Scontri a Gerusalemme: la realtà capovolta

Quando i riflettori periodicamente tornano ad accendersi sulla “questione mediorientale“, come veniva chiamata negli anni ’80, riferendosi al conflitto israelo-palestinese, c’è qualcosa che si ripete costantemente. Un frullatore mediatico indistinto in cui l’ordine delle parole, la sequenza dei fatti, nell’apparente confusione, è tutt’altro che casuale. L’uso del linguaggio nei media è fortemente ideologico: non dà informazione, conferma una visione delle cose di una parte, cesella la realtà parziale in un quadro immutabile per la percezione dell’opinione pubblica distratta.
E così da tutto il mainstream risuonano solo alcune parole chiave: “scontri tra palestinesi e forse di sicurezza israeliane”, “lancio di razzi da Gaza”, “minacce di Hamas, “leader mondiali invitano alla moderazione entrambe le parti”, “diritto di Israele a difendersi”.
Questa sequenza di parole è la stessa che si ripete identicamente nel tempo, ogni volta che mediaticamente i riflettori si accendono su quell’area del mondo.
E questa sequenza, sfalsata temporalmente, decontestualizzata, deformata, viene presentata come informazione, cronaca. Con quale risultato? Cosa sta succedendo in questi giorni a Gerusalemme e in tutti i territori occupati? Nessuno sa di cosa si sta parlando realmente. L’unica cosa che risuona dalla grancassa è che c’è un “conflitto irrisolto tra palestinesi e israeliani”; una sorta di parità tra contendenti in cui però uno dei due è guidato da terroristi senza scrupoli e l’altro si difende.
Le esplosioni di violenza a Gerusalemme sono presentate come se fossero una casualità estemporanea, come si trattasse di incidenti temporanei e non di natura strutturale.
Ma allora proviamo a fare ordine su tutte queste parole, su questi numeri che ci vengono presentati, sui fatti.

Scontri tra palestinesi e forze di sicurezza israeliane
Che scontro ci può essere se i palestinesi non hanno nemmeno un esercito effettivo, mentre Israele può contare su “Tsahal”, tra i meglio equipaggiati al mondo? Le forze israeliane hanno preso d’assalto la moschea di Al-Aqsa alla Porta di Damasco della Città Vecchia e nel quartiere di Sheikh Jarrah il 7 maggio durante la preghiera del Ramadan, un luogo e una giornata molto simbolica per i fedeli musulmani.
Un fatto gravissimo e, come ha riportato la BBC, i manifestanti palestinesi in risposta “hanno lanciato pietre contro la polizia”, mentre gli ufficiali israeliani “hanno risposto con granate assordanti, proiettili di gomma e cannoni ad acqua“. Uno “scontro” che ha fatto oltre 205 feriti tra i palestinesi, di cui 88 gravi, e di 17 feriti lievi tra gli israeliani.
Ogni volta che sui principali media si sente parlare di “scontri tra palestinesi e israeliani“, la mente vola immediatamente ad una scena di “Provaci ancora Sam” in cui Woody Allen, finito accidentalmente in una rissa, lo racconta agli amici: “A uno gli ho dato una botta col mento sul pugno, a un altro una nasata sul ginocchio“.
L’irruzione dell’esercito israeliano nella moschea di al-Aqsa a Gerusalemme

Lancio di razzi da Gaza. Diritto di Israele a difendersi
I famigerati razzi Qassam che conquistano le prime pagine dei giornali periodicamente, sono una sorta di caffettiera a razzo autoprodotta, con una funzione simbolica: non mostrarsi inermi davanti allo strapotere militare avversario, e spaventare la popolazione israeliana. I 250 razzi sparati in queste ore hanno provocato qualche ferito in tutta Israele. Nelle stesse ore gli attacchi ordinati da Netanyahu verso Gaza hanno ucciso 20 palestinesi, tra cui nove bambini, e ne ha feriti altri 65. E il bilancio cresce di ora in ora.
Sia chiaro, ogni vita umana per noi è sacra, non facciamo alcuna apologia al martirio di nessuno. La vita di un cittadino israeliano per noi è sacra come quella di qualsiasi altro essere umano. Ma in questa narrazione, si può dire che la vita di un palestinese abbia lo stesso valore?
Come si può parlare di scontri? Come si può chiedere a “entrambe le parti moderazione” ? Ci può essere moderazione in uno scontro tra lo stivale del contadino e il formicaio?!

Scontri a Gerusalemme: perché è tornata la violenza?
L’esplosione di violenza degli ultimi giorni, di una portata mai vista dopo le intifada degli anni ottanta e duemila, ci riporta alla narrazione del tutto asimmetrica della violenza nella regione: la violenza è tornata perché non è mai cessata.
In ballo c’è la questione Gerusalemme Est, considerata come territorio occupato dalla risoluzione 242 delle Nazioni Unite ma annessa da Israele dopo la guerra del 1967. Lì vivono 250mila palestinesi, e la nuova ondata di violenze è nata per l’attacco contro il quartiere storico di Sheikh Jarrah da parte di estremisti israeliani legati a Benjamin Netanyahu e decisi a espellere i palestinesi da Gerusalemme.
Questi gruppi stanno cercando di riappropriarsi di alcune abitazioni occupate prima del 1948 in nome di una legge che non prevede alcuna reciprocità: i palestinesi che si sono trasferiti nel quartiere dopo essere stati espulsi da Gerusalemme Ovest nel 1948 non hanno alcun diritto.
Il 10 maggio la corte suprema israeliana avrebbe dovuto emettere il suo verdetto in merito a una tentativo legale di espulsione di tredici famiglie palestinesi di Sheikh Jarrah, ma la decisione è stata rinviata a causa delle violenze degli ultimi giorni.
Le famiglie palestinesi, ricche o povere, cominciano a perdere le case in cui hanno vissuto per decenni a Sheik Jarrah, Silwan e altri quartieri.
Appoggiati da progressisti israeliani, i palestinesi hanno lottato a lungo invano nei tribunali. Adesso l’estrema destra è l’alleata dei coloni che hanno occupato gli edifici e altri scontri saranno inevitabili. La spoliazione per legge è un detonatore, con Israele che ripete: abbiamo un nostro sistema legale e la Corte internazionale di giustizia non deve intervenire. Questo è l’urlo che arriva da Gerusalemme, un urlo che nessuno vuole ascoltare.

(da Kulturjam.it)

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