(di Laura Cimino, L’Unità)
C’è una piccola strada il cui solo nome, nella Capitale occupata dai nazisti, a pronunciarlo alle donne di Roma (madri, mogli, sorelle, che aspettavano con il cambio in mano sotto le finestre murate pregando che fosse loro restituito) metteva i brividi. Perché al numero 145 di via Tasso si trovava il carcere delle SS di Herbert Kappler. Oggi in quella via che porta dritta alla Basilica di San Giovanni, si respira di nuovo un’aria oscurantista, perché il Museo della Liberazione che è sorto all’interno di quelle stesse mura dagli anni 50 è a rischio chiusura, con tutto il suo patrimonio di memoria. Hanno attraversato quel portone 2500 persone in 9 mesi, tra il ’43 e il ‘44. I cosiddetti prigionieri politici: comunisti, sindacalisti, badogliani. Interrogati violentemente fino alla tortura e rimandati nelle strette celle sanguinanti e piegati dal dolori affinché i compagni di sventura potessero vederli e fossero loro di monito. Tra quelle mura sono stati detenuti l’ex-presidente della Corte Costituzionale Giuliano Vassalli, il sindacalista Bruno Buozzi, l’italianista Carlo Salinari, il sacerdote don Pietro Pappagallo (che ispirò a Roberto Rossellini il personaggio interpretato da Aldo Fabrizi nel film “Roma Città Aperta”), il colonnello Giuseppe Montezemolo e tanti altri sconosciuti partigiani e cittadini, tra cui oltre 300 donne, che hanno lasciato sulle pareti delle celle i segni graffiati della loro resistenza: avvertimenti, firme, messaggi di incoraggiamento per i compagni, notizie ai famigliari.
Dal 1955 i locali di via Tasso sono diventati il “Museo Storico della Liberazione”, visitato ogni giorno da decine di scolaresche. Alle pareti documenti e profili dei caduti per la libertà. Ora però tutto questo corposo patrimonio di memoria, che ricorda che Roma è una città antifascista, capitale di uno stato la cui Costituzione si fonda sui valori scaturiti dalla Resistenza, ebbene tutto questo rischia di chiudere. «Il Museo compariva fin nei primi comunicati ufficiali ministeriali sui tagli finanziari – dice Antonio Parisella, presidente – anche se ancora non c’è arrivata nessuna comunicazione al riguardo». La situazione è grave e Parisella la sintetizza così: «Se il governo ci taglia i fondi, c’è il rischio che dopo la chiusura estiva non riapriamo, se non ce li taglia, riusciremo ad andare avanti fino a febbraio o marzo».
Il museo si regge su un finanziamento statale del valore nominale di 100 milioni di lire del 2000, e cioè 50 mila euro, che, in base ad una legge del ‘57 dovrebbero garantire il funzionamento dell’istituto, che, è bene ricordarlo, si basa sul lavoro volontario. E nel frattempo il potere d’acquisto si è dimezzato e le spese sono cresciute perché sono stati acquisiti altri due appartamenti dello stabile e perché i visitatori sono aumentati nell’ultimo decennio da 7/8 mila a 12/13 mila unità. Continua a leggere “L’ultimo colpo alla memoria: Via Tasso a rischio per 50mila euro”