“Vietato parlare dei desaparecidos”. Le carte segrete che accusano Londra

Riaffiorano dagli archivi britannici le comunicazioni fra l´ambasciata di Buenos Aires e il Foreign Office. Il governo laburista sapeva delle atrocità commesse dalla giunta di Videla, ma fece prevalere la ragion di Stato.
(di Omero Ciai)

Fu uno sterminio sotto gli occhi di tutti quello che permise ai militari argentini dopo il 24 marzo del 1976 di far sparire nei campi di concentramento migliaia di giovani oppositori, spartirsi i loro beni e sequestrare i loro figli. Sotto gli occhi delle democrazie occidentali. E dell´Urss, che appoggiò la dittatura di Jorge Rafael Videla perché aveva un disperato bisogno del suo grano, e costrinse i partiti fratelli – Pci compreso – a disinteressarsi del massacro in corso. Una indifferenza che i documenti trovati negli archivi nazionali britannici di Kew Gardens dal ricercatore Mario J. Cereghino rivelano in tutta la sua tragica dimensione. Riguardano le comunicazioni tra l´ambasciata a Buenos Aires e il Foreign Office fra il ‘77 e il ‘79. Oggi, dopo l´annullamento delle leggi di amnistia e indulto per i militari coinvolti nella “guerra sporca”, e la riapertura dei processi, possono contribuire, insieme a quelli conservati negli Stati Uniti, alla ricerca della verità sul numero delle vittime e sull´identità dei neonati sottratti ai genitori desaparecidos.
Tra i primi a parlare dei metodi criminali usati dalla giunta golpista argentina è un alto funzionario dell´ambasciata britannica che scrive a David Owen, allora ministro degli Esteri nel governo laburista di James Callaghan. Il rapporto spedito a Londra è intitolato “Diritti umani e sovversione” e porta la data del 31 marzo ‘77. «Il sistema repressivo – scrive – è stato perfezionato nel corso dell´ultimo anno. Il sospettato viene arrestato in maniera illegale. Diventa cioè uno scomparso per il periodo in cui viene sottoposto ad interrogatorio (…). In base ai risultati, il prigioniero può essere successivamente rilasciato. Viene cioè ‘riportato in superficie´, in un luogo di detenzione legale, oppure nuovamente recluso in un luogo segreto. Evento, quest´ultimo, che spesso conduce alla sua esecuzione senza un regolare processo. Ma le persone ‘spariscono´ anche in altri modi atroci. È un sistema che autorizza il governo a negare di essere a conoscenza dei desaparecidos e delle morti o di esserne il responsabile. Memori dell´esperienza cilena, i militari argentini sembrano essere arrivati alla conclusione che le ‘sparizioni´ sono preferibili agli arresti eseguiti legalmente».
Per esaminare la situazione, nella primavera del ‘77 l´intelligence britannica affida un´indagine segreta ad un agente del MI-6, Hugh Bricheno. Il 7 ottobre la spia invia a Londra un rapporto top-secret di tre pagine intitolato “Informazioni sulla guerra alla sovversione”. Bricheno riferisce che «il ministero degli Interni argentino è in possesso di uno schedario di desaparecidos con oltre 5mila nominativi». Ma aggiunge che «non è irragionevole la cifra di almeno 15mila persone sparite», e che le sue stime «coincidono con i dati in possesso dell´ambasciata degli Stati Uniti». Poi aggiunge: «La stima di 15mila desaparecidos è la metà di quella fatta dall´organizzazione per i diritti umani dei Montoneros (i guerriglieri peronisti). E anche se attribuissimo ad una azione volontaria la scomparsa di un terzo di questa cifra (persone che entrano in clandestinità, che si nascondono o che scelgono un esilio anonimo), rimangono ancora 10mila persone. È probabile che queste abbiano trovato la morte in seguito a torture delle forze di sicurezza. I loro cadaveri sono stati bruciati, sepolti o gettati nell´Oceano. Ciò porterebbe ad una media di 20 morti al giorno a partire dal Colpo di Stato». «È roba da far rizzare i capelli in testa», commentano a Londra. Qualche giorno dopo, l´incaricato d´affari britannico nella capitale argentina, Hugh Carless, osserva: «Il quadro ora è più chiaro e raccapricciante. Fino a quando il governo argentino non rilascerà cifre credibili, la stima di 10mila desaparecidos non è insensata».
Nel corso del ‘77 le informazioni raccolte in Argentina dai funzionari britannici sono sufficienti per lanciare una campagna internazionale sui diritti umani contro Videla. Ma a Londra è già prevalsa la ragion di Stato. In un dossier ad uso interno, declassificato dagli archivi di Kew Gardens, il responsabile del Dipartimento per il Sud America, D. S. Keeling, nel giugno del ‘77 scrive: «La situazione deve essere affrontata con razionalità. Il nostro obiettivo consiste nell´osteggiare le richieste provenienti dagli oppositori del regime e dalle lobby per i diritti umani. Costoro ci chiedono di condannare pubblicamente il governo argentino. Tuttavia, tale azione andrebbe contro i nostri interessi: potrebbe danneggiare i futuri negoziati sulle Falklands. E finirebbe anche per colpire i nostri interessi commerciali». In quel momento il governo laburista britannico voleva liberarsi delle Falklands/Malvine per gli esosi costi necessari a conservare la sovranità su un piccolo arcipelago che si trovava a migliaia di chilometri di distanza dalla madrepatria. Ed anche per questo aveva interesse a mantenere relazioni normali con i golpisti.
L´inerzia internazionale permise al regime di ospitare l´anno successivo i mondiali di calcio in tutta tranquillità. Negli stadi si giocava mentre nei lager gli oppositori venivano torturati e uccisi. I dispacci al Foreign Office proseguono per tutto il ‘79. A febbraio in una nota, sulla base di documenti raccolti dall´ambasciata degli Stati Uniti, si dice: «Aveva ragione Amnesty International, la stima degli scomparsi oscilla tra i 12 e i 13mila». E più tardi, nell´aprile del ‘79: «La gente continua a sparire e l´auto-censura della stampa sull´argomento permane».

(da “La Repubblica”, 7 gennaio 2009)

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