Bobby Sands: gli scritti inediti

Infine ce l’abbiamo fatta. Tra i mille ostacoli che si erano frapposti tra l’idea, il progetto e la sua realizzazione pratica ci si era messa persino la pandemia, ritardando l’uscita di alcuni mesi. Ma adesso, finalmente, è uscito.
Scritti dal carcere. Poesie e prose è il libro con i testi di Bobby Sands ancora inediti in Italia. L’ho curato insieme all’amico Enrico Terrinoni per le edizioni Paginauno, un’opera – con prefazione anch’essa inedita di Gerry Adams – che non avrebbe mai visto la luce senza la passione, l’ostinazione e il lavoro di Sara Agostinelli. Enrico ha tradotto le prose e ha scritto la postfazione, io mi sono occupato di tradurre i testi in prosa e di realizzare l’introduzione, della quale trovate una sintesi qui:

     Un giovane uomo avvolto in una coperta passeggia lentamente, a piedi nudi, nei pochi metri quadrati della sua cella, cercando di scansare i vermi e gli escrementi ammucchiati negli angoli del pavimento reso scivoloso dall’urina. Le sue narici sono ormai assuefatte all’odore nauseabondo di quel piccolo spazio chiuso, dal quale non esce quasi mai. Poi si ferma, si gratta la lunga barba e inizia a scrivere su uno spicchio di muro ancora vuoto. Stringe tra il pollice e l’indice la ricarica di una penna a sfera dalle dimensioni minuscole, circa due centimetri, che teneva nascosta all’interno del suo corpo. Mentre scrive resta in allerta, le orecchie ben tese, per captare ogni minimo rumore. I secondini possono piombargli in cella da un momento all’altro, confiscargli i suoi preziosi strumenti di scrittura e picchiarlo a sangue. Non appena riuscirà a tornare in possesso di una cartina di sigaretta o di un pezzo di carta igienica ricopierà le parti migliori di quanto ha scritto e cercherà di farle uscire all’esterno.
Viene da chiedersi come sia stato possibile, in circostanze simili, mantenere la concentrazione e la lucidità necessarie alla scrittura di testi politici, e ancor più per comporre opere letterarie. All’interno dei Blocchi H, i “gironi infernali” del carcere di Long Kesh nei quali a partire dal 1976 furono rinchiusi in condizioni bestiali i repubblicani irlandesi impegnati nella lotta di liberazione, non era consentito scrivere, non venivano forniti fogli, né penne, né alcun materiale di lettura. Eppure Bobby Sands riuscì comunque a raccontare al mondo la sua condizione e quella dei suoi compagni, consegnandoci una testimonianza memorabile, che è anche uno straordinario atto d’accusa nei confronti dello stato britannico. Durante le interminabili giornate in cella utilizzò la scrittura come strumento di lotta e di resistenza ma anche come terapia per cercare di sfuggire – almeno con l’immaginazione – alle mostruose condizioni nelle quali fu costretto a vivere per essersi rifiutato di accettare il regime carcerario imposto dagli inglesi. Di fronte alla quotidiana violenza dei secondini la parola era rimasta l’unica arma per conservare la dignità, e attraverso di essa i prigionieri riuscirono a sentirsi più forti del sistema che voleva ridurli al silenzio, sottomettendoli a regole che loro non erano disposti ad accettare.
La scrittura divenne un atto supremo di resistenza anche perché si svolse nella totale clandestinità. Per cercare di sopravvivere all’interno del carcere di massima sicurezza di Long Kesh, Bobby Sands e i suoi compagni fecero ricorso a stratagemmi talmente ingegnosi da risultare quasi incredibili, e destinati a diventare leggendari. Una minuscola nota scritta su un pezzo di carta igienica poteva esser fatta circolare da una parte all’altra del braccio, ripiegata all’interno di un piccolo opuscolo religioso. Uno degli oggetti più preziosi in carcere erano però le cartine da sigarette fatte entrare di contrabbando perché consentivano di fumare e, al contrario della carta igienica, avevano una consistenza che permetteva di scrivere su entrambi i lati. Una volta compilati, i testi venivano poi fatti uscire all’esterno nello stesso modo in cui erano stati fatti entrare, ovvero avvolti in una minuscola pellicola trasparente e nascosti nel corpo dei prigionieri, che li passavano clandestinamente ai familiari durante le visite. Nei Blocchi H la carta era una materia prima assai scarsa e nel loro tentativo esasperato di risparmiare spazio, i manoscritti dei prigionieri politici repubblicani richiamano alla memoria i primi testi monastici del Medioevo. Bobby Sands era capace di far entrare fino a trecento parole sul lato di una cartina da sigaretta. Spesso scriveva senza interruzioni tra un paragrafo e l’altro, non perché ignorasse le più basilari regole grammaticali ma perché la forma e la correttezza ortografica erano diventate un lusso che non poteva più permettersi. (CONTINUA)

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