Avvenire, 9 giugno 2021
Nessun colpo di scena, ieri all’Aja, dove il processo di appello all’ex generale serbo-bosniaco Ratko Mladic si è concluso con la conferma definitiva della condanna all’ergastolo per il “boia dei Balcani”. A oltre un quarto di secolo dalla fine della guerra di Bosnia, i giudici del Meccanismo residuale internazionale – l’organo che ha preso il posto del Tribunale penale per i crimini nell’ex Jugoslavia – hanno pronunciato la sentenza che chiude una volta per tutte i conti con la storia del più spaventoso conflitto europeo dai tempi della Seconda guerra mondiale. In aula l’ormai 79enne Mladic ha assistito impassibile, seduto con la mascherina abbassata, alla lettura della sentenza da parte della giudice zambiana Prisca Matimba Nyambe. L’uomo che con le sue truppe assediò Sarajevo per oltre quattro anni e poi orchestrò il genocidio di Srebrenica, è stato nuovamente riconosciuto colpevole di dieci degli undici capi d’imputazione che gli erano stati contestati. Tra questi figurano il genocidio, la persecuzione per motivi etnici e religiosi, lo sterminio, la deportazione, la cattura di ostaggi e gli attacchi contro i civili. È stato invece assolto – proprio come avvenne in primo grado, nel novembre 2017 – dal reato di genocidio per gli atti compiuti a Prijedor e in altre cinque località bosniache. Ma soprattutto ieri è stato scongiurato il rischio di una possibile ripetizione del processo, a lungo richiesta dai suoi legali. Incriminato per la prima volta nel 1995, dopo la guerra Mladic divenne uno degli uomini più ricercati del mondo ma continuò a vivere a Belgrado da uomo libero, protetto dall’establishment militare serbo. Fu arrestato il 26 maggio 2011 dopo una latitanza durata quasi sedici anni. Dopo la morte in cella di Milosevic e la condanna a vita di Karadzic, ormai mancava soltanto lui. La sentenza di ieri – che il presidente Usa Joe Biden non ha esitato a definire “storica” – scrive finalmente una verità definitiva su quella guerra.