Venerdì di Repubblica, 22 gennaio 2021
Forse neanche la Securitate, la polizia segreta di Ceausescu, sarebbe riuscita a organizzare meglio dei tifosi della Dinamo Bucarest il salvataggio della squadra che fu del Ministero dell’Interno romeno ai tempi del regime. In passato i “cani rossi” di Bucarest vincevano uno scudetto dopo l’altro e si facevano rispettare in tutti i campi d’Europa. Ma adesso si trovano sommersi dai debiti e per evitare la bancarotta i tifosi hanno costituito l’associazione DDB – Doar (“Solo”) Dinamo Bucarest –, impegnandosi in un’originale forma di azionariato popolare che prevede anche l’acquisto dei biglietti per le partite casalinghe del campionato. Partite alle quali ovviamente non possono assistere, perché lo Stadionul Dinamo della capitale rumena è chiuso al pubblico come quasi tutti gli impianti del mondo. Unica superstite del calcio dei tempi della Guerra fredda, la Dinamo era una delle due squadre-simbolo del regime, protagonista del cosiddetto Marele derby, il “derby eterno” con l’altro club della capitale, la Steaua. Un match che divideva anche la famiglia Ceausescu perché Nicu, figlio adottivo del dittatore e capo della polizia segreta, tifava per la Dinamo mentre il fratello minore Valentin dettava legge all’interno della Steaua. Tra corruzione, trasferimenti sospetti e azionisti in galera per riciclaggio, la storia della Dinamo Bucarest è un paradigma della crisi del calcio romeno. La sua permanenza in vita è appesa a un filo ma l’associazione dei tifosi – oltre 12mila affiliati – ha rilevato il 20 percento delle quote societarie e può contare anche sul sostegno di una vecchia conoscenza del calcio italiano (l’attaccante Massimo Maccarone). Oggi, a stadio chiuso, sta vendendo molti più biglietti di quando l’impianto era regolarmente aperto, prima della pandemia. Un vero toccasana per le disastrate casse del club, che nei mesi scorsi è stato ceduto a un immobiliarista spagnolo per la cifra simbolica di 20 centesimi di euro con la promessa del risanamento finanziario.