Avvenire, 4.11.2017
“Elio non era andato alla guerra ma ora la guerra lo aveva raggiunto, rompendo prepotentemente il silenzio e la pace della sua campagna”. È la primavera del 1944, quando la Storia impone a Elio Bartolozzi, contadino toscano di appena vent’anni, una scelta destinata a cambiare per sempre la sua vita, rendendolo protagonista di un’esemplare vicenda di resistenza civile e deportazione rimossa dalla memorialistica ufficiale del Dopoguerra. Il suo eroismo è rimasto sepolto nell’oblio per decenni, finché lo storico Frediano Sessi, già biografo di Primo Levi e Anna Frank, non ha riannodato i fili della memoria nel suo nuovo libro, Elio, l’ultimo dei Giusti. Una storia dimenticata di Resistenza, appena uscito per Mursia. Cieco da un occhio fin da bambino a causa di un incidente di gioco, Elio non era stato chiamato alle armi ed era rimasto a lavorare la terra a Ceppeto, il paese dove viveva con la sua famiglia, a pochi chilometri da Firenze. In guerra ci erano andati soltanto i suoi fratelli: uno era prigioniero in Jugoslavia e l’altro, tornato dalla Russia, si nascondeva in soffitta per non farsi catturare dai nazisti. Ma il 4 aprile 1944, all’altezza della piccola stazione ferroviaria di Montorsoli a poca distanza da casa sua, i partigiani attaccano un treno che trasporta militi della Repubblica sociale. Nello scontro a fuoco alcuni partigiani restano feriti, due in modo grave, e hanno bisogno di cure. A Elio, che neanche li conosceva, verrà chiesto di portarli in salvo usando il suo carro trainato dai buoi. E lui, pur conscio dei pericoli, quando capì che era in gioco la loro vita decise di accompagnarli in un luogo sicuro. Rientrò a casa nella notte, stremato, e non appena si mise a letto i fascisti bussarono alla sua porta. Qualcuno aveva fatto la spia. Elio viene imprigionato e torturato a Villa Triste, a Firenze, dagli uomini della famigerata banda Carità, che vogliono estorcergli informazioni sui partigiani. Ma lui non parla. Due mesi dopo viene internato nel campo di Fossoli, poi in quello di Bolzano, e infine deportato a Mauthausen. Trascorre alcuni giorni al campo principale finché non finisce nell’inferno di Gusen, dove i prigionieri erano costretti a scavare gallerie utilizzate per la produzione di armi, in condizioni a dir poco bestiali. Elio è fortunato, perché riesce a sopravvivere e a vedere la liberazione del campo da parte degli americani, il 6 maggio 1945. Tornato a casa, riprende la sua vita in campagna e sceglie di non denunciare chi l’ha tradito facendolo deportare. Nel suo memoriale, rimasto a lungo inedito, spiegherà di aver già visto troppe violenze e troppo dolore. Il suo atto eroico cade definitivamente nell’oblio e anche lo status di partigiano non gli verrà mai riconosciuto. La lapide che ricorda i partigiani della battaglia di Montorsoli non riporta il suo nome e quando muore, nel 2004, ai funerali non partecipa alcun rappresentante dell’Anpi, né dell’Aned. La sua vicenda, raccontata da Sessi con il rigore dello storico e la forza narrativa dello scrittore, è quella di un uomo per cui resistere “non ha voluto dire schierarsi ma rischiare la propria vita per proteggere altri che non facevano parte della sua famiglia e dei suoi conoscenti”. E ci ricorda che accanto a una resistenza armata vi fu, in quei mesi terribili, anche il silenzioso eroismo di tanti uomini e tante donne che si rifiutarono di adeguarsi alla cultura della violenza e dell’indifferenza inculcate dal fascismo, mettendo al centro della loro vita l’amore per gli esseri umani, anche al costo di perdere tutto.
RM