Torri Gemelle, la memoria dell’11 settembre

Avvenire, 3 settembre 2021

Era trascorso oltre un mese dagli attacchi alle Torri Gemelle quando dalle macerie fumanti del World Trade Center spuntò un’inaspettata forma di vita. Era un gigantesco albero da frutto, un pero alto otto metri, piantato nel 1970 nei pressi di Church Street. Aveva il tronco bruciato, i rami spezzati e in larga parte carbonizzati ma non era ancora morto. Decisero allora di trasportarlo in un parco del Bronx per curarlo. Lì l’albero crebbe fino a raggiungere un’altezza di circa trenta metri e alla vigilia di Natale del 2010 fu riportato nel suo luogo d’origine per essere trapiantato nel cuore del 9/11 Memorial di New York. Il grande spazio pubblico che celebra la memoria degli attentati dell’11 settembre 2001 ha oggi oltre quattrocento esemplari di quercia bianca ma l’albero più fotografato è sempre lui: il “Survivor Tree”, l’albero che è riuscito a sopravvivere sotto le macerie delle Torri Gemelle. Circondato da un recinto, con supporti che ne sorreggono il tronco e i rami che recano ancora ben visibili le ferite di quel giorno maledetto, è diventato un simbolo straordinario della capacità di resistenza dell’animo umano. Continua a leggere “Torri Gemelle, la memoria dell’11 settembre”

Seamus Heaney: la poesia per resistere all’orrore

Intervista al premio Nobel irlandese uscita oggi su Avvenire

Virgilio, Ovidio, Dante. In tempi recenti anche Pascoli. L’Italia è una fonte d’ispirazione costante per l’opera di Seamus Heaney. Forse la principale, subito dopo la natia Irlanda, “il mio guscio – lo definisce così – “che ha cominciato a schiudersi tanti anni fa, attraverso le mie liriche”. Cresciuto in una famiglia di contadini cattolici della contea di Derry, in Irlanda del Nord, Heaney ha passato la sua infanzia in una fattoria e ha sempre rivendicato le sue radici culturali, a punto da protestare vivacemente, alcuni anni fa, per essere stato inserito in un’antologia di poeti britannici contemporanei edita da Penguin. La sua poesia, come quella del suo connazionale W.B. Yeats, parla di un’Irlanda arcaica, che emerge dai ricordi di un’infanzia contadina. Il suo è un mondo fisico che cerca di mediare tra natura e scrittura, di raccontare una realtà che non può essere facilmente descritta con le parole. Non a caso nel 1995 gli fu conferito il premio Nobel per le opere “di lirica bellezza e profondità etica, che esaltano i miracoli quotidiani e il passato che vive”. Considerato da molti il più grande poeta vivente, Heaney è tornato in questi giorni nel nostro paese, ospite dell’American Academy di Roma, dove il 16 maggio terrà una lettura pubblica di alcune sue poesie ispirate ai testi classici. Oggi e domani sarà invece l’ospite d’eccezione di due giorni di celebrazione letteraria della vita e del lavoro di Ovidio incentrati sulla sua traduzione del mito di Orfeo ed Euridice.
Che tipo di insegnamenti la lettura dei classici può fornirci nel’interpretazione della complessità del nostro tempo?
In primo luogo citerei la ricorrente attualità dei temi della tragedia greca. Penso ad esempio al rapporto tra l’individuo e il potere, penso a Sofocle. La rilettura dell’Antigone che ho fatto con la Sepoltura a Tebe conteneva riferimenti al conflitto dell’Irlanda del Nord. I personaggi di Antigone e Ismene rappresentano due modi diametralmente opposti di affrontare gli imperativi morali, gli stessi che si sono trovati ad affrontare gli irlandesi. Ma i classici possono, anzi devono, essere letti anche per il semplice piacere di farlo, per la loro bellezza.
Spesso nelle sue opere lei ha fatto riferimento a fatti tragici dell’attualità anche recente, come l’attentato dell’11 settembre. Quale ritiene che possa essere il ruolo della poesia di fronte a questi eventi?
Credo che il suo aspetto più importante sia quello della consapevolezza. Ma la poesia, come ogni altra forma d’arte, è un fatto finito, fermo, consolidato e come tale può essere soltanto una forma di resistenza di fronte alla desolazione. Continua a leggere “Seamus Heaney: la poesia per resistere all’orrore”