Non molto tempo fa la gente credeva che l’apartheid non sarebbe mai finito. Che Mandela non sarebbe mai stato liberato. Che la Germania sarebbe rimasta divisa per sempre. Che in Irlanda non ci sarebbe mai stata la pace. Guardando tutto quello che è avvenuto, quasi repentinamente, in poco più di un decennio a cavallo tra la fine degli anni ’80 e la fine dei ’90, non è impossibile essere ottimisti anche nei confronti della riunificazione dell’Irlanda. Almeno queste sono state le conclusioni della conferenza sulla riunificazione dell’Irlanda che si è tenuta nei giorni scorsi a Londra, cui hanno preso parte politici, studiosi ed esperti alla presenza di numerose centinaia di persone. Pat Doherty di Sinn Fein, ha fatto gli onori di casa, in qualità di rappresentante di spicco del partito che aveva organizzato l’iniziativa. Premettendo che l’Accordo del Venerdì Santo è stato un compromesso, più che un vero e proprio accordo, il membro dell’assemblea di Stormont ha confermato che l’impegno per la riunificazione del paese rimane una priorità per Sinn Féin. Una premessa doverosa sulla cui sincerità non dovrebbe essere lecito dubitare, visto che l’obiettivo centrale dei repubblicani (la riunificazione dell’isola e la definitiva cacciata degli inglesi) sembra oggi lontano e tiene costantemente innescata la minaccia dei gruppi dissidenti.
Le analisi di carattere economico sono state inevitabilmente al centro del dibattito. Di fronte ai pesanti tagli imposti dal governo di Dublino, alla crisi che attanaglia una “Tigre celtica” sempre più sdentata, potrebbe sembrare oggi ancora più difficile far accettare la riunificazione alla riluttante galassia unionista. La pensa in modo diametralmente opposto l’economista Michael Burke, che nel suo intervento ha spiegato molto efficacemente come il controllo britannico abbia avuto effetti devastanti per l’economia nordirlandese. La qualità della vita, in Irlanda del nord, rimane di gran lunga al di sotto di quella britannica e di quella della Repubblica, dove l’indipendenza ha favorito la diversificazione del commercio e uno sviluppo economico che altrove è stato impossibile proprio a causa del controllo britannico. Nonostante gli attuali tempi di crisi, nel 2009 gli stipendi medi settimanali sono stati di 532 sterline nella Repubblica, di 357 al Nord e di 397 in Gran Bretagna. Ma gli studiosi e i politici che si sono alternati negli interventi della conferenza di Londra non si sono limitati al tentativo di persuadere la comunità unionista che un’Irlanda unita sarebbe anche nel loro interesse, ma hanno ribadito a più riprese parole di tolleranza e inclusione. Riconoscendo che persino il settario Ordine d’Orange rappresenta una parte dell’identità irlandese. Alla fine, tutti convinti che il processo è lento ma inarrestabile e che in futuro l’Irlanda tornerà unita. È solo una questione di tempo. E sarà senz’altro interessante capire quale sarà l’atteggiamento di Londra nei confronti di questo processo: lo favorirà o cercherà in tutti i modi di ostacolarlo?
RM
Credo che lo favorirà…..gli “irlandesi” hanno imparato a costruire con l’impossibile una realtà possibile. A Belfast i giovani sono già nel futuro che gli adulti ancora tentano di fermare.
un abbraccio per tutti
Graziella