Sorj Chalandon e il fantasma di suo padre

Avvenire, 22 febbraio 2019

Ci sono ferite interiori troppo dolorose per illudersi che il tempo possa riuscire a guarirle. Prima o poi diventa necessario tirarle fuori e gridarle al mondo, magari fino a trasformare quelle lacrime in letteratura. Sorj Chalandon ha atteso la morte di suo padre per scrivere una storia molto intima e personale che rivela sotto forma di romanzo i drammi della sua infanzia. In La professione del padre (Keller editore, traduzione di Silvia Turato) si è calato nelle vesti di Emile Choulans, un bambino di undici anni completamente succube di un padre mitomane, un uomo malato che vive sotto mentite spoglie e lo coinvolge in deliri paranoici fatti di trame sovversive e nemici immaginari. Che gli racconta di essere stato agente segreto, paracadutista, calciatore, maestro di judo, persino consulente politico di De Gaulle. Un uomo violento che vorrebbe fare di lui un soldato in lotta per impedire l’indipendenza dell’Algeria e lo costringe a vivere in un universo parallelo, obbedendo a tutte le sue manie. E mentre sua madre giustifica il marito (“Sai com’è fatto tuo padre”, gli ripete) ed è dunque complice dell’orrore, il piccolo Emile è condannato a un’infanzia priva di affetto, prigioniero di una realtà che non può comprendere, perché è un bambino. E anche perché la sua famiglia vive segregata in un orizzonte ristretto tra quattro mura, quasi del tutto priva di relazioni sociali e di contatti con il mondo esterno. “Mio padre, mia madre e io. Solo noi tre. Una minuscola setta con il suo leader e i suoi discepoli, i suoi codici, i suoi regolamenti, le sue leggi brutali, le sue punizioni. Un regno di tre stanze a tende tirate, polveroso, acre e chiuso. Un inferno”.
Costantemente in bilico tra commedia, tragedia e romanzo di spionaggio, La professione del padre è il ritratto agghiacciante di un uomo affetto da gravi disturbi mentali visto attraverso lo sguardo innocente di un figlio che prova per lui un misto di rispetto, paura e attrazione. Rispetto, perché gli fa credere di guidare la resistenza francese in Algeria, di essere amico dei potenti, e lo coinvolge in missioni segrete immaginarie. Paura, perché lo picchia, lo rinchiude nell’armadio di camera sua (“la casa correttiva”) ma anche perché teme di deludere le sue aspettative e di non meritare il suo amore. “Piangevo di dolore dopo le botte. Di rabbia, anche. Ma mai di disperazione. La tristezza non faceva parte della punizione”. La scrittura di Chalandon è lucida, spietata, quasi chirurgica nell’accuratezza con la quale racconta in prima persona la vita accanto a quell’uomo. Senza giudicarlo mai, con un distacco che appare sorprendente, considerando che si tratta di una vicenda autobiografica. Gli ultimi capitoli del libro rivelano un Emile ormai divenuto adulto, che prende le distanze dalla sua famiglia e si costruisce una vita normale. Ma anche dopo tanti anni sarà chiamato a fare i conti con l’ingrombrante presenza del padre. Sorj Chalandon è stato per oltre trent’anni inviato di guerra del quotidiano “Libération” e in Francia è ormai diventato un romanziere di successo. Alcuni dei suoi libri precedenti sono già stati tradotti anche in italiano da Mondadori e da Keller (tra questi anche La quarta parete, che si è aggiudicato il premio Terzani nel 2017).
RM

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