Shoah: il lato oscuro della Polonia

Da “Avvenire” di oggi

Uno dei pilastri della storia ufficiale polacca vacilla sotto i colpi di un figlio dell’insurrezione di Varsavia del 1944. Jan Tomasz Gross ha lasciato la Polonia alla fine degli anni ‘60 e dalla sua cattedra di storia all’università di Princeton ha più volte messo in discussione il ruolo svolto dai suoi connazionali durante l’occupazione nazista nella Seconda guerra mondiale. Il suo ultimo libro Golden Harvest – in uscita all’inizio di marzo per la casa editrice Znak di Cracovia – racconta la vicenda dei polacchi che si sarebbero arricchiti depredando gli ebrei durante l’Olocausto e ha letteralmente scatenato le ire degli ambienti più nazionalisti. La copertina del volume riproduce una foto dell’epoca che raffigura un gruppo di contadini in posa sotto il sole. Quella che a un occhio disattento può sembrare una normale scena agreste è in realtà un’immagine macabra. Ai piedi dei contadini c’è infatti un mucchio di ossa e teschi umani: quello che resta di alcune delle migliaia di persone finite nei forni crematori del campo di sterminio polacco di Treblinka. Il raccolto della giornata non è costituito da frutti della terra, ma da gioielli e denti d’oro. Gross parte da quella foto per documentare una vicenda ignota dell’ultimo conflitto mondiale e gli esiti del suo lavoro mettono apertamente in discussione quella che è stata finora una versione ufficiale della storia polacca. Molti suoi connazionali si sarebbero comportati in modo tutt’altro che impeccabile durante l’Olocausto, partecipando attivamente allo sterminio di massa degli ebrei e traendo enormi benefici dall’occupazione nazista. Una tesi dirompente che infatti ha già innescato feroci polemiche all’interno del paese, soprattutto da parte di chi è riuscito a salvarsi proprio grazie all’aiuto e alla collaborazione di cittadini polacchi. Come Samuel Willenberg, sopravvissuto a Treblinka, che ha accusato Gross di scarsa obiettività ma ha confermato di aver visto cercatori d’oro e altri oggetti preziosi intorno al campo. Nelle settimane scorse sono comparse scritte minatorie sui muri della sede della casa editrice Znak, i cui uffici hanno ricevuto centinaia di mail offensive e di protesta contro un libro che secondo alcuni rappresenta addirittura un oltraggio alla nazione. Ma l’editore Henryk Wozniakowski ha ribadito la bontà della sua scelta affermando che il volume fa luce su una vicenda terribile che tuttavia non sminuisce affatto il coraggio di quei polacchi che durante la guerra salvarono gli ebrei a costo della loro vita. D’altra parte, la Polonia annovera ancora oggi il maggior numero di Giusti tra le nazioni: oltre seimila cittadini di nazionalità polacca i cui sforzi sono stati riconosciuti ufficialmente dallo Yad Vashem, il memoriale israeliano delle vittime della Shoah. Pur non disconoscendo i meriti della resistenza polacca, Gross sostiene che oltre agli episodi di eroismo, la guerra conobbe anche tante storie di collusione con gli occupanti e di persone che si arricchirono proprio grazie alla persecuzione degli ebrei. Non è la prima volta che le sue opere innescano polemiche scatenando anche reazioni violente. In Polonia c’è chi lo definisce spregiativamente un ‘sociologo’ che semina calunnie sul suo paese d’origine per trarre profitto dall’industria dell’Olocausto e chi invece lo ritiene un pioniere coraggioso che apre squarci dolorosi ma necessari per far luce sulla storia polacca. E c’è anche chi, come il cardinale Stanislaw Dziwisz, afferma che il suo lavoro ha il merito di far emergere sia il male dell’anti-semitismo che quello rappresentato dai sentimenti anti-polacchi. Nato 64 anni fa da un padre ebreo e da una donna che combatté nell’esercito polacco durante l’eroica rivolta di Varsavia contro i nazisti, Gross lasciò la Polonia nel 1968 per sfuggire alle campagne anti-semite delle autorità comuniste dell’epoca, approdando infine negli Stati Uniti. Dieci anni fa dette alle stampe Neighbours, un libro che raccontava la storia del pogrom di Jedwabne spiegando che a massacrare le centinaia di ebrei residenti nel piccolo villaggio della Polonia orientale non furono i nazisti, ma i loro vicini polacchi. Ne nacque un lungo dibattito inasprito anche dai tentativi di citare lo storico in giudizio per diffamazione. Finché una commissione governativa incaricata di indagare sul caso non confermò le tesi di Gross costringendo l’allora presidente Kwasniewski a porgere le scuse ufficiali alla comunità ebraica. Non mancò di suscitare polemiche neanche Fear, il libro uscito nel 2006 nel quale il professore di Princeton analizzava la violenza anti-semita nella Polonia del dopoguerra raccontando per la prima volta la storia del pogrom di Kielce: decine di ebrei sopravvissuti all’Olocausto e massacrati dai polacchi nel 1946, a guerra ormai finita. Ma anche in questo caso, le contestazioni e le minacce di querela s’infransero di fronte all’inconfutabilità dei fatti raccontati.
Riccardo Michelucci

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