazionale. Sul piano strettamente militare la rivolta fallì e i principali leader degli insorti furono fucilati, ma il loro eroismo avrebbe cambiato per sempre la storia dell’Irlanda radicalizzando definitivamente l’opinione pubblica del paese, fino a quel momento riluttante a rivoltarsi contro gli inglesi, e dando il colpo di grazia al decadente Impero britannico.
Quali sono stati i passaggi che hanno portato alla nascita della Repubblica d’Irlanda nel 1922?
In realtà, dopo la divisione imposta da Londra che citavo prima, nel 1922 nacque soltanto il cosiddetto Stato Libero d’Irlanda, che coincide con le ventisei dell’attuale Repubblica irlandese, ed ebbe una prima forma di autonomia all’interno del Commonwealth, quindi rimase sempre legata alla Corona britannica. L’Irlanda ha avuto la sua prima costituzione repubblicana nel 1937, anche se il legame con il re fu reciso definitivamente soltanto nel 1949, con la definitiva uscita dal Commonwealth. Quindi oltre 30 anni dopo la rivolta del 1916, che gettò comunque i semi decisivi di una svolta culturale, prima ancora che politico-costituzionale.
Che significato ha, oggi, dopo cento anni la Rivolta di Pasqua?
Al netto dell’inevitabile bagno di retorica che purtroppo in queste occasioni è sempre presente, il centenario della Easter Rising è un’occasione importante per riflettere sui grandi ideali che quegli uomini e quelle donne portarono avanti a costo della loro stessa vita. Non è un caso che la Rivolta irlandese del 1916 continui ancora oggi a rappresentare uno dei momenti più alti di resistenza contro il potere coloniale e di martirio per la libertà dell’epoca contemporanea. Secondo lo storico Eric Hobsbawm il processo di decolonizzazione è stato uno dei principali progressi del ‘Secolo breve’, un processo favorito e accelerato proprio dalla Rivolta irlandese del 1916, che dette anche il colpo di grazia al decadente Impero britannico e fu d’esempio per altri paesi in lotta per l’emancipazione, come India, Australia e Sudafrica.
I ribelli di cento anni fa non sono stati soltanto d’esempio e d’ispirazione per le generazioni che vennero dopo di loro, ma hanno lasciato anche un’importante eredità grazie ai principi formulati nella Proclamazione che fu letta in pubblico da Patrick Pearse il primo giorno della rivolta. Il documento delineava il sogno di un’Irlanda che in futuro avrebbe dovuto essere un paese inclusivo, senza alcuna discriminazione di classe, di religione, di genere. Era il progetto di una nazione ideale, forse irrealizzabile, ma che sarebbe rimasto un punto di riferimento fino ai giorni nostri, purtroppo in larga misura disatteso. L’Irlanda odierna sembra infatti molto più il risultato di una sorta ‘controrivoluzione’: un paese ancora profondamente settario nel Nord e caratterizzato da una forte emigrazione e grandi disuguaglianze al sud. La riunificazione appare lontana, ed è quasi uscita del tutto dalle agende politiche di quei partiti che un tempo la consideravano imprescindibile. È accaduto qualcosa di simile in molti paesi usciti da esperienze coloniali: alla liberazione nazionale è subentrato una sorta di tradimento nazionale. Il centenario rappresenta un’occasione per ricollegarsi a quegli ideali e a quel progetto di emancipazione e farne tesoro per il futuro.
Quali sono state le maggiori iniziative promosse nel nord e nel sud dell’isola verde?
Da mesi sono in corso in tutta l’Irlanda grandi celebrazioni che coinvolgono lo Stato, la società civile e il mondo accademico e culturale. L’elenco completo si trova sul sito www.ireland.it. Le celebrazioni proseguiranno per tutto l’anno e segneranno un momento storico per l’Irlanda, anche se purtroppo non mancano i revisionisti. Coloro cioè che continuano a vedere nella rivolta di un secolo fa la genesi della violenza che ha insanguinato l’Irlanda del Nord in tempi più recenti.
Nell’ultimo periodo alcuni gruppi hanno ripreso la lotta armata… Cosa ne pensa?
Che sono la conseguenza inevitabile del malcontento generato in molti settori della popolazione – specie quelli economicamente più deboli ed emarginati – dal mancato raggiungimento di quegli obiettivi di cui parlavo sopra. Nessuno mette in dubbio che la politica debba essere anche compromesso, ma è evidente che l’attuale mantenimento dello status quo costituisce agli occhi di molti il tradimento di un ideale, di un sogno, di una lotta che è costata decenni di dolore e sangue.
Che futuro prevede per i repubblicani irlandesi?
È sempre difficile fare previsioni perché la politica conosce spesso sorprese e sviluppi inaspettati. Credo sia impossibile che il suddetto malcontento e l’azione dei gruppi dissidenti possano favorire un ritorno al conflitto come talvolta qualcuno ancora sostiene. La dinamica socio-politica attuale è troppo diversa da quella di 30-40 anni fa. Purtroppo il problema dello scarso spessore dei leader politici odierni che l’Europa sta soffrendo un po’ ovunque tocca anche i repubblicani irlandesi. Mi riferisco al loro maggior partito, il Sinn Féin, che non riesce a trovare un ricambio dopo essere stato guidato dalla stessa persona per oltre tre decenni. Sarà interessante capire chi succederà a Gerry Adams, e con quali obiettivi.