Un’intera nazione sconvolta dal rapporto della Commissione sugli abusi sui minori, secondo cui stupri e molestie erano “endemici” nelle scuole industriali e negli orfanotrofi gestiti dalla Chiesa cattolica. Il noto editorialista dell’Irish Times Fintan O’Toole si chiede come possa una società aver consegnato i propri figli a “un sistema di terrore”.
Il sadismo organizzato inflitto ai bambini dalla Chiesa cattolica e dallo stato, rivelato dalla Commissione sugli abusi sui minori, è troppo grave per essere accettato. Tra il 1936 e il 1970, 170mila bambini sono stati consegnati alle circa 50 scuole industriali, più di un bimbo su cento nella fascia d’età in questione. Dato che le cifre sono difficili da concepire, è meglio concentrarsi su singole immagini. Uno dei Padri si era arrabbiato con un alunno troppo lento a rispondere: “Colpì il ragazzo, gli prese la testa e la sbattè contro il banco. I calamai si rovesciarono, era tutto coperto di sangue e inchiostro.” Il ricordo di un bimbo dell’uomo che lo picchiava: “Era come un lupo. Spalancava le mascelle e mostrava i denti…” Il Padre che accese la radio a tutto volume quando un bambino gli fu portato in stanza. Gli disse: “togliti quel pigiama, puoi gridare quanto ti pare, piccolo bastardo”.
Che problema aveva una società che si permetteva di consegnare dei bambini a un tale sistema di terrore? L’Irlanda, fresca d’indipendenza, gestiva un sistema di campi di prigionia per ragazzi, caratterizzati da violenza arbitraria, profonda depravazione e un senso di assoluta impunità. Simili istituzioni sono solitamente associate al totalitarismo. L’Irlanda non era un regime totalitario, ma ne riprodusse le caratteristiche, specialmente per i bambini poveri. I metodi in uso nelle scuole industriali ricordano i campi di concentramento: le teste rasate, il ricorso all’umiliazione e al disorientamento per distruggere il senso dell’identità degli ospiti, l’uso dei cani, il pestaggio dei ragazzi appesi alle pareti.
Come abbiamo potuto creare questo sistema totalitario? La risposta più semplice è parlare di mostri. Ma le suore e i Padri che gestivano questi campi di prigionia erano figli di normali fattorie, botteghe e strade. Erano bravi figli di buone famiglie, che avevano fatto la gioia dei propri genitori quando avevano preso i voti. La maggior parte di essi non erano dei sadici all’inizio. Impararono, come i torturatori hanno sempre imparato, a deumanizzare le proprie vittime e a considerare normale l’orrore. Questo senso di normalità era rafforzato dalle dinamiche di gruppo in cui quelli che si sono macchiati di violenza mettono pressione sugli altri. Un Padre ha raccontato alla commissione “un incidente in cui i suoi colleghi erano scoppiati in un applauso quando avevano appreso che aveva punito un alunno prendendolo a pugni in faccia – non aveva mai fatto ricorso a metodi brutali prima di allora.”
Le informazioni circolavano costantemente. Non solo il Dipartimento d’istruzione sapeva benissimo delle violenze, ma anche lo stato e la chiesa. Alla fine degli anni sessanta sia il primo ministro Eamon De Valera e l’arcivescovo di Dublino McQuaid erano stati informati personalmente. La cultura della brutalità non sarebbe sopravvissuta alla divulgazione di queste notizie se non fosse stato per tre ragioni: potere, sesso e classi sociali. I colpevoli godevano dell’immenso potere della chiesa, che divenne un velo d’impunità. La violenza delle istituzioni era un’espressione di potere assoluto. Un Padre ha dichiarato alla commissione che “poter pestare i ragazzi lo faceva sentire potente”. Il grado di perversione che veniva spesso raggiunto fa pensare a gente poco abituata ad avere potere. Figli di una società colonizzata, con un forte senso d’inferiorità, membri di una struttura religiosa autoritaria, alcuni di loro cominciarono a vedere il loro potere come la libertà di fare qualunque cosa. In un caso, un Padre costrinse un dodicenne a leccare degli escrementi dalle sue scarpe. In una cultura in cui si poteva fare qualsiasi cosa, non c’era niente che uno non avrebbe fatto. Il secondo elemento era il sesso, un odio del corpo di carattere religioso, espresso dalle sofferenze che i Padri infliggevano ai corpi dei loro sottoposti. C’era una sessualità perversa che oscillava tra l’ossessione della purezza e quella della predazione sessuale. Un testimone ha dichiarato alla commissione: “La mia prima esperienza sessuale è stata essere stuprato da Padre Dax in cucina, schiacciato contro una caldaia che mi ha ustionato una gamba.”
Il terzo elemento era la classe sociale. Era una società in cui la classe media esprimeva l’insicurezza del proprio status con un isterico disprezzo dei poveri. La violenza era alimentata da un odio psicotico verso tutto ciò che non era conforme al modello della rispettabile famiglia cristiana. A Goldenbridge si diceva alle ragazze che erano “sporche”, “peggiori dei soldati che crocifissero Cristo”. I ragazzi figli di madri single si sentivano dire che le loro genitrici erano “vecchie troie”. Questi perversi rapporti di potere, sesso e classe sociale affioravano con una chiarezza da incubo nelle istituzioni, ma erano intessute nella trama stessa della società. Erano il lato oscuro di una Repubblica d’Irlanda che non era mai davvero diventata tale.
Io sono rimasto senza parole di fronte a questo scritto.
E non parlo solamente dello scritto in se, già aberrante, ma parlo proprio di come queste notizie non siano messe in prima pagina o nelle prime di quotidiani o simili.
E’ vero che un reato commesso da un “Prelato” è psicologicamente 10 volte maggiore, ma qui si sfocia in una violenza gratuita e per giunta sadica.
Non so, fa quasi paura. Paura.