Avvenire, 14 febbraio 2020
In un giorno di sole la passeggiata lungo il fiume Corrib sembra trasformare la città di Galway in un’isola. I pescatori di salmoni sono allineati in piedi, davanti al grande estuario che si affaccia sull’oceano e lascia intravedere in lontananza quel porto da cui alla metà dell’Ottocento salparono in migliaia, per sfuggire alla più grave carestia dell’Europa contemporanea. Affrontarono traversate apocalittiche stipati su navi-colabrodo che per varcare l’oceano potevano impiegare anche più di due mesi. Nessun evento storico recente è rimasto scolpito nella memoria irlandese più della “Grande fame” che in pochi anni cancellò un terzo della popolazione del paese. Di quel dramma epocale Galway fu uno dei crocevia principali, perché al tempo era il cuore della parte più povera e arretrata dell’Irlanda. Ma già due secoli prima quel porto che per tutto il Medioevo era stato il principale scalo commerciale del paese era diventato un luogo di dolore. Proprio da lì, chi era sopravvissuto alle scorrerie degli eserciti di Cromwell finì deportato come schiavo nelle Indie Occidentali. Tra i pochi che ebbero la fortuna di far ritorno a casa, alla fine del ‘600, c’era anche un giovane di nome Richard Joyce, discendente di una delle più antiche famiglie della città e destinato a diventare un orafo di successo. Sarebbe stato lui a rendere popolare in tutto il mondo il Claddagh ring, l’anello di fidanzamento irlandese con due mani che abbracciano un cuore sormontato da una corona, simbolo della trinità di amore, amicizia e lealtà. Una vera e propria istituzione cittadina che ancora oggi brilla nella mano sinistra di molti irlandesi. “In quegli stessi anni – ci spiega Liam Silke, decano delle guide turistiche cittadine – la fatale sconfitta del re cattolico Giacomo II e il consolidamento del dominio protestante sull’isola segnarono l’inizio del lungo declino di Galway, destinato a durare fino agli ultimi anni del XX secolo”. Anche per questo l’antico impianto urbanistico medievale di Gaillimh – così si chiama la città in irlandese – è rimasto in gran parte inalterato. Il suo centro cittadino è uno dei più caratteristici e meglio conservati di tutto il paese, con le tradizionali case in pietra calcarea disseminate tra le antiche strade e i vicoli in acciottolato nei quali è ancora possibile cogliere l’anima rurale e profonda dell’Irlanda gaelica. Mescolata però all’atmosfera “brillantemente bohemien”, come ha scritto di recente Lonely Planet, indicandola tra le migliori destinazioni del mondo nel 2020. Ma anche le influenze straniere non mancano. James Joyce visitò la città con la famiglia nell’estate del 1912 e la descrisse così in un famoso articolo uscito su Il Piccolo della Sera: “Nel Medioevo queste acque erano solcate da migliaia di navi straniere. Le targhe alle cantonate delle strade anguste ricordano i rapporti della città con l’Europa latina: via di Madeira, strada dei mercanti, passeggio degli spagnoli, via dei lombardi, viale Velazquez de Palmeira”.
Davanti al ponte Wolfe Tone è stata eretta una pietra in memoria di Cristoforo Colombo, che passò di qui nel 1477, prima di salpare per le Americhe. Oltrepassato il fiume si raggiunge lo splendido Arco spagnolo, i cui resti si ergono nel punto esatto in cui nel Medioevo avvenivano gli scambi commerciali. Pochi passi più in là prende forma il Quartiere latino, dove le tracce del passato si mescolano alle bandiere e ai colori della capitale europea della cultura 2020. “Oggi Galway ha la più alta concentrazione di parlanti la lingua irlandese ma circa un quarto della sua popolazione è nato fuori dall’Irlanda”, ci dice Helen Marriage, direttrice creativa di Galway 2020. “Non a caso uno dei temi che abbiamo scelto per quest’anno culturale è la migrazione. Vogliamo celebrare la storia migratoria di quella che è stata definita una ‘città di eguali’ perché promuove da sempre il rispetto delle diverse culture che la abitano”. E se durante il Medioevo il volano del confronto con il mondo esterno era rappresentato dagli scambi commerciali, oggi è invece la cultura ad alimentare il cosmopolitismo di quest’antica città affacciata sull’Atlantico. Circa ventimila studenti provenienti da tutto il mondo sono iscritti all’University College Galway, une delle più vecchie e prestigiose università di tutta l’Irlanda. Spesso si danno appuntamento in Eyre square, la grande piazza del centro che è anche il punto nevralgico della città. Detta anche ‘Kennedy square’ in onore del presidente degli Stati Uniti che la visitò nel 1963, poche settimane prima di essere ucciso, la piazza disegna un’ampia area quadrata con alberi, prati e monumenti. Al centro fanno bella mostra di sé una statua di Padraig O Conaire – autore di alcuni dei più famosi romanzi e racconti in lingua irlandese del ‘900 – e una scultura metallica che sembra ondeggiare su una fontana, evocando le tipiche vele rosse di un “hooker”, la barca da pesca tipica della regione. All’angolo tra Abbeygate street e Shop street si trova invece il Lynch castle, uno dei più bei castelli rimasti all’interno dei centri cittadini del paese. Anche in un piovoso giorno d’inverno qui non mancano quasi mai i musicisti di strada. “Alcuni anni fa a suonare in Shop street si vedeva spesso un ragazzino inglese destinato ad avere una grande carriera”, ci racconta Donnchadh, l’anziano gestore di un pub. “Si chiamava Ed Sheeran”. In estate Galway ospita da oltre quarant’anni anche un prestigioso festival internazionale delle arti che non ha niente da invidiare a quello di Edimburgo. Per settimane le strade e i locali si riempiono di musica e spettacoli di teatro, danza e arti visive. Gli amanti della letteratura non possono invece mancare una visita alla bellissima Charlie Byrne’s, da tempo considerata la miglior libreria indipendente di tutta l’Irlanda. Da lì si raggiunge a piedi in pochi minuti una strada popolare con edifici dai tetti bassi denominata Bowling Green. Al numero 8 c’è la modesta casa – due stanze e un piccolo giardino sul retro – dove fino al 1904 visse Nora Barnacle, prima di trasferirsi a Dublino e diventare la moglie di James Joyce. Oggi è un piccolo museo con arredi di inizio secolo e oggetti legati all’autore di Ulysses. Svoltato l’angolo, accanto al vecchio mercato, si erge la più antica chiesa medievale tuttora in uso in Irlanda: la Collegiata di San Nicola. Eretta nel 1320 e ampliata nel XV secolo, nel 1652 fu trasformata in una stalla per i cavalli dell’esercito di Cromwell dopo l’assedio della città. Passò poi ai protestanti, seguendo il destino di molte altre antiche chiese irlandesi. Adesso ospita le funzioni degli anglicani della Chiesa d’Irlanda e degli ortodossi russi e romeni. Bisogna invece uscire dalla cerchia delle mura medievali per imbattersi nell’imponente e moderna cattedrale cattolica della Madonna Assunta in Paradiso e San Nicola. Realizzata in pietra calcarea grigia, ha una forma che si ispira alle chiese rinascimentali, ed è stata consacrata soltanto nel 1965.