Due giorni fa migliaia di persone si sono radunate lungo le strade di Sarajevo, in Bosnia, per assistere al passaggio di tre mezzi che trasportavano i resti di 409 persone morte nella strage di Srebrenica, nel 1995, e identificate negli ultimi dodici mesi. Le bare erano dirette al piccolo comune di Potocari, vicino al luogo della strage, dove giovedì 11 luglio si terrà – nel 18esimo anniversario della strage – l’annuale cerimonia di sepoltura dei cadaveri identificati nel corso dell’anno.
La riesumazione e l’identificazione dei morti nella strage di Srebrenica negli anni Novanta dal Tribunale Penale Internazionale per la ex-Jugoslavia, ma negli ultimi anni è passata sotto la responsabilità delle autorità bosniache. Le fosse comuni in cui vennero sepolti i morti di Srebrenica dai serbo-bosniaci sono numerose e sparse per tutto il territorio circostante al paesino. In alcuni casi, nel tentativo di nascondere l’entità della strage e le responsabilità, gli autori del massacro scavarono nuove fosse in cui trasferirono parte dei morti, complicando ulteriormente le procedure di ritrovamento e identificazione.
Galleria fotografica: la cerimonia del 2008
Le prime identificazioni, alla fine degli anni Novanta, vennero effettuate con una procedura lenta e piuttosto inaccurata: gli effetti personali trovati nelle fosse comuni venivano fotografati e le immagini venivano poi fatte circolare in volumi tra le comunità locali. Se qualcuno pensava di poter associare un oggetto a un suo parente, veniva effettuato un test del DNA per cercare di stabilire l’identità. Solo nel 15 per cento dei casi si otteneva però un’identificazione sicura.
La svolta è arrivata a partire dal 2001, con i test del DNA computerizzati. Gran parte del lavoro di identificazione si svolge oggi nelle due strutture di Tuzla (alcune decine di chilometri a nordovest di Srebrenica) della Commissione Internazionale per le Persone Scomparse, creata nel 1996, un’organizzazione internazionale che si occupa tra le altre cose delle molte migliaia di corpi da identificare nella guerra combattuta in Bosnia. Nel Centro per il coordinamento dell’identificazione, una quindicina di antropologi bosniaci e stranieri, insieme a diversi tecnici, lavorano sui resti dei corpi, prelevando DNA e confrontandolo con circa 90 mila campioni di parenti di persone scomparse.
In totale, il laboratorio di Tuzla ha contribuito a identificare i resti di circa 14 mila persone morte nella guerra in Bosnia: di queste, 6.877 sono state uccise nella strage di Srebrenica. Il numero dei morti nella strage è stimato intorno a 8.100 persone.
Nel 1995, a Srebrenica, le forze militari serbo-bosniache guidate da Ratko Mladic organizzarono il massacro di migliaia di musulmani bosniaci. All’epoca era in corso la guerra di Jugoslavia e la zona di Srebrenica era sotto la tutela delle Nazioni Unite, presenti con tre compagnie olandesi di caschi blu. L’area era diventata protetta a partire dal 1993, in seguito a un’offensiva serba che aveva indotto le forze bosniache a ritirarsi e lasciare il controllo all’ONU. L’attacco delle forze guidate da Mladic iniziò il 9 luglio e due giorni dopo le truppe serbo-bosniache entrarono in città. Dopo aver separato gli uomini adulti dalle donne, dai bambini e dagli anziani, iniziò il massacro che portò all’uccisione di oltre 8 mila persone. Le forze dell’ONU non intervennero per ragioni che non sono mai state chiarite fino in fondo. Secondo la versione ufficiale, i 600 caschi blu nella zona non erano preparati e armati a sufficienza per affrontare le forze serbo-bosniache.