La schiavitù americana delle armi

Avvenire, 3.1.2018

Per oltre due secoli gli Stati Uniti si sono divisi sul significato del Secondo Emendamento, che recita: “essendo necessaria, alla sicurezza di uno Stato libero, una milizia ben regolamentata, non potrà essere infranto il diritto dei cittadini di detenere e portare armi”. Un dibattito incessante ha coinvolto giuristi, politici, attivisti per i diritti umani e si è acceso periodicamente di fronte alla recrudescenza dei fatti di cronaca. Negli anni numerose leggi federali hanno poi cercato di regolare la controversa libertà al possesso delle armi garantita dalla Costituzione. Per alcuni, soprattutto per chi vorrebbe limitarne la diffusione, il Secondo emendamento non sancirebbe il diritto dei singoli individui ad armarsi, e la difesa della popolazione competerebbe soltanto alla polizia e all’esercito. Una tesi, questa, che nel 2008 è stata definitivamente smentita da una famosa sentenza della Corte Suprema, secondo la quale i cittadini hanno il diritto di possedere armi “al di là della loro appartenenza a una milizia”. Il primo ottobre scorso, a Las Vegas, c’è stata la più grave sparatoria della storia moderna degli Stati Uniti, con una sessantina di persone uccise durante un concerto, ma nonostante le sempre più frequenti stragi di massa, la maggioranza degli americani – stando ai sondaggi – non appare disposta a rinunciare a questo diritto sancito dalla Costituzione. “I massacri indiscriminati – spiega la studiosa americana Roxanne Dunbar-Ortiz – rappresentano soltanto la tragica punta dell’iceberg di un’emergenza che ogni anno vede circa 37mila persone uccise con armi da fuoco, un numero di morti superiore a quello registrato negli incidenti stradali”. Storica di spicco, vincitrice dell’American Book Award nel 2015, Dunbar-Ortiz ha ricostruito nel suo nuovo libro, Loaded. A Disarming History of the Second Amendment, le origini della cultura militarista degli Stati Uniti individuando un filo conduttore che lega i primi insediamenti bianchi del Nord America all’odierna proliferazione delle armi.
Il Secondo emendamento fu redatto da James Madison, uno dei padri fondatori degli Stati Uniti, e approvato dal parlamento nel 1789, principalmente come strumento di difesa dagli indiani. Il suo obiettivo preciso, sostiene la studiosa, era quello di garantire il diritto individuale dei coloni bianchi all’appropriazione delle terre dei nativi, per derubarli e poi ridurli in schiavitù. “Per secoli la cultura militarista e la violenza rivolta contro le popolazioni indigene sono stati aspetti centrali del colonialismo europeo e hanno trovato nel territorio americano la loro espressione più duratura, sotto forma di milizie armate e di singoli cittadini, divenendo col tempo un fenomeno quasi religioso”. La stessa logica sarebbe stata estesa poi contro chiunque avesse provato a ostacolare la dottrina del “destino manifesto” degli Stati Uniti, ovvero la missione di espandersi in virtù di un ideale morale considerato al di sopra delle leggi terrene. Anche dopo la Guerra civile americana, le milizie di coloni avrebbero continuato per secoli a perseguitare e a terrorizzare i neri attraverso i corpi di polizia e il Ku Klux Klan, mentre il possesso individuale delle armi – ormai istituzionalizzato – sarebbe divenuto uno strumento di controllo dell’ordine costituito di fronte ai cambiamenti sociali. Non a caso, prosegue Dunbar-Ortiz, il dibattito sul Secondo emendamento è esploso nella seconda metà del XX secolo, ovvero al tempo dei movimenti per i diritti civili, delle proteste contro la guerra, dell’aumento dei tassi di criminalità, di pari passo con la crescente influenza della National Rifle Association, la potente lobby statunitense delle armi da fuoco.
Loaded si apre citando le parole provocatorie e profetiche pronunciate da Martin Luther King nel 1967, durante la protesta contro la guerra in Vietnam: “non potrei più levare la voce contro la violenza degli oppressi nei ghetti senza aver prima denunciato il più grande produttore di violenza nel mondo d’oggi: il mio stesso governo”. Proprio a partire dai primi anni ‘70 iniziò una corsa agli armamenti mai vista prima d’allora in epoca moderna, e il numero di armi da fuoco detenute da privati è in breve tempo triplicato fino a superare, oggi, la cifra impressionante di 300 milioni di armi su una popolazione di circa 315 milioni di abitanti. Quasi una a testa, bambini compresi, e senza tener conto delle armi in dotazione all’esercito. Nel frattempo, anche grazie al dispiegamento delle forze militari statunitensi in 180 paesi del mondo, l’espansione dell’industria bellica e del mercato delle armi ha toccato i livelli più alti dalla Seconda guerra mondiale. Quanto al preoccupante fenomeno delle stragi di massa compiute in ambito urbano, il libro riporta statistiche agghiaccianti: escludendo i casi di violenza domestica, dal 1966 al 2016 ci sono state 127 stragi, quasi tutte compiute da uomini bianchi, circa un terzo delle quali nei posti di lavoro. Il 13% è avvenuto all’interno di istituti scolastici o universitari, dove dopo la strage del liceo di Columbine del 1999 si è registrata una drammatica escalation culminata nel 2012, con il massacro alla scuola elementare di Sandy Hook, nel Connecticut. Fino ai drammi più recenti nella chiesa evangelica di Charleston nel 2015, del night-club di Orlando nel 2016 e del citato concerto di Las Vegas, dell’ottobre scorso. “Le radici dell’ossessione delle armi negli Stati Uniti – conclude Dunbar-Ortiz – risalgono alla lunga eredità del suprematismo bianco. A causare le stragi non è soltanto la diffusione indiscriminata delle armi tra la popolazione, ma anche il militarismo diffuso nella società americana. Estirparla sarà ancora più difficile che regolamentare la vendita delle armi”.
RM

Un pensiero riguardo “La schiavitù americana delle armi”

  1. Ho letto con attenzione e interesse l’articolo sopra riportato e, in tutta franchezza, non mi trovo in accordo con la Sig.ra Dunbar Ortiz. MI sembra che l’impostazione stessa del suo studio tenda a dimostrare una tesi precostituita, nel solco del politicamente corretto e della sistematica svalutazione dell’immenso contributo dato dalla colonizzazione europea e “bianca” alla civilizzazione del nord America. Per ciò che mi risulta i Padri Fondatori degli U.S.A. non intesero il 2° emendamento come lo presenta la Dunbar Ortiz, ovvero come una sorta di autorizzazione permanente all’omicidio dei nativi, anzi dei pellerossa, così ci capiamo tutti, da parte dei coloni, bensì come una protezione dei diritti individuali nei confronti di prevaricazioni da parte dello stato federale e dei suoi rappresentanti, nonché di eventuali abusi commessi dalle amministrazioni statali e locali. Mi spiego meglio, in primo luogo l’emendamento non obbliga nessuno a dotarsi di armi, secondo, all’epoca gli estensori della costituzione previdero, oltre alla possibilità per i cittadini di armarsi, anche la facoltà dei singoli stati di istituire milizie di stato, dipendenti dai governatori e la proibizione, all’amministrazione federale, di istituire, in tempo di pace, un regolare servizio militare di leva. In questo modo i padri fondatori ottennero un risultato eccellente, perfettamente in linea con la loro principale preoccupazione che era quella di distanziare gli Stati Uniti dagli stati del vecchio continente. Dinanzi all’Europa delle monarchie assolute con i loro vastissimi eserciti permanenti e le loro plebi inermi, in faccia al vecchio continente absburgico, borbonico, sabaudo, zarista, ai suoi stati centralizzati dotati di servizi di spionaggio e polizie segrete, si ergeva una repubblica radicalmente diversa. In Europa un sovrano poteva dichiarare guerra per qualsiasi motivo, promulgare, cambiare o cassare qualsiasi legge, fare e disfare a suo piacimento perché aveva i mezzi militari per imporre ciò che voleva e per sedare nel sangue qualsiasi ribellione, e uomini addestrati sempre pronti alla bisogna. Negli U.S.A. se il governo federale avesse voluto imporre una guerra di aggressione in disaccordo col popolo, non avrebbe potuto far nulla, in quanto sostanzialmente disarmato, basti pensare che alla vigilia della Guerra Civile le forze armate federali nel loro complesso avevano poco più di 16.000 uomini, se avesse voluto imporre soluzioni incostituzionali si sarebbe trovato davanti le milizie degli stati e un intero popolo armato, se, viceversa, si fosse trovato nella necessità di respingere un’invasione, avrebbe potuto ricorrere alle stesse milizie, ai cittadini e all’arruolamento volontario nelle forze armate federali. Quanto al colonialismo europeo non ha niente a che vedere con il 2° emendamento, gli stati europei si avvalevano, per le loro imprese coloniali, di eserciti di volontari e di coscritti attentamente selezionati, ottimamente addestrati, armati con il meglio che la tecnologia bellica dell’epoca potesse fornire, non di coloni dotati di fucili e pistole. La dottrina del “destino manifesto” è, in realtà, poco più di uno slogan, e, al pari di altre boutades otto – novecentesche ( per esempio il “big stick di Theodore Roosvelt, l’autodeterminazione dei popoli di Wilson, la scemenza della “nuova frontiera” di Kennedy) era buono solo per le campagne elettorali. Il 2° emendamento non ha neanche nulla a che vedere con la condizione della popolazione non bianca degli Stati Uniti, infatti tutti i cittadini statunitensi possono avvalersene, indipendentemente dal colore della pelle. Il K.K.K. avrebbe commesso le sue nefandezze anche senza il 2°emendamento, così come, qui da noi, in tempi molto più recenti di quelli in cui agiva il Klan, il crimine organizzato e non, politico e comune, ha rapito, gambizzato, assassinato, estorto, compiuto attentati anche in presenza di una legislazione sulle armi e sul loro uso tra le più restrittive del mondo. Gli è che chi vuole fare del male al prossimo spesso riesce nel suo intento, certo negli U.S.A. è più facile dotarsi di armi, ma il punto è che la società americana ha avuto un altro sviluppo storico, che ha prodotto un paese diverso e il 2°emendamento è solo un aspetto di tale diversità, forse per noi il meno comprensibile. Del resto non di rado gli americani restano sorpresi da aspetti della nostra società che loro giudicano assurdi e inaccettabili quanto a noi sembra folle che un ragazzo diciottenne, se ha il denaro sufficiente, possa legittimamente entrare in un’armeria e uscirne con una semiautomatica in tasca, ma che il medesimo giovanotto non possa bersi una birretta prima di aver compiuto il ventunesimo anno di età. Ad esempio ricordiamo tutti, credo, quante critiche suscitò negli U.S.A. il fatto che, al processo contro Amanda Knox e Raffaele Sollecito, i giurati non fossero ermeticamente isolati dal mondo, come avviene da loro, bensì, a udienze finite, potessero liberamente tornarsene a casa e avere accesso a informazioni veicolate dai media e discorrere del caso con chiunque, subendo così influenze di ogni tipo in grado di orientarne il giudizio. Lasciamo quindi stare il suprematismo bianco, altro slogan idiota, e i suoi lasciti, il 2° emendamento prescinde dalle origini degli americani, è una caratteristica di una carta costituzionale diversa dalla nostra, creata in una società differente dalla nostra, che possiamo trovare pazzesco o encomiabile ma che, di per sé, non ha plasmato quella società e quella cultura, ne è solo un aspetto, che spetterà, eventualmente, agli americani cambiare o mantenere.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *