Un lungo lavoro investigativo. A cui ha partecipato anche un fotografo italiano. Ecco come sono stati ritrovati gli aerei e i piani di volo usati dalla giunta militare argentina per eliminare gli oppositori.
(Gigi Riva, “L’Espresso”)
Otto nomi di piloti che tornano, con cadenza regolare, sulla ‘planilla para historial de aeronave’, il brogliaccio dove viene riportata tutta l’attività di un velivolo. Solo che lo Skyvan PA-51 non è un aereo normale perché quando era di proprietà della Prefectura Naval Argentina tra il 1976 e il 1983 è stato utilizzato per i ‘vuelos de la muerte’ con cui almeno 5 mila oppositori della dittatura militare sono stati gettati, tramortiti ma vivi, nell’Oceano Atlantico. Tornata la democrazia nel paese sudamericano, gli alti ufficiali della ‘junta’ hanno sempre sostenuto che quelle carte erano state distrutte. Trent’anni di bugie per coprire le responsabilità, a diversi livelli, di uno dei crimini più odiosi della storia recente. Invece i documenti, preziosissimi, sono riapparsi, in seguito a un lungo lavoro investigativo, durato tre anni in vari continenti, condotto da un fotografo italiano, una ex desaparecida e un ricco signore col gusto della verità.
Foto di Giancarlo Ceraudo
Modello dell’aereo, numero di serie, giorno, itinerario, nome del comandante, durata della missione: tutto è stato registrato. E adesso è un formidabile atto d’accusa. I giuristi già le hanno definite “le carte più importanti sulla dittatura ritrovate negli ultimi dieci anni”. Un premio Nobel per la Pace, Adolfo Pérez Esquivel, e il ricco signore, Enrique Piñeyro, rampollo della famiglia Rocca, li hanno consegnati al giudice istruttore di Buenos Aires Sergio Torres, lo stesso che ha condotto le indagini che hanno portato al processo, in corso, sulla Scuola di Meccanica della Marina (Esma), luogo di tortura e detenzione dei ‘desaparecidos’ (un processo è in corso in Italia in contumacia). Torres ha già chiesto, per rogatoria, gli originali dei piani di volo che si trovano negli Stati Uniti (e vedremo come ci sono arrivati). ‘L’espresso’ ha avuto modo di visionarli e conosce i nomi degli otto piloti. Erano, all’epoca, giovani tra i 25 e i 35 anni, hanno poi lasciato la Marina e fatto carriera nelle compagnie civili. Alcuni sono andati in pensione, altri sono ancora in attività e due, dipendenti dell’Aerolineas Argentinas, sono comandanti su rotte intercontinentali.
Toccherà alla magistratura stabilire chi di loro era davvero al posto di comando dei voli della morte. Per questo tacciamo i nomi. Il sospetto, comunque, è che tutti fossero coinvolti. Perché una delle prerogative del regime era la condivisione dei misfatti: in modo da essere uniti, in futuro, nel patto scellerato dell’omertà. I protagonisti dell’inchiesta sul filo della memoria hanno rintracciato cinque ‘aerei della morte’. Buonsenso, intuito, pazienza e molta passione gli ingredienti che hanno prodotto il risultato.
La storia inizia tre anni fa quando il fotografo romano Giancarlo Ceraudo si stabilisce in Argentina e decide di iniziare un lavoro sulla dittatura. Trascorre mesi nei centri di detenzione illegale, Olimpo, Club Atletico, Esma, Virrey Ceballo, dove sono passati i trentamila desaparecidos, luoghi adesso gestiti da comitati e associazioni per i diritti umani. Ritrae i sopravvissuti, le stanze dove furono torturati. All’Olimpo, garage per la revisione delle automobili della polizia, in via Ramon Falcon, nella zona di Floresta, grazie alla sua curiosità vengono recuperati, in uno scaffale nascosto, dei fogli con le spiegazioni tecniche dei lavori sulle Ford Falcon, le famigerate auto usate dalle squadre della morte per i sequestri di persona. Un piccolo frammento del tempo che fu. Oltre che dai racconti, è influenzato dalla visione del film ‘Garage Olimpo’ di Marco Bechis, con quell’ultima scena in cui i carcerati vengono trascinati dentro un aereo che decolla. Un riferimento esplicito ai voli della morte. Di cui, quattro anni fa, si sapeva solo quanto riferito da quello che in Italia definiremmo un pentito,Adolfo Scilingo, trentenne capitano all’epoca dei fatti. Nel 1995 aveva raccontato al giornalista Horacio Verbitsky di aver partecipato a due voli della morte in cui furono ammazzati rispettivamente13 e 17 prigionieri. E aveva aggiunto: “La decisione dei voli fu comunicata ufficialmente dal viceammiraglio dell’Armada Mendìa pochi giorni dopo il golpe del 1976. Ci è stato spiegato che le procedure per lo smistamento dei sovversivi nell’Armada si sarebbero svolte senza uniformi, indossando solo scarpe da ginnastica, jeans e magliette. I sovversivi non sarebbero stati fucilati per non aver gli stessi problemi avuti da Franco in Spagna e Pinochet in Cile”. E circa il modo: “Erano incoscienti. Li spogliavamo e, quando il comandante del volo ci dava l’ordine, aprivamo le porte e li gettavamo, nudi, uno alla volta. Questa è la storia vera, nessuno può negarla”.
Scilingo aveva acceso una luce sulla pagina forse più buia della dittatura. Aveva fornito delle tracce per chi volesse andare a fondo, compresi i tipi di velivoli usati, gli Skyvan e gli Electra della Lockheed. Curiosamente, nessuno le aveva volute seguire. Giancarlo Ceraudo parte da lì, il suo progetto fotografico, chiamato ‘Destino final‘ (dalla formula usata dalle compagnie aeree di lingua spagnola per indicare il punto di arrivo di un viaggio), è quello, adesso, di ritrovare gli aerei e i piloti. Viene affiancato da una giornalista, Miriam Lewin, origini ebraiche, 53 anni, sequestrata quando ne aveva 19 perché simpatizzante peronista, tenuta prigioniera per un anno a Virrey Ceballo dalla polizia federale e poi venduta alla Marina dell’ammiraglio Emilio Massera, nome in codice ‘Zero’, e, grazie alla conoscenza delle lingue, usata come traduttrice di giornali stranieri. In quella posizione conobbe alcuni tra gli ufficiali più feroci comeJorge Acosta detto ‘El Tigre’, il tenente Alfredo Astiz, ‘Angel’, assassino infiltrato nei gruppi delle madri di plaza de Mayo. Miriam adesso fa la giornalista, conduce il programma ‘Telenoche investiga’ per la rete Canal 13. Una giornalista, un fotografo. Che hanno però bisogno delle conoscenze, anche tecniche, di un personaggio assai noto in Argentina e dai multiformi interessi: Enrique Piñeyro. Nato a Genova 53 anni fa, Piñeyro è contemporaneamente medico, pilota, attore, regista e produttore. Fu lui a denunciare la compagnia per cui lavorava, la Lapa (Lineas aereas privadas argentinas) per la cattiva manutenzione dei velivoli e una serie di irregolarità. E quando, poco dopo, un aereo Lapa cadde, fu incaricato di fare l’inchiesta.
Il terzetto è ben assortito ma il suo lavoro andrebbe assai più a rilento se non esistesse, nel mondo, un gruppo di persone che dedicano gran parte delle loro energie nel seguire, dalla culla alla tomba, il destino di qualunque oggetto abbia le ali. Salvo poi pubblicare su Internet una biografia completa di ciascun aereo. Grazie alla Rete non è così complicato sapere cosa ne è stato degli cinque Electra della Marina. Uno è caduto durante la guerra delle Falkland-Malvinas, un altro è precipitato nel sud del Paese. Di un terzo si sono perse le tracce. Ne restano due. Uno, nome Ushuaia, ha trovato ricovero nel museo dell’Armada nella base ‘comandante Espora’ di Bahia Blanca, come se fosse un cimelio di cui menare vanto. L’ultimo, Rio Grande, ha avuto un curioso itinerario. È rimasto fermo all’aeroporto Ezeiza di Buenos Aires finché un privato ha deciso di acquistarlo per farne un ristorante, senza peraltro conoscere quale fu il suo impiego. Per trasportarlo sino al Camino de cintura, Buenos Aires, dove attualmente si trova, ha dovuto spendere un patrimonio. I costi di ristrutturazione per modificarlo si sono rivelati così alti che la strada di periferia dove è parcheggiato, sotto la vista dei cittadini della capitale, è anche diventato il suo cimitero.
Con gli Electra i militari si liberavano degli oppositori, gettandoli dal capace portellone posteriore. Gli Skyvan, invece, avevano il vantaggio di avere un portellone ventrale, comodo da aprire. Di questi la Prefectura Naval ne aveva cinque. Uno pure abbattuto alle Falkland, un altro scomparso mentre tre vengono acquistati, nel 1995, dalla lussemburghese Cae Aviation, una compagnia che li noleggia anche alle Nazioni Unite. Quello con la sigla PA-53 è rimasto in Lussemburgo. Il PA-52 è stato venduto a una società inglese che lavora anche per il ministero della Difesa e ha finito di volare nel 2006. Sinora ha dato le soddisfazioni maggiori il terzo, Skyvan PA-51, girato nel 2002 alla Gb Airlink di Fort Lauderdale, Florida, Stati Uniti, che, sino ad alcuni mesi fa, lo impiegava per un servizio postale con le Bahamas. Un collega di Miriam Lewin di Canal 13, di base a Miami, è andato a vederlo. Senza altro intento se non fotografarlo. Forte è stato il suo stupore quando un addetto della Gb Airlink gli ha segnalato i numerosi documenti che, come vuole del resto la legge, lo accompagnano. I militari dicevano di averli distrutti. Invece no, eccoli. Parlano di quegli anni dal 1976 al 1983. I voli sospetti sono presto individuati. Ci vuole poco per un esperto del ramo come Piñeyro: “Ci sono dei tragitti da Aeroparque Jorge Newbery a Punta Indio (poco più di cento chilometri) che ci mettono 4.7 ore, cioè quattro ore e 35 minuti nel codice aeronautico. Lo stesso tempo che impiega un Bariloche-Buenos Aires, distanti 1.700 chilometri. Altri ancora Punta Indio-Punta Indio di 4.6 ore cioè 4 ore e mezza. Insostenibili. Senza contare che tutto coincide con le confessioni di Scilingo. Aeroporti usati, giorni, aerei. E oggi sappiamo anche dove i desaparecidos venivano scaricati in mare. A 500 chilometri dalla costa, seguendo la rotta sud-sud-est. E il tempo che ci vuole per quel tragitto corrisponde esattamente con quello indicato sui piani di volo”.
La scoperta è choccante. No, i militari non hanno distrutto i piani di volo. Perché avevano un senso profondo dell’impunità, perché credevano che quei brogliacci emigrati all’estero non sarebbero più stati ritrovati. C’è da mettere in moto la giustizia, adesso. Non sarebbe stato possibile sino al 2005 quando le leggi ‘de obediencia debida’ e ‘de punto final’, che avevano di fatto sancito l’impunità per torturatori e killer, sono state dichiarate incostituzionali e si sono potuti riaprire i processi. Ceraudo, la Lewin e Piñeyro scelgono un Premio Nobel come Adolfo Pérez Esquivel, torturato per 14 mesi durante la ‘junta’, come il personaggio di prestigio assieme al quale presentare la denuncia al giudice istruttore Sergio Torres. Gli consegnano un esposto con le fotocopie della ‘planilla para historial de aeronave’. Gli chiedono di acquisire gli originali attraverso una rogatoria internazionale da presentare immediatamente agli Stati Uniti (già fatto). Non c’è tempo da perdere, sono ancora in molti che temono quelle carte. E sono ancora potenti. La dittatura è finita 27 anni fa, ma per dirla con Piñeyro “solo nel 2015 quando se ne sarà andato in pensione anche l’ultimo generale, che all’epoca era magari un soldatino, le forze armate si saranno davvero ripulite”. Ancora, a suo giudizio, possono compiere nefandezze nell’ombra e “controllano una parte dell’informazione”. Di certo sono attive squadre della morte che agiscono con le stesse metodologie degli anni Settanta. Proprio legato a un processo riaperto contro Miguel Osvaldo Etchecolatz, ex direttore investigativo della polizia di Buenos Aires, coinvolto nella ‘Notte delle matite spezzate’ in cui scomparvero molti studenti di scuola superiore, c’è stato, nel 2006, il primo caso di un desaparecido durante la democrazia. Si chiama Julio Lopez, teste chiave dell’accusa. Anche il giudice di primo gradoCarlos Rosanzki ha ricevuto pesanti minacce anonime. Tutto questo non ha impedito di condannare il gerarca all’ergastolo. Stessa pena comminata, in primo grado, al cappellano della polizia federale Christian Von Wernich, ritenuto responsabile di sette omicidi. In corso, riprenderà a giorni, l’importante giudizio sulla Esma.
Le nuove carte aprono la possibilità di portare alla sbarra i piloti dei voli della morte. Nelle pance dei due aerei che stanno in Lussemburgo e in Gran Bretagna potrebbero nascondersi altri fogli preziosi. Per questo l’inchiesta continua. I parenti dei desaparecidos non hanno avuto nemmeno i corpi dei loro cari da piangere. Almeno vogliono guardare in faccia chi diede l’ordine di aprire il portellone: per buttarli in pasto ai pescecani.