Venerdì di Repubblica, 5 giugno 2020
In Bosnia c’è ancora chi preferisce onorare i carnefici piuttosto che commemorare le vittime. È una guerra della memoria che si combatte anche con le armi della toponomastica, nel tentativo di riscrivere la storia degli anni ‘90. Nella Repubblica Srpska, l’entità a maggioranza serba del paese, si replica alle sentenze del tribunale dell’Aja intitolando strade e luoghi pubblici ai criminali condannati per genocidio. Per celebrare il generale Ratko Mladic – il cui processo d’appello è atteso nelle prossime settimane – è stato eretto un monumento alto più di tre metri nel suo villaggio natale, Kalinovik. Nella cittadina di Pale, a pochi chilometri da Sarajevo, c’è una residenza studentesca intitolata a Radovan Karadzic, la cui condanna all’ergastolo per genocidio è stata ribadita anche in appello. Ma questi sono soltanto gli episodi di revisionismo più lampanti. Secondo una recente ricerca del Balkan Investigative Reporting Network, una rete di Ong che promuove i diritti umani e la libertà di informazione, decine tra vie, piazze, parchi e strutture pubbliche sono già state dedicate a criminali di guerra meno noti e a battaglioni responsabili delle mattanze di civili. Come la città di Bjeljina, che ha persino una strada intitolata al famigerato gruppo paramilitare delle ‘tigri di Arkan’. Gli autori della ricerca non hanno dubbi: “legittimando i criminali si vanifica ogni speranza di riconciliazione”.